venerdì, novembre 30, 2007
Fortyone: la saga continua
Marketing Sinkholes
It's about people, it's about ourselves
La formazione permanente e l'aggiornamento professionale sono per le imprese innovative una delle priorità. In molte società di consulenza e agenzie di comunicazione d'oltre oceano, è cominciata la guerra per "reperire" i migliori talenti, ma questo non basta.
Nelle imprese più avanzate il/la responsabile delle risorse umane, si occupa spesso direttamente o indirettamente dello sviluppo del business e il modo in cui si guarda alle persone come "risorsa strategica" si differenzia molto dalla visione tradizionale tipica.
- Valorizzare le persone significa costruire un team affiatato di persone con competenze e background differenti affinchè le diversità possano creare nuovo valore. Lo sforzo sarà quello di creare una cultura e linguaggi comuni
- L'aggiornamento continuo è portato avanti attraverso l'investimento su progetti di formazione, ma soprattutto selezionando le persone in funzione del loro desiderio di apprendimento
Se consideriamo definitivamente sepolta la cultura del posto a vita, dobbiamo essere consapevoli che le competenze sono oggi di fondamentale importanza per le imprese, ma anche e soprattutto gli atteggiamenti delle persone.
Ogni dipendente, indipendentemente dalla sua funzione e dal suo inserimento nell'organigramma aziendale, dovrebbe considerare indispensabile la progettazione di un progetto di autoformazione permanente.
Sono troppe le persone che oggi si aspettano che le imprese in cui lavorano, si occupino del loro sviluppo. Oggi lavorare in azienda, significa anche avere una visione imprenditoriale di se stessi.
E' vero che molte aziende del comparto della comunicazione, investono poco e male in formazione, ma è altrettanto vero che se c'è un minimo di passione per il proprio lavoro, attraverso white paper, libri, blog, webinar ecc non è così difficile rimanere aggiornati. Non è questione di tempo, ma solo di priorità.
Spesso richiediamo alle aziende di valorizzare di più le persone, ma noi cominciamo a valorizzare noi stessi?
mercoledì, novembre 28, 2007
martedì, novembre 27, 2007
Prove tecniche di montaggio
Fortyone
Certo che qualche centesimo lo potevano investire sul sito (che è proprio un disastro)
Cosa ho imparato dallo IAB FORUM
IAB ITALIA si è posto un obiettivo molto ambizioso: il raggiungimento di una quota del 10% degli investimenti pubblicitari sui media digitali entro il 2010. Per arrivare a questo, non è sufficiente dimostrare al mercato che i media digitali sono assolutamente performanti se utilizzati correttamente, ma occorre definire una strategia articolata che preveda almeno quattro azioni:
- mostrare le nuove strade da percorrere
- offrire strumenti e modelli operativi efficaci per il cambiamento
- costruire un network tra professionisti e aziende per condividere la conoscenza al fine di affrontare i problemi comuni legati ai processi di cambiamento
- aiutare le aziende a rimuovere la paura di cambiare
Gli investimenti sui media digitali e su internet in particolare stanno crescendo, ma non come ci si aspetterebbe, esistono dei forti ostacoli di natura culturale che stanno creando un blocco psicologico da parte di tantissimi manager di imprese grandi e piccole. Il problema non è solo italiano, ma è più diffuso di quanto possiamo immaginare.
Uno studio di Gundersen Partners, (fonte Ken Radio) ha intervistato circa 400 marketing manager e direttori generali di azienda, "leader" nei new e next media al fine di comprendere le ragioni per cui molte imprese nonostante siano consapevoli dei benefici che avrebbero nell'investire una quota maggiore del loro budget di comunicazione sui media digitali, continuano a prendere tempo, destinando alla rete, investimenti marginali.
Una delle domande chiave posta agli intervistati, ha cercato di verificare l'esistenza di un gap, tra un'allocazione ideale e quella reale, e di stimare un'orizzonte temporale nel quale questo gap potrebbe essere colmato.
Come ci si aspettava, la maggior parte dei budget di comunicazione sono ancora riversati sui media tradizionali, infatti circa il 60% dei rispondenti alla survey, hanno dichiarato di investire al meno il 50% del proprio budget di comunicazione sui media tradizionali. 45% degli intervistati alloca attualmente meno del 10% del budget sui new e next media. Le prospettive nel breve periodo sono di un cambiamento per circa il 20% del mix di comunicazione. Il 52% degli intervistanti prevede di spendere tra il 10 ed il 30% sui media digitali, mentre il 28% prevede un'investimento di oltre il 30% sui new ed emerging media.
Come riporta Ken Radio, l'80% dei rispondenti pensa di arrivare al mix ideale entro due anni. Infatti solo il 35% pensa di riequilibrare il proprio advertising mix entro i prossimi dodici mesi.
