Mi è stato chiesto di scrivere sul blog dell'
Art Directors Club per stimolare una discussione sul futuro della comunicazione, così come avviene negli altri Paesi, in cui sui blog e sulle riviste di settore ci si confronta sui grandi temi e sulle sfide da affrontare.
I temi che ho affrontato sono certamente scomodi e le reazioni sono state del tutto assenti, per questo ho scritto oggi sul blog dell'Adci, quello che se non ci saranno ulteriori sviluppi, sarà il mio
ultimo post.
Questo è il testo.
Siamo un popolo di struzzi, abbiamo il terrore di cambiare, di dover modificare le nostre abitudini e i nostri modelli mentali, per questo siamo così propensi a “cambiare” solo la superficie. Siamo infatti disponibili ad adottare qualsiasi moda a tutti i livelli (in politica, nelle scelte di consumo e sul lavoro).
Ci sono solo due cose che ci costringono a cambiare: l’emulazione (in nome del culto della bella figura) e la catastrofe.
Il cambiamento per noi è sempre drammatico, improvviso e tardivo. In altri Paesi il cambiamento lo si prepara, creando infrastrutture e le condizioni per un migliore sviluppo, ma soprattutto riflettendo sulle ragioni e sulla necessità del cambiamento stesso e sulle nuove rotte da tracciare.
Non ci prendiamo mai le nostre responsabilità, perchè troviamo sempre un alibi e persone o situazioni a cui addossare le nostre mancanze, per questo ci offendiamo molto facilmente e non ci piace chi ci parla in modo diretto e franco.
Ci troviamo di fronte ad una svolta epocale. I cittadini non si sentono più rappresentati dalla classe politica che hanno eletto. Il marketing e la pubblicità vivono una crisi che ci rifiutiamo di vedere.
Scrive Gianpaolo Fabris dalle pagine di Affari e Finanza:
“…
.Nel linguaggio comune, e persino in quello di impresa, è ormai comune riferirsi, ad esempio, all’innovazione di marketing in contrapposizione all’innovazione sostantiva, che genera cioè dei benefici reali. Una innovazione fittizia, una sorta di specchio per gonzi – una etichetta in cui il moderno consumatore competente ed esigente fa sempre più fatica a riconoscersi al più una specie di operazione cosmetica. Sembra cioè realizzarsi una sorta di vendetta della pubblicità – la pubblicità è uno degli strumenti del marketing – che ha sempre sofferto di un complesso di inferiorità nei confronti del suo (un tempo) illustre progenitore. Per la pubblicità era abituale il ritornello: ma si tratta di “reclame”, o ” è solo pubblicità” o simili. Facendo intendere che non si tratta di qualcosa da prendere troppo sul serio, se non di una vera e propria falsità.”
..
..il marketing deputato a costruire immagini, costrutti simbolici, significati intangibili – che pure non hanno niente da spartire con la falsità – si dimostra totalmente incapace di tutelare la propria immagine. Anche se ciò è certamente vero ed è davvero sorprendente che tra mondo accademico e quello delle professioni non si prenda atto di questa realtà e non si faccia niente al proposito. Come sta facendo adesso il Centro Marca a tutela della marca, come ha fatto a lungo il mondo della pubblicità per scardinare i tanti pregiudizi nei suoi confronti.
Ma il malessere è più profondo. Credo si avverta ormai l’esigenza di una sorta di rifondazione della disciplina. Di ripensare il marketing nato all’epoca dei grandi mercati di massa, figlio primigenio di un’economia industriale e fordista per adeguarlo ai nuovi scenari. Ciò non vuol dire soltanto rivisitare la sua strumentazione per renderla più efficace e neppure prendere le distanze dalle tante soluzioni miracolistiche che improvvisati guru tirano fuori dal cilindro.
Dobbiamo comprendere che la necessità di rifondare la disciplina del comunicatore è un imperativo, così come quella di definire nuovi paradigmi, nuovi, modelli di riferimento e nuove metriche.
Leggendo le interviste sulle riviste italiane di comunicazione da parte di top manager di importanti agenzie e frequentando i convegni per gli adetti ai lavori si ha invece l’impressione che tutto vada nel migliore dei modi. I manager delle agenzie di comunicazione e dei centri media, secondo quanto dichiarano, avrebbero tutto sotto controllo, sono infatti consapevoli dei cambiamenti in atto e si starebbero attrezzando. Negli Stati Uniti il dibattito sul cambiamento nel mondo della comunicazione ha luogo alla luce del sole, basta leggere le pagine di Advertising Age e qui da noi?
C’è poi chi ritiene che la pubblicità abbia vissuto momenti ben peggiori e certamente supererà con successo anche questo. Ma a quale prezzo e in che condizioni?
Sono stato invitato a contribuire al blog dell’Adci per alimentare il dibattito, per favorire l’incontro di pensieri e l’ibridazione di competenze, per ragionare sul futuro della professione di comunicatore e spingere l’Adci, che riunisce le teste più brillanti della comunicazione, ad uscire dal torpore.
Ho proposto temi controversi e sicuramente scomodi, perchè sono quelli su cui noi dobbiamo confrontarci oggi, ma la risposta è stata del tutto assente ed io ne devo prendere atto.
Per questo volevo salutare tutti i frequentatori di questo blog (NOTA: il blog dell'adci) visto che questo sarà il mio ultimo intervento (sul blog dell'adci). Non si può comunicare con chi non vuole ascoltare, insistere sarebbe sbagliato, dopotutto qui io sono solo un ospite.
Il mio timore è che se continueremo a persistenere nel rifiutare di affrontare la realtà, un granello di quella sabbia, in cui abbiamo nascosto la nostra testa, ci seppellirà.