A cosa serve la pubbicità?
Non voglio prenderla tanto alla lontana, sulla pubblicità sono stati versati fiumi di inchiosto, per questo per comodità, utilizzerò la definizione di Wikipedia.
Con il termine pubblicità si intende quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.
La pubblicità non ha certamente modificato la sua ragione di essere, solo che che nel tempo i suoi effetti si sono diluiti. Se ieri l'advertising rappresentava una fonte importante di informazioni per orientare il processo di acquisto dell'acquirente, oggi grazie ad Internet, lo squilibrio informativo, che prima era a sfavore del cliente si è progressivamente ridotto; in alcuni casi il cliente conosce il prodotto o il servizio, meglio delle stesse aziende che lo producono/erogano, per questo anche la pubblicità si troverà costretta a cambiare i suoi paradigmi.
I pubblicitari insistono a parlare di crisi della creatività, quando oggi è l'atteggiamento nei confronti della comunicazione commerciale che deve essere rivisto. Il problema della pubblicità non è la mancanza di creatività o almeno non sempre, ma la sua intrusività, obbligatorietà e soprattutto il modo in cui si pone nei confronti dei suoi interlocutori.
Le persone oggi non confrontano solo le proprie opinioni sui prodotti e sui servizi da acquistare, ma anche e soprattutto i messaggi pubblicitari che ricevono. Molti di essi non sono più credibili e quando lo sono spesso sono invasivi.
Le agenzie di comunicazione dovrebbero rappresentare il punto più avanzato della comunicazione, invece sembrano essere totalmente assenti dai dibattiti che hanno luogo in rete.
Scrive Vanz
Non so se è il caso di dire che tutto quello che sentiamo rivelare allo IAB forum e all'EBA forum sono cose che [tra blogger] discutiamo da anni. Non so se è il caso di sottolineare che quello di cui si sta discutendo oggi in un barcamp sarà presentato tra un anno a Berlino o Parigi, e riportato, con l'aggiunta di un paio di brutte slide, tra due anni in un convegno dello IAB forum. L'abbiamo visto succedere con i microformati, le folksonomie, i mash-up, qualunque tema. Noi di queste cose abbiamo già parlato da tempo. Le sappiamo già. Questi eventi non sono per noi: sono per capirvi tra di voi.
E allora, associazioni di marketing, PR, advertising, se davvero volete capire fatevi un favore: entrate nella conversazione, e fatelo per voi stessi, non per noi consumatori. Il nostro stipendio non dipende dalla visibilità o dal page rank su Google. Noi queste cose le sappiamo già. Abbiamo già una rete di competenze che ci aiuta a scegliere i prodotti. Non siamo noi che abbiamo bisogno di voi, semmai viceversa, e appena le aziende se ne accorgono rischiate che vi ritengano inutili.
Vogliamo fare una gara a chi difende meglio la posizione acquisita o vogliamo aprire una conversazione? Noi consumatori siamo disposti a discutere, anzi moriamo letteralmente dalla voglia di discutere. Accettarci come interlocutori è una vostra scelta, ma sia chiaro che non siamo noi che ne abbiamo bisogno.
Sappiamo molto bene che un modo per neutralizzare il cambiamento è l'assorbirne i linguaggi. La moda ha parzialmente neutralizzato la protesta punk alla fine degli anni 70, inserendo nelle collezioni alcuni codici stilistici del movimento punk. Oggi il mondo della comunicazione di impresa cerca di assorbire dalla rete alcuni concetti come collaborazione, conversazione, peer to peer, ma questo non sarà più sufficiente se questi concetti non diventeranno valori agiti.
I consumatori hanno una forte voglia di partecipare alle iniziative di marketing che non vogliono più subire, desiderano anche conversare e lo faranno comunque con o senza le aziende.
Qui non si tratta di mettere in discussione la pubblicità, ma di comprendere che l'intero processo di marketing ha una profonda necessità di fare ciò che predica, ovvero di mettere al centro la persona.
Che ce ne facciamo di pubblicità meravigliose, se poi ad esempio l'esperienza di un cliente con un call center rimane traumatica?
All'ultimo IAB Forum , credo non sia passato il messaggio di Japp Favier, di Forrester, quando ha affermato che "la pubblicità rimane un efficace strumento per fornire informazioni su prodotti e servizi, ma che oggi non è più sufficiente per " la formazione delle preferenze di acquisto" e quindi per la chiusura del processo di vendita." (vedi slide)
Se si vuole partecipare al dibattito, occorre pertanto confrontarsi non solo sull'evoluzione dell'advertising, ma anche e soprattutto sulla ridefinizione del suo ruolo all'interno di una cultura conversazionale del marketing, altrimenti il confronto rimarrà parziale e privo di ogni significato.