La ragione dell'esistenza di questo gap tra investimenti reali e quelli ideali è fondamentalmente un problema culturale, informativo e di scarsa padronanza dei mezzi digitali. Circa il 40% degli intervistati ha infatti menzionato tra gli ostacoli, proprio la scarsa conoscenza dei mezzi, mentre il 33% ha ammesso di non avere avuto abbastanza tempo per valutare/sperimentare i new/emerging media.
Gli operatori dell'offerta, non hanno quindi fatto abbastanza per creare un mercato attraverso la formazione e l'informazione.
C'è quindi un "knowledge gap" da colmare anche in aziende strutturate, per quanto concerne la comunicazione sui media digitali. Le aziende si trovano di fronte ad un'ampia gamma di opzioni, che fanno fatica a valutare, soprattutto anche perchè sono in costante evoluzione.
Gli investitori pubblicitari intervistati, hanno espresso grande interesse per i media digitali, ma hanno bisogno di maggiore informazione, un maggior supporto (aggiungo io, anche di natura psicologica).
Infine è necessario un lavoro accurato per definire un ponte tra le metriche tradizionali e quelle specifiche dei media digitali, in modo da consentire agli advertising manager delle aziende una comparazione utile per la stesura di piani di comunicazione integrata.
Per queste ragioni ritengo che IAB ITALIA abbia lavorato molto bene nella costruzione del "mercato digitale, della comunicazione, ma se vorrà raggiungere gli obiettivi che si è posto, dovrà lavorare con maggiore vigore estendo la propria azione attraverso le quattro azioni che ho menzionato.
lunedì, novembre 26, 2007
Riflessioni digitali
domenica, novembre 25, 2007
Ospiti graditi o imbucati ad un party?
Adliterate, uno dei miei blog preferiti, sembra essere dello stesso avviso, ma rincara la dose e non ci va certo leggero.
Brand's do have personalities and I spend a lot of time thinking about powerful personalities for organisational brands that capture the specialness of the place while legislating for it to be delivered in every expression of that brand.
But just because a brand has a personality doesn't make it a person.
And I want my relationships to be with people not businesses. Sure that can be the people in those businesses but not the business as a whole.
It's why I refuse to join "loyalty" programmes regardless of how fanatical I am about the brand or the bribe that they are offering to hand over my loyalty. I am loyal to people not to brands.
Spesso le aziende sembrano abbracciare i social media senza averne compreso la cultura e quando questo avviene i disastri sono inevitabili
Guys just because you can doesn't mean you should.
At least in traditional media there is a basic level of respect that keeps the communication inside ad breaks and clearly demarcated from the content. But on the internet brands brands wander around like really irritating guests at a party, intent on looking in every room, having a butchers in your wadrobe and trying on your pants.
Cercare di imporre logiche dei paid media sui social media, sembra irritare anche chi di mestiere fa il brand advisor.
"And this behaviour is driven by unscrupulous brand advisers that treat the internet like the big trawler fleets treated the oceans for much of the twentieth century - a place where you can do what the fuck you like, cause any amount of damage and never suffer the consequences in your lifetime.
Even those of us that eat, sleep and drink brands acknowledge that there are places where brands aren't welcome. And I am increasinglly of the opinion that social media is one of those places."
Non tutti hanno una posizione così radicale come Adliterate che conclude le sue riflessioni scrivendo:
there are many brands which I am absolutely fanatical about but I don't want to be their friend on facebook because, and I hate to break this to you, brands are not people.
"a). you deliberately obfuscate the real and meaningful difference between 'friend' and 'fan'. Who knows how successful Facebook's new model will be, but it certainly looks better than previous attempts to me (interrupt my viewing pleasure with something at irrelevant, anyone?)
b). you also tacitly imply that any attempt by a brand to engage with people in social media is equivalent to trying to be their friends. It isn't.
a). corporate blogging clearly is a good idea. It allows companies (more specifically individual people that hold positions in them) to have a conversation with some of their most engaged customers."
"The doors are open 24hrs nowadays old man, not just every 15 mins for 30 seconds at a time."
Robert Mortimer ritiene che i "brand" dovrebbero non solo partecipare alla conversazione, ma anche offrire un contributo (per non apparire come degli imbucati ad una festa).
"They to brands appearing on social networking is that they say or offer something to make their appearance relevant."
I "brand" devono quindi decidere se vogliono essere considerati come ospiti graditi o come degli imbucati ad un party; se impareranno a muoversi con rispetto nella "parte abitata della rete", sono sicuro che molti dei pregiudizi da parte degli abitanti della rete nei loro confronti, si attenueranno moltissimo.
L'immagine è di Better then blonde.
Il figlio delle idee
Il mash up è forse l'espressione più bella della condivisione e della citazione. Deve fare i conti con una legislazione, quella del diritto d'autore, totalmente inadeguata.
E' importante poter salvaguardare le opere di ingegno, ma al contempo favorire la creatività diffusa.
Osservare l'arte del mash up significa imparare un metodo creativo, ma assolutamente rigoroso, di ibridazione delle idee.
sabato, novembre 24, 2007
Idee energetiche
Come si può tradurre il termine "moving ideas"?
Execution, execution (reprise)
venerdì, novembre 23, 2007
Execution, execution
giovedì, novembre 22, 2007
Idea o conversazione?
Ne scrive Marco Massarotto, sul blog dell'Art Directors Club e cerca di fare il punto.
I fans della relazione sostengono che su Internet sia più importante costruire relazioni, networking, informazione, contatti. Attività dove il cuore non è l’idea (pubblicitariamente intesa), ma il linguaggio, i contenuti.
I moschettieri dell’Idea, invece, tornano a un’equazione classica: alla fine ciò che funziona in comunicazione è l’idea, il concept di campagna (o di prodotto). Quella cosa impattante e snappy (direbbero gli americani) che piace, si ricorda e fa parlar di sè. Anzi, Internet richiede idee ancora più forti.
La prima considerazione è che l’avvento di un nuovo media deve sempre essere “integrato” agli altri e mai occasione di rottura. Quindi la sfida non è: vinceranno le idee o la conversazione, ma come sfruttare le sinergie delle due.
- La seconda è che ogni mezzo ha le sue regole, le sue tecniche, il suo “mestiere”. E che se è vero che alcune (sottolineo alcune) idee trovano in Internet terreno fertile, è altrettanto vero che la natura del Web è conversazionale.
- La terza è che l’idea è diventata il fulcro della comunicazione perchè il comunicatore aveva a disposizione trenta secondi, 18 metri quadri o un A4 scarso per raccontare un prodotto. Una sfida impossibile, bisogna ricorrere all’Idea! La killer application, la sintesi. Su Internet si può pubblicare gratis un film di due ore su un prodotto. Ma c’è una sorta di atrofìa al contrario. Cosa dico in due ore? Che noia! Peccato che un sacco di consumatori passino giornate, non ore, a parlare dei prodotti su Internet… Forse nessuno leggeva le bodycopy, perché erano troppo corte, non troppo lunghe.
Anche la conclusione è condivisibile, la dicotomia pensiero creativo/relazione è più che altro un atteggiamento di difesa, non una reale convinzione di chi prende posizione su uno dei due fronti:Ho la sensazione che il mondo della comunicazione italiana stia vivendo una fase di splendido (si fa per dire…) isolamento. I “signori delle idee” temono la discesa in rete, terreno nuovo dove la gente “risponde” (oddio, terrore… e se la mia idea non piace e me lo dicono?). I “conversatori“, d’altro canto, credono di avere la nuova pietra filosofale del marketing, ma in realtà non possono fare a meno di una tradizione e di una cultura di cui spesso non sono i depositari. Speriamo che si incontrino presto…
Il mondo del marketing e della comunicazione ha delle visioni parziali che dovrebbero essere integrate.
Il nuovo approccio di strategia creativa potrebbe essere rivisto:
- comprensione dei valori di brand
- analisi dei profili di utenza a cui ci si vuole rivolgere e conoscenza profonda degli interlocutori attraverso l'attivazione di un processo conversazionale.
- sviluppo dell'idea creativa master
- adattamento dell'idea creativa ai diversi interlocutori, contesti e modi
- presentazione della proposta creativa agli interlocutori
- ascolto e riattivazione delle conversazioni
- misurazione dei feedback
- fine tuning
Prometto che ritorno sull'argomento, per meglio chiarire il mio pensiero.
Voi cosa ne pensate?
L'immagine è di Stealingshare.
martedì, novembre 20, 2007
L'emergere del vj
Oggi attraverso la rete, i nuovi vj professionisti e dilettanti (che non sono quelli televisivi) stanno imparando la fine arte del mash up e i migliori stanno creando nuovi codici stilistici che andranno ad infuenzare i prodotti dell'industria della musica, dell'entertainment e dell'advertising.
Nel video proposto da MauroVall, Rihanna + Britney Spears + Michael Jackson.
Il tagging creativo
Decostruzione dello spot
Alla luce dell'analisi in corso, anche esperimenti, apparentemente banali come questo che abbiamo trovato in rete, assumono un significato.
La resa dei conti per le agenzie di pubblicità?
Questo gap è stato parzialmente colmato attraverso l'intenso processo di acquisizioni portato avanti con determinazione soprattutto dalle grandi agenzie internazionali.
Ora la maggior parte di esse può vantare un'offerta completa anche relativamente ai media digitali, ma i problemi sono lungi dall'essere risolti.
Ho scritto più volte che ritengo che la strategia dei grandi gruppi della comunicazione pubblicitaria non potrà essere completata fino al compiersi di un pieno processo di integrazione.
Le aziende non hanno più voglia di doversi interfacciare con decine di agenzie, per la propria campagna di advertising, per la pianificazione media, per gli eventi, per la campagna di direct marketing, per il sito, per l'attività di search engine marketing, per il marketing non convenzionale ecc.
La realtà è che gli interlocutori sono per forza di cosa sempre differenti, a causa della strutturazione del sistema di offerta delle agenzie di comunicazione, ma soprattutto a causa della mancanza di professionalità in grado di gestire progetti davvero integrati. Questo avviene sia dal lato dell'offerta, sia dal lato della domanda.
Come al solito, sono le grandi imprese multinazionali ad imporre i cambiamenti. In un futuro prossimo le società meglio strutturate cominceranno a richiedere un unico interlocutore per le diverse strategie di marketing e comunicazione. L'apripista è nuovamente Procter & Gamble, come riporta la rivista Advertising Age.
So now P&G is testing a system that essentially designates one agency as a "single point of contact" on each brand -- and sounds an awful lot like the old full-service agency model the marketer, and most agency holding companies, dismantled more than a decade ago in favor of agency specialization. P&G says it's testing ways to change its agency model to improve collaboration and marketing plans while reducing the number of transactions for its brands and marketers. This being P&G, it goes without saying that the move to simplify how it deals with marketing-services agencies is a complicated process, starting with a four-part pilot test.
Here's how it works: The test involves each of P&G's major agency holding companies -- Publicis Groupe, WPP Group and Omnicom Group -- along with independent Wieden & Kennedy. Each has become the "single point of contact" for one brand.
Il test come al solito partirà dagli Stati Uniti, ma è ragionevole pensare che verrà esteso anche agli altri Paesi in cui Procter &Gamble opera.
The tests aim to simplify a structure in which a single brand and its marketers may work with more than a dozen media, advertising, promotion and design shops in the U.S. alone. It doesn't, however, necessarily mean consolidating all disciplines within a single agency or even within a single holding company, a P&G spokeswoman said.
At the same time, P&G is moving to simplify its internal management of agencies and brands. Earlier this month, it designated 14 general managers as "brand franchise leaders" over the company's largest global brands. The idea, a spokeswoman said, is for P&G to have a single point of contact for agencies analogous to the single point of contact on the agency side.
I riflessi di questo cambiamento sul modello di remunerazione delle agenzie saranno ampi e pesanti.
Though it's possible to change agency compensation, that can take a year or more. For a brand manager whose tenure on a brand may be no more than a year or two, the easier decision may be to stick with TV. But under a single agency point of contact -- combined with a single-payment system -- P&G brands no longer would be financially penalized for changing their marketing mix. It would be up to the lead agency to budget and pay for the work of all disciplines out of a preset global budget.
Il problema più grosso sarà sul fronte delle competenze, per questo prevedo una battaglia nei prossimi mesi per l'acquisizione dei migliori talenti anche sul mercato italiano.
Dall'evoluzione del mercato, trarranno sicuramente i maggiori benefici, le nuove società di consulenza che stanno integrando processi e modelli di offerta, contribuendo alla semplificazione richiesta a gran voce dalle imprese.
Fonte dell'immagine: Wikimedia
lunedì, novembre 19, 2007
A cosa serve la pubbicità?
Con il termine pubblicità si intende quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.
La pubblicità non ha certamente modificato la sua ragione di essere, solo che che nel tempo i suoi effetti si sono diluiti. Se ieri l'advertising rappresentava una fonte importante di informazioni per orientare il processo di acquisto dell'acquirente, oggi grazie ad Internet, lo squilibrio informativo, che prima era a sfavore del cliente si è progressivamente ridotto; in alcuni casi il cliente conosce il prodotto o il servizio, meglio delle stesse aziende che lo producono/erogano, per questo anche la pubblicità si troverà costretta a cambiare i suoi paradigmi.
I pubblicitari insistono a parlare di crisi della creatività, quando oggi è l'atteggiamento nei confronti della comunicazione commerciale che deve essere rivisto. Il problema della pubblicità non è la mancanza di creatività o almeno non sempre, ma la sua intrusività, obbligatorietà e soprattutto il modo in cui si pone nei confronti dei suoi interlocutori.
Le persone oggi non confrontano solo le proprie opinioni sui prodotti e sui servizi da acquistare, ma anche e soprattutto i messaggi pubblicitari che ricevono. Molti di essi non sono più credibili e quando lo sono spesso sono invasivi.
Le agenzie di comunicazione dovrebbero rappresentare il punto più avanzato della comunicazione, invece sembrano essere totalmente assenti dai dibattiti che hanno luogo in rete.
Scrive Vanz
Non so se è il caso di dire che tutto quello che sentiamo rivelare allo IAB forum e all'EBA forum sono cose che [tra blogger] discutiamo da anni. Non so se è il caso di sottolineare che quello di cui si sta discutendo oggi in un barcamp sarà presentato tra un anno a Berlino o Parigi, e riportato, con l'aggiunta di un paio di brutte slide, tra due anni in un convegno dello IAB forum. L'abbiamo visto succedere con i microformati, le folksonomie, i mash-up, qualunque tema. Noi di queste cose abbiamo già parlato da tempo. Le sappiamo già. Questi eventi non sono per noi: sono per capirvi tra di voi.
E allora, associazioni di marketing, PR, advertising, se davvero volete capire fatevi un favore: entrate nella conversazione, e fatelo per voi stessi, non per noi consumatori. Il nostro stipendio non dipende dalla visibilità o dal page rank su Google. Noi queste cose le sappiamo già. Abbiamo già una rete di competenze che ci aiuta a scegliere i prodotti. Non siamo noi che abbiamo bisogno di voi, semmai viceversa, e appena le aziende se ne accorgono rischiate che vi ritengano inutili.
Vogliamo fare una gara a chi difende meglio la posizione acquisita o vogliamo aprire una conversazione? Noi consumatori siamo disposti a discutere, anzi moriamo letteralmente dalla voglia di discutere. Accettarci come interlocutori è una vostra scelta, ma sia chiaro che non siamo noi che ne abbiamo bisogno.
Sappiamo molto bene che un modo per neutralizzare il cambiamento è l'assorbirne i linguaggi. La moda ha parzialmente neutralizzato la protesta punk alla fine degli anni 70, inserendo nelle collezioni alcuni codici stilistici del movimento punk. Oggi il mondo della comunicazione di impresa cerca di assorbire dalla rete alcuni concetti come collaborazione, conversazione, peer to peer, ma questo non sarà più sufficiente se questi concetti non diventeranno valori agiti.
I consumatori hanno una forte voglia di partecipare alle iniziative di marketing che non vogliono più subire, desiderano anche conversare e lo faranno comunque con o senza le aziende.
Qui non si tratta di mettere in discussione la pubblicità, ma di comprendere che l'intero processo di marketing ha una profonda necessità di fare ciò che predica, ovvero di mettere al centro la persona.
Che ce ne facciamo di pubblicità meravigliose, se poi ad esempio l'esperienza di un cliente con un call center rimane traumatica?
All'ultimo IAB Forum , credo non sia passato il messaggio di Japp Favier, di Forrester, quando ha affermato che "la pubblicità rimane un efficace strumento per fornire informazioni su prodotti e servizi, ma che oggi non è più sufficiente per " la formazione delle preferenze di acquisto" e quindi per la chiusura del processo di vendita." (vedi slide)
Se si vuole partecipare al dibattito, occorre pertanto confrontarsi non solo sull'evoluzione dell'advertising, ma anche e soprattutto sulla ridefinizione del suo ruolo all'interno di una cultura conversazionale del marketing, altrimenti il confronto rimarrà parziale e privo di ogni significato.
domenica, novembre 18, 2007
Brand Expression
Mi piace moltissimo il modo in cui Coca Cola è riuscita a coinvolgere alcuni tra i migliori artisti della scena internazionale.
Advertising Urbano
L'immagine è di Angel To
Rivedere la Unique Selling Proposition?
sabato, novembre 17, 2007
Jazzybizz
Do you love me?
Sumthin Perfect
venerdì, novembre 16, 2007
Interactive Advertising e Tv Digitali
Parlerò anche di Addressable Advertising, perchè è un argomento ancora sconosciuto in Italia, invece negli Stati Uniti se ne parla molto. (Ne avevo già scritto, ma a distanza di tempo non è cambiato molto)
Penso che le associazioni che si occupano di comunicazione dovrebbero avere più coraggio, perchè non ha alcun senso se continuano ad organizzare eventi e progetti di formazione in cui vengono invitate sempre le stesse persone. Io continuo a ripetere la stessa cosa, occorre aprire le finestre e favorire il ricambio d'aria.
L'immagine è di Claus Johnsen
Riflessioni sulla misurazione dei Social Media
Walk it out
La rete si impossessa degli elementi stilistici più interessanti, li diffonde e li si trasforma
La rete è un amplificatore di memi, mode, stili e di nuove culture underground
Attraverso i social media, le nuove forme espressive si trasformano e si arricchiscono
Tutto viene rivisto, ricodificato e ri-pensato
Ognuno interpreta a modo suo
Tutti si cimentano
Dalla rete un meme si diffonde fuori rete e si trasforma in altri modi
Se un meme è forte abbastanza, sopravvive e viene assorbito dalla "cultura dominante", altrimenti soccombe, come in questo caso.
Blog generation
E' stato giustamente criticato in rete l'articolo di Gabriele Romagnoli, sulla "cosiddetta" You Tube Generation, perchè a mio modo di vedere non esiste, soprattutto nei termini con cui è stata descritta, ma anche perché la realtà è più complessa e variegata e ogni generalizzazione non ha alcun senso.
Se Romagnoli per puro spirito di polemica, vede una generazione di disadattati, socialmente poco intelligenti ed esibizionisti, che trova in Internet una valvola di sfogo a compensazione di una vita senza valori, ci sono anche altre situazioni da rappresentare in cui le persone utilizzano la rete positivamente per finalità ludiche, produttive, progettuali, artistiche e via discorrendo.
Sarebbe molto semplice riscrivere l'articolo di Romagnoli, mettendo in contrapposizione alla You Tube Generation, la Blog Generation, citando altri esempi.
Qui alcuni spunti tratti dai blog (esattamente come farebbe un buon giornalista come Romagnoli).
L'occasione è l'incontro con Chris Anderson, organizzato da The Ruling Companies, a cui sono stati invitati alcuni blogger.
I blogger sono gli unici in grado di porre le domande e pure di farlo in inglese, come spiega David Orban
Sono andato, con un gruppo nutrito di scalmanati a disturbare un incontro con Chris Anderson. Dico disturbare, perché alla fine tutte le domande le abbiamo fatte noi 'esterni' scravattati e ci siamo beccati il complimento desolante e umiliante di Giampaolo Fabris "Ma come parlate tutti bene l'inglese e che domande intelligenti che fate!". Hmm... mi chiedo cosa succede nelle altre riunioni. "Ah, qui è stato Harvard a confronto!" Beh, si vede che sarebbe utile coinvolgerci anche le altre volte, no?
L'incontro è stata l'occasione per far incontrare oltre 80 blogger a cena, con il solo scopo di stare insieme. Ne è convinto Vittorio Pasteris.
Ieri sera una OTTANTINA di blogger si sono trovati in un locale milanese. Doveva essere una normale cena (lunga) di blogger dopo la conferenza di Chris Anderson a Milano.
In effetti la cena, organizzata dall’attivissimo e bravissimo Giovy si è trasformata in un barcamp da pizzeria, un piacevolissimo evento di incontro e confronto fra “addetti ai lavori” (con tanto di badge per evitare scene del tipo: tu chi sei ?).
Blogger ovunque, molte macchine fotografiche, pochi pc, molta voglia di parlare e stare insieme. Un vero e proprio Giovy’s Camp. Una serata in cui ci si visti fra quelli che non ci si era mai visti, e ci si è ritrovati fra vecchi amici. Una serata straordinaria. In rete trovare già le prime foto della serata
Abbiamo fatto un paio di scemate inventate al volo:
Quale libro vuoi che leggiamo? Dove tutti hanno segnato un saggio e un libro di narrativa che gli veniva in mente. Mi prometto di abbozzare il wiki del lenzuolone che è uscito alla fine, ma avrò bisogno di aiuto per completarlo.
Quando ricevetti l’invito per l’incontro con Chris Anderson, e presi la decisione di andarci, mi venne spontaneo lanciare su Twitter: "Beh, si organizza una cena successiva all’evento?"
Capii da subito che non sarebbe stata la solita cena fra blogger, perchè dopo qualche ora c’erano già trenta persone iscritte sul wiki (o che avevano confermato la loro presenza tramite l’evento creato su Facebook).
PIù passavano i giorni e più le persone aumentavano, fino ad arrivare ad oltre 80 (ebbene si… tante erano alla fine le persone in lista per la cena, al punto da dover per forza di cose aprire una "waiting list" in cui inserire persone in attesa di eventuali disdette).
Alla fine, comunque, riesco ad avere la disponibilità dello SugarLounge (luogo scelto per la cena) per 80 persone e… beh, si parte!
I giorni precedenti ieri sera sono stati "pazzeschi", cercando di star dietro a tutte le mail, le richieste, i contatti e quanto girava intorno alla cena.
E finalmente, terminato l’incontro con Anderson al Four Seasons, prendiamo la metro e ci dirigiamo al locale.
Arrivo alle 20.35 e… cavoli, ci sono già diverse persone ad attendere… che puntualità!
Il tempo di tirar fuori i badge preparati da un "caro amico" a cui non smetterò mai di dire grazie, aiutato da Philapple e Fullo nella distribuzione, inizio a conoscere i partecipanti di questa "Cena Lunga".
E’ un piacere rivedere moltissimi cari amici, ma forse è stato un piacere ancora più grosso conoscere le tante e tante persone che, alla cieca, si sono fidate del sottoscritto ed hanno deciso di partecipare alla cena.
"Guardami, sono solo, non ho niente da dire, ma dedicami la tua attenzione, ascoltami, leggimi, comprami o ti sparo e poi, forse, mi sparo"
La realtà sempre più complessa descritta da Chris Anderson dovrebbe fare i conti anche con la Blog Generation, che costringerebbe un buon giornalista a trovare un altro finale per un buon articolo.
"Guardami, non sono solo, ho molto da dire, ma anche tanta voglia di ascoltare, dedicami la tua attenzione, leggimi perchè io ti posso aiutare a cambiare, ti insegnerò ad utilizzare con successo le tecnologie digitali, ma ti costringerò anche a scendere in strada per incontrare altre persone e a confrontarti con esse, perchè se non lo farai, ben presto sarai tu ad aver voglia di spararti.
La rete non è bella perchè è migliore, ma perchè è il riflesso della società in cui viviamo. Solo che in rete possiamo scegliere chi vogliamo frequentare.
L'immagine è tratta dalla copertina del libro di Giuseppe Granieri
mercoledì, novembre 14, 2007
Outdoor advertising
Le ho promesso che avrei trattato il tema, ma non sarò in grado di farlo a breve, perché sto cercando di approfondire altri argomenti che per me hanno una priorità maggiore.
Giulia, se sei all'ascolto, ho cercato lo stesso di accontertarti con questa presentazione che ho trovato in rete. Sono sicuro che sia comunque di interesse di tutti.
Magari la commentiamo insieme.
Strategie svuotate
Ho provato un vero senso di fastidio, questa mattina, nella lettura dei settimanali e mensili specializzati, che trattano temi del marketing e della comunicazione. Amministratori delegati di agenzie di comunicazione e centri media che ripetevano i "mantra del cambiamento". Frasi fatte, già dette, già pronunciate e già sentite in conferenze, in blog, libri, interviste e via discorrendo.
Non che i concetti non siano importanti, al contrario, ma se i temi vengono affrontati in modo superificiale rischiano di essere controproducenti. Interattività, collaborazione, coinvolgimento, sono mondi da esplorare. In aula dedico solo al concetto di interattività non meno di due ore, a quello di collaborazione almeno sei.
Siamo tutti presi dal quotidiano, ma se vogliamo continuare a creare valore, dobbiamo dedicare il giusto spazio alla riflessione.
Non partecipo volentieri alle tavole rotonde o a convegni in cui occorre essere brevi. In venti minuti non si può che creare una suggestione, ma occorre poi trovare degli spazi in cui approfondire.
Ogni concetto ha mille risvolti, si differenzia in funzione del contesto, dei modi e dei tempi Se non si trova quindi il tempo necessario per comprendere e applicare si rischia di progettare strategie svuotate.
Apriamo un blog, facciamo un concorso, sponsorizziamo un gioco on line, sbarchiamo su Second Life. Tutto bello, ma come, per chi, quando, con quale finalità?
Ho molto rispetto di quei marketing manager che si prendono tempo per comprendere. La loro non è esitazione o scarsa capacità di decidere. Ho conosciuto manager di società multinazionali che mi hanno più volte detto di non utilizzare nuovi mezzi fintanto che non ne hanno compreso il valore per i propri clienti.
Servono spazi di approfondimento che siano diversi dal pitch di vendita, per questo ho partecipato molto spesso a steering comittee, in cui si affrontano i problemi e si cercano soluzioni creative. Questo non lo può fare chi ha in testa l'obiettivo di vendere un prodotto, una soluzione, una campagna.
Ci sono aziende che rimangono costantemente indietro, ma ce ne sono altre che corrono a vuoto.
L'immobilismo è deleterio, ma la costante fuga in avanti un suicidio.
L'immagine è di Lady of War
martedì, novembre 13, 2007
Internet bla bla e le strategie aziendali
Mi è stato chiesto di progettare una serie di iniziative relative all'argomento per l'anno 2008, per alcuni operatori turistici. Oggi mi sono deciso leggendo il post di Oz Design, che riportava la sua esperienza allo IAB Forum. Lo ringrazio mi ha chiarito le idee.
Ho deciso che le prossime iniziative di cui mi occuperò, avranno luogo rigorosamente "a distanza" e verranno utilizzati esclusivamente strumenti open di internet, perchè mi sono stufato di parlare di internet a chi non lo utilizza.
I partecipanti ai diversi progetti di aggiornamento professionale utilizzeranno concretamente i motori di ricerca, gli strumenti di photosharing e video sharing, per ricercare le informazioni, un wiki per condividere il progetto di lavoro, un forum, una piattaforma di messaging, skypecasting e via discorrendo.
