venerdì, giugno 20, 2008

Ansia da prestazioni 


I pubblicitari si offendono terribilmente quando faccio loro notare che il metro di giudizio che adottano per il loro lavoro: l'ottenimento di premi, non solo è fuorviante, ma soprattutto controproducente in questo periodo di grandi cambiamenti.

Nonostante la teoria della pubblicità abbia definito una serie di metodologie per la misurazione degli effetti di una campagna pubblicitaria, si tratta solitamente di proxi, risulta infatti molto difficile misurare gli effetti di una campagna pubblicitaria, isolandoli rispetto all'insieme delle altre azioni che solitamente le imprese compiono.

Ricevere un premio per una campagna di comunicazione gratifica il pubblicitario e sicuramente anche l'azienda cliente, ma come accade in tutti i concorsi, non sempre c'è una correlazione diretta tra il successo di critica ed il successo di mercato, ma non è di questo che vorrei scrivere.

Sono convinto che la "tensione al premio", quando si tratta di comunicazione in rete, abbia un effetto devastante sulla qualità della stessa, soprattutto perché in rete le persone, si confrontano, valutano ed esprimono le loro opinioni.

Scopo di una presenza on line è quella di creare delle connessioni significative con i propri pubblici di riferimento, non si ragiona in termini di share.

Pensate quanto possa essere snervante in una relazione di qualsiasi genere, avere una controparte con l'ansia da prestazione. Lo scopo di una relazione è la relazione stessa, non la "prestazione".

Questa è una delle ragioni per cui mi trovo molto scettico ad esempio sulla creazione di video virali, progettati a tavolino per essere "trasmissibili", più che per creare valore di marca attraverso il dialogo.

I ragazzi di Ninja Marketing forse possono venire in mio soccorso, poiché temo di essere stato poco chiaro.

"Molti pensano che basti fare qualcosa di divertente ed irriverente per realizzare un viral. In realtà le persone (basta parlare di target) si scambiano contenuti che parlino di loro, che rafforzino il loro legame tribale.

Progettare un Viral significa lavorare ad un progetto di Senso aperto che sia una piattaforma che le persone possano usare per dirsi qualcosa che li riguardi. Nell’intimo.

Perché un Viral abbia successo bisogna studiare bene un pubblico di riferimento, una tribù, che vogliamo rappresenti il nostro pubblico di penetrazione. Capire bene qual è il senso che attribuiscono al loro stare insieme, al loro essere tribù (valore di legame) e lavorare per creare qualcosa che sia rilevante per loro.

Forse sarebbe il caso di andare ancora oltre, superando il concetto di contenuto virale.

In rete non si giudica un contenuto con gli stessi criteri di un concorso, le relazioni sono un'altra cosa. In una conversazione non conta poi molto se i nostri argomenti sono colti, divertenti o brillanti, quanto la capacità di ascolto e di sapersi adattare al flusso della conversazione stessa, altrimenti abbiamo a che fare con un esercizio di stile.

Una conversazione richiede impegno e costanza ed un reale interessamento agli altri.

La conversazione è naturale e quando è forzata si vede e da molto fastidio ai nostri interlocutori. Non è forse vero che tutte le volte che si cerca di impressionare chi ci ascolta, si corre il rischio di ottenere effetti devastanti?

Forse i pubblicitari farebbero bene ad avere una maggiore autostima, non serve a nulla continuare ad autoflagellarsi, quanto prendere atto che le agenzie vengono da Marte, mentre le persone in rete, vengono da Venere.

Credits per l'immagine.

6 Comments:

Blogger AAA Copywriter said...

Per citarti: "Una conversazione richiede impegno e costanza ed un reale interessamento agli altri."

Credo che sia la parte in grassetto quella che fa la differenza.

Alex

20/6/08 12:17  
Anonymous Anonimo said...

Ce ne faremo una ragione.
Un top manager di multinazionale della moda, che investe molto in pubblicità, mio amico sostiene che la ruota estrae altri numeri che non sono i loro.
Cambiamenti in corso non solo per le agenzie pubblicità ma anche per tutto il sottobosco ( consulenti, ecc. ).
Commento anonimo? E ti pare che mi espongo con il mio nome.

23/6/08 12:19  
Blogger Maurizio Goetz said...

Caro commentatore anonimo,

ti ringrazio per la tua testimonianza, hai proprio ragione, non vale la pena esporsi con il proprio nome, i commenti anonimi danno una migliore credibilità alla professione. Cercherò di ricordarlo.

23/6/08 13:08  
Anonymous Anonimo said...

Maurizio l'anonimato è per diversi motivi.
Personalmente non misuro autorevolezza e credibilità sulla base del "nome" ( retaggio arcaico ancora troppo pregnante il nostro sistema ).
Il valore dei contributi non si misura sulla base dell'emittente; almeno nella società dove sono top manager.
La famosa cassetta dei consigli anche se anonimi da noi vengono accettati.
Giustamente ognuno si accompagna con chi vuole, ma l'abito non sempre è il monaco.
Complimenti per il tuo blog.

23/6/08 16:54  
Blogger Maurizio Goetz said...

Caro Anonimo,

hai ragione in parte, sarebbe importante valutare le idee in quanto tali e non da chi provengono.

Per il resto basterebbe che tu usassi un nickname, almeno potresti partecipare alle conversazioni, rendendoti riconoscibile e mantenendo al contempo una protezione della tua identità. Fair