venerdì, settembre 21, 2007

Un granello di sabbia ci seppellirà 

Mi è stato chiesto di scrivere sul blog dell'Art Directors Club per stimolare una discussione sul futuro della comunicazione, così come avviene negli altri Paesi, in cui sui blog e sulle riviste di settore ci si confronta sui grandi temi e sulle sfide da affrontare.

I temi che ho affrontato sono certamente scomodi e le reazioni sono state del tutto assenti, per questo ho scritto oggi sul blog dell'Adci, quello che se non ci saranno ulteriori sviluppi, sarà il mio ultimo post.

Questo è il testo.

Siamo un popolo di struzzi, abbiamo il terrore di cambiare, di dover modificare le nostre abitudini e i nostri modelli mentali, per questo siamo così propensi a “cambiare” solo la superficie. Siamo infatti disponibili ad adottare qualsiasi moda a tutti i livelli (in politica, nelle scelte di consumo e sul lavoro).

Ci sono solo due cose che ci costringono a cambiare: l’emulazione (in nome del culto della bella figura) e la catastrofe.

Il cambiamento per noi è sempre drammatico, improvviso e tardivo. In altri Paesi il cambiamento lo si prepara, creando infrastrutture e le condizioni per un migliore sviluppo, ma soprattutto riflettendo sulle ragioni e sulla necessità del cambiamento stesso e sulle nuove rotte da tracciare.

Non ci prendiamo mai le nostre responsabilità, perchè troviamo sempre un alibi e persone o situazioni a cui addossare le nostre mancanze, per questo ci offendiamo molto facilmente e non ci piace chi ci parla in modo diretto e franco.

Ci troviamo di fronte ad una svolta epocale. I cittadini non si sentono più rappresentati dalla classe politica che hanno eletto. Il marketing e la pubblicità vivono una crisi che ci rifiutiamo di vedere.

Scrive Gianpaolo Fabris dalle pagine di Affari e Finanza:

“…

.Nel linguaggio comune, e persino in quello di impresa, è ormai comune riferirsi, ad esempio, all’innovazione di marketing in contrapposizione all’innovazione sostantiva, che genera cioè dei benefici reali. Una innovazione fittizia, una sorta di specchio per gonzi – una etichetta in cui il moderno consumatore competente ed esigente fa sempre più fatica a riconoscersi al più una specie di operazione cosmetica. Sembra cioè realizzarsi una sorta di vendetta della pubblicità – la pubblicità è uno degli strumenti del marketing – che ha sempre sofferto di un complesso di inferiorità nei confronti del suo (un tempo) illustre progenitore. Per la pubblicità era abituale il ritornello: ma si tratta di “reclame”, o ” è solo pubblicità” o simili. Facendo intendere che non si tratta di qualcosa da prendere troppo sul serio, se non di una vera e propria falsità.”
..

..il marketing deputato a costruire immagini, costrutti simbolici, significati intangibili – che pure non hanno niente da spartire con la falsità – si dimostra totalmente incapace di tutelare la propria immagine. Anche se ciò è certamente vero ed è davvero sorprendente che tra mondo accademico e quello delle professioni non si prenda atto di questa realtà e non si faccia niente al proposito. Come sta facendo adesso il Centro Marca a tutela della marca, come ha fatto a lungo il mondo della pubblicità per scardinare i tanti pregiudizi nei suoi confronti.
Ma il malessere è più profondo. Credo si avverta ormai l’esigenza di una sorta di rifondazione della disciplina. Di ripensare il marketing nato all’epoca dei grandi mercati di massa, figlio primigenio di un’economia industriale e fordista per adeguarlo ai nuovi scenari. Ciò non vuol dire soltanto rivisitare la sua strumentazione per renderla più efficace e neppure prendere le distanze dalle tante soluzioni miracolistiche che improvvisati guru tirano fuori dal cilindro.

Dobbiamo comprendere che la necessità di rifondare la disciplina del comunicatore è un imperativo, così come quella di definire nuovi paradigmi, nuovi, modelli di riferimento e nuove metriche.

Leggendo le interviste sulle riviste italiane di comunicazione da parte di top manager di importanti agenzie e frequentando i convegni per gli adetti ai lavori si ha invece l’impressione che tutto vada nel migliore dei modi. I manager delle agenzie di comunicazione e dei centri media, secondo quanto dichiarano, avrebbero tutto sotto controllo, sono infatti consapevoli dei cambiamenti in atto e si starebbero attrezzando. Negli Stati Uniti il dibattito sul cambiamento nel mondo della comunicazione ha luogo alla luce del sole, basta leggere le pagine di Advertising Age e qui da noi?

C’è poi chi ritiene che la pubblicità abbia vissuto momenti ben peggiori e certamente supererà con successo anche questo. Ma a quale prezzo e in che condizioni?

Sono stato invitato a contribuire al blog dell’Adci per alimentare il dibattito, per favorire l’incontro di pensieri e l’ibridazione di competenze, per ragionare sul futuro della professione di comunicatore e spingere l’Adci, che riunisce le teste più brillanti della comunicazione, ad uscire dal torpore.

Ho proposto temi controversi e sicuramente scomodi, perchè sono quelli su cui noi dobbiamo confrontarci oggi, ma la risposta è stata del tutto assente ed io ne devo prendere atto.

Per questo volevo salutare tutti i frequentatori di questo blog (NOTA: il blog dell'adci) visto che questo sarà il mio ultimo intervento (sul blog dell'adci). Non si può comunicare con chi non vuole ascoltare, insistere sarebbe sbagliato, dopotutto qui io sono solo un ospite.