Mi sono reso conto nei diversi laboratori che ho gestito, che un conto è parlare degli strumenti di internet ed un altro è usarli.
Dall'anno prossimo sarò molto meno presente come relatore alle diverse conferenze a cui mi hanno invitato come relatore, spesso servono più a chi parla e non così tanto a chi ascolta. Lavorerò a molti più progetti strategici in cui non fornirò un report, magari rivestito in pelle, ma sarò coinvolto nell'intero processo di implementazione per verificare in prima persona che tutti gli obiettivi prefissati vengano effettivamente raggiunti e misurati attraverso le metriche più opportune.
Se è vero che l'offerta internet in Italia nel complessivo è molto più indietro rispetto a quella degli altri Paesi europei e altrettanto vero che sono ancora tanti i manager che si fanno aprire la mail dalle loro segretarie. (Non l'ho letto, l'ho appreso l'anno scorso ad un corso a cui ho partecipato come docente, rivolto alle assistenti di direzione, che me lo hanno confermato).
Le strategie internet non dovrebbero essere delegate interamente alle agenzie, è necessario che i brief siano più precisi e questo richiede di diventare utenti evoluti.
Qualcuno mi prende bonariamente in giro, perchè collaboro con tanti enti di formazione e con quattro università. Sono un consulente prestato alla formazione, non un docente di carriera, perchè fintanto che i miei clienti non saranno utenti evoluti, non saranno in grado di progettare strategie evolute.
Non ci sono manuali o conferenze che tengano. Su internet ti devi sporcare le mani e devi farlo in prima persona.
Mi auguro che per il 2008 si organizzino meno convegni e più seminari, laboratori e tavoli di lavoro. Oramai sono dieci anni che si parla di internet, sarebbe l'ora di cominciare ad utilizzarlo sul serio in azienda.
Mi domando se gli amministratori delegati di centri media e di agenzie di comunicazione lo usino davvero? Voi che ne dite?
lunedì, novembre 12, 2007
Microsite e Social Media: due modelli a confronto
A fronte di una forte evoluzione, tutti pronti a dichiarare il decesso di forme di comunicazione precedenti.
La mia opinione è che il marketing digitale stia entrando in una nuova fase di maturità e che la progettazione di aree gravitazionali di marketing attraverso i "micrositi" non cederà spazio ai "network of experience", perchè sono forme tra loro complementari.
Il marketing attrattivo e quello liquido sono pertanto due facce della stessa medaglia.
Ecco che mi sento di essere d'accordo con Mark Kingdon quando scrive:
Not everyone is convinced the microsite is ready for retirement. “I actually see the opposite happening,” said Mark Kingdon, CEO at Organic, San Francisco. “Clients are asking for rich and immersive experiences in which to showcase their brands.”
E' sicuramente un lavoro faticoso cercare di razionalizzare i segnali apparentemente contrastanti che provengono dal mercato. La contraddizione dipende esclusivamente dal modo in cui siamo abituati a vedere le cose. Un mercato complesso, richiede una visione più complessa.
L'immagine è di New Energy Movement
Progettare l'advertising oltre lo spot
Negli Stati Uniti il dibattito è già finito, perchè ora tutti si stanno rimboccando le maniche. Si è smesso di parlare di trend e ora si discute giustamente di implementazione. Molte presentazioni che mi hanno inviato i miei colleghi d'oltreoceano hanno nel titolo: how to......
Chi ha scritto che il 2007 sarà ricordato come l'anno del radicale cambiamento, sembra che non sia andato troppo lontano dal vero.
E' tempo di riprogettare i processi produttivi dell'advertising
"Budgets have been seriously cut and reapportioned into different areas. We have to find ways to make more with less."
Il 2008 sarà sicuramente un anno di cambiamento per i centri media così come il 2007 lo è stato per le agenzie creative.
"Indeed many marketers and their ad agencies are rethinking their approaches. Long gone are the simpler days when agencies used to "fill boxes" -- two :60s, five :30's and so on. That system has been replaced by a more rigorous, focused process. "There is this pull toward video and other media placements," said Ann Green, senior VP-marketing solutions at market-research firm Millward Brown"
Non si tratta di contestare lo spot da 30" ma di andare oltre
Indeed, a recent survey of the Association of Independent Commercial Producers found that more than 62% of members are working on non traditional projects. And some producers contest the notion that the 30-second spot is declining at all.
Grandi opportunità ma anche enormi problemi per chi non si adatterà
"Those agencies that solely rely on TV commercials might be in trouble," he said. "But most agencies have evolved as media habits have changed."
E' impressionante il ritmo con cui il mercato dell'advertising sta evolvendo. Chissà cosa leggeremo fra un paio di settimane.
L'immagine è di Sicurmatica