Con il termine pubblicità si intende quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all’utilizzo di servizi.
La pubblicità non ha certamente modificato la sua ragione di essere, solo che che nel tempo i suoi effetti si sono diluiti. Se ieri l'advertising rappresentava una fonte importante di informazioni per orientare il processo di acquisto dell'acquirente, oggi grazie ad Internet, lo squilibrio informativo, che prima era a sfavore del cliente si è progressivamente ridotto; in alcuni casi il cliente conosce il prodotto o il servizio, meglio delle stesse aziende che lo producono/erogano, per questo anche la pubblicità si troverà costretta a cambiare i suoi paradigmi.
I pubblicitari insistono a parlare di crisi della creatività, quando oggi è l'atteggiamento nei confronti della comunicazione commerciale che deve essere rivisto. Il problema della pubblicità non è la mancanza di creatività o almeno non sempre, ma la sua intrusività, obbligatorietà e soprattutto il modo in cui si pone nei confronti dei suoi interlocutori.
Le persone oggi non confrontano solo le proprie opinioni sui prodotti e sui servizi da acquistare, ma anche e soprattutto i messaggi pubblicitari che ricevono. Molti di essi non sono più credibili e quando lo sono spesso sono invasivi.
Le agenzie di comunicazione dovrebbero rappresentare il punto più avanzato della comunicazione, invece sembrano essere totalmente assenti dai dibattiti che hanno luogo in rete.
Scrive Vanz
Non so se è il caso di dire che tutto quello che sentiamo rivelare allo IAB forum e all'EBA forum sono cose che [tra blogger] discutiamo da anni. Non so se è il caso di sottolineare che quello di cui si sta discutendo oggi in un barcamp sarà presentato tra un anno a Berlino o Parigi, e riportato, con l'aggiunta di un paio di brutte slide, tra due anni in un convegno dello IAB forum. L'abbiamo visto succedere con i microformati, le folksonomie, i mash-up, qualunque tema. Noi di queste cose abbiamo già parlato da tempo. Le sappiamo già. Questi eventi non sono per noi: sono per capirvi tra di voi.
E allora, associazioni di marketing, PR, advertising, se davvero volete capire fatevi un favore: entrate nella conversazione, e fatelo per voi stessi, non per noi consumatori. Il nostro stipendio non dipende dalla visibilità o dal page rank su Google. Noi queste cose le sappiamo già. Abbiamo già una rete di competenze che ci aiuta a scegliere i prodotti. Non siamo noi che abbiamo bisogno di voi, semmai viceversa, e appena le aziende se ne accorgono rischiate che vi ritengano inutili.
Vogliamo fare una gara a chi difende meglio la posizione acquisita o vogliamo aprire una conversazione? Noi consumatori siamo disposti a discutere, anzi moriamo letteralmente dalla voglia di discutere. Accettarci come interlocutori è una vostra scelta, ma sia chiaro che non siamo noi che ne abbiamo bisogno.
Sappiamo molto bene che un modo per neutralizzare il cambiamento è l'assorbirne i linguaggi. La moda ha parzialmente neutralizzato la protesta punk alla fine degli anni 70, inserendo nelle collezioni alcuni codici stilistici del movimento punk. Oggi il mondo della comunicazione di impresa cerca di assorbire dalla rete alcuni concetti come collaborazione, conversazione, peer to peer, ma questo non sarà più sufficiente se questi concetti non diventeranno valori agiti.
I consumatori hanno una forte voglia di partecipare alle iniziative di marketing che non vogliono più subire, desiderano anche conversare e lo faranno comunque con o senza le aziende.
Qui non si tratta di mettere in discussione la pubblicità, ma di comprendere che l'intero processo di marketing ha una profonda necessità di fare ciò che predica, ovvero di mettere al centro la persona.
Che ce ne facciamo di pubblicità meravigliose, se poi ad esempio l'esperienza di un cliente con un call center rimane traumatica?
All'ultimo IAB Forum , credo non sia passato il messaggio di Japp Favier, di Forrester, quando ha affermato che "la pubblicità rimane un efficace strumento per fornire informazioni su prodotti e servizi, ma che oggi non è più sufficiente per " la formazione delle preferenze di acquisto" e quindi per la chiusura del processo di vendita." (vedi slide)
Se si vuole partecipare al dibattito, occorre pertanto confrontarsi non solo sull'evoluzione dell'advertising, ma anche e soprattutto sulla ridefinizione del suo ruolo all'interno di una cultura conversazionale del marketing, altrimenti il confronto rimarrà parziale e privo di ogni significato.
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