Il mio timore è che se continueremo a persistenere nel rifiutare di affrontare la realtà, un granello di quella sabbia, in cui abbiamo nascosto la nostra testa, ci seppellirà.

8 Comments:

Anonymous Anonimo said...

credo di aver capito male...

21/9/07 13:35  
Blogger Maurizio Goetz said...

no, matteo, mi sono accorto che il post crea confusioni, pertanto ho cercato di chiarire il pensiero, specificando meglio che mi riferisco al blog dell'adci e non a questo.

21/9/07 13:55  
Blogger Antonio LdF said...

Ho letto le riviste specializzate italiane per circa due anni, poi mi sono davvero rotto di vedere sorridenti manager che elencano successi, dicono sempre le stesse cose e fanno i brillanti!

Mi sembra che spesso ci sia più retorica che in politica! Almeno lì qualcuno parla ogni tanto di cose concrete..lì invece manco quello (per fortuna direi).

Inutile sbandierare che una soluzione la cerco anche io correndo da un tavolo all'altro al ristorante, ma di chiacchiere ne ho sentite troppe che non mi va di pronunciarmi più di tanto.
Troppi esperti, troppa gente vanitosa e falsa.

Fai bene a lasciar perdere.
Quel tempo di certo ti servirà per fare cose più importanti o piacevoli!

Un caro saluto..

21/9/07 16:16  
Blogger Claudio Iacovelli said...

Il Prof. Fabris ha posto al centro del suo intervento, che ho esaminato e commentato con un post sul mio blog, il 'ruolo' del marketing nel contesto delle funzioni di impresa, ed il peso che assume nella società di oggi.

Fabris non ha specializzato il suo intervento sulla comunicazione, ma ha voluto lanciare una sorta di allarme sulla mancanza di considerazione che spesso accade a danno del marketing, a causa anche dell'incapacità di rivendicare un ruolo chiaro e privo quasi di 'conflitti di interesse' nel momento in cui si vuole aprire all'esterno.

Nel mio post ho valutato alcune colpe dell'equivoco sul marketing, attribuendo a persone completamente estranee alla cultura economico-sociale la mancanza di comprensione sul proprio reale significato. Ma ho considerato anche le gravi colpe degli specialisti di marketing, a partire proprio dalle professionalità più coinvolte nella comunicazione al pubblico ed ai mass-media, incapaci di trasmettere profondi valori etici.

E' questo il grave errore del markerting di oggi: non intervenire apertamente nei processi di trasparenza ai mercati, di collaborazione ai consumatori, di rassicurazione generale.

Mi aspettavo, da parte tua, una valutazione più completa dell'articolo del prof. Fabris. E' stato scritto per sollecitare tutti i professionisti del marketing.

Non voleva considerare come precipua la categoria degli addetti alla comunicazione d'impresa, o gli specialisti del branding di prodotto.

22/9/07 18:47  
Blogger Maurizio Goetz said...

Claudio, non ho fatto nessuna valutazione, perchè essendo stato Consigliere Direttivo dell'Associazione Italiana Marketing ho sottoposto l'interessante analisi del prof. Fabris al nuovo Consiglio affinchè si pronunci in modo corale. Su una questione così importante è giusto fare una riflessione la più ampia possibile. Credo che l'opinione autorevole del professor Fabris sia più che condivisibile, ora occorre fare qualcosa in merito. I blog che molti hanno aperto sul marketing sono un primo punto per favorire la discussione, non credi?

22/9/07 20:35  
Blogger Claudio Iacovelli said...

Non so quanto l'AISM stia valutando, ad oggi, il ruolo del marketing nella società. Non vedo da mesi e mesi alcun loro convegno in proposito, sembra che il marketing sia confinato in un oblio.

Solo il web, e come tu dici giustamente alcuni blog, stanno combattendo la fase letargica.

Per colpa dell'immobilismo dei rappresentanti di tipo 'istituzionale', la cultura di marketing é annullata, e l'opinione pubblica assorbe equivoche prese di posizione contrarie alla comunicazione pubblicitaria e di marketing.

Se sei ancora responsabile del marketing digitale in AISM, è giunta l'ora per rivedere alcuni luoghi comuni, e riformulare gli skillset necessari alla nuova ridefinizione dei processi di marketing digitale nelle comunità di utenti business e consumer.

DI QUESTO SI DOVREBBE PARLARE NEI MEETING DI MARKETING!!

Non dovrebbero essere occasioni meschine per curare, mediocremente, interessi egoistici.

23/9/07 21:11  
Blogger Maurizio Goetz said...

E' verissimo. Le associazioni hanno tempi incredibilmente lunghi di reazione, per questo confido nei blog. Il dibattito sui principali blog di marketing che seguo è sempre molto interessante, il problema sta poi nella capacità di portare fuori dalla rete questi discorsi.

23/9/07 21:15  
Blogger Lorenzo Guerra said...

Tutto è fermo in questo paese, tutto si affronta solo ed esclusivamente quando è inevitabile, cioè nella seconda ipotesi che hai citato, Maurizio, per evitare la catastrofe. Poi le cose si fanno male e poco organizzate. In tutti i campi c'è voglia di mantenere lo status quo, di non fare e non certo di conquistarsi la leadership sul campo. Credo sia una questione di cultura italiana senza via d'uscita. E' così veramente ovunque. Non riusciamo a renderci conto che i modelli comportamentali evolvono e cambiano. No qui no!
Non spero più in un cambiamento nel breve. La domanda che mi pongo da mò è: perchè siamo diventati così, lo siamo sempre stati, perchè altrove c'è la sensazione che la modernità la si crei, qui al massimo la si insegue.
Ciao.

24/9/07 17:16  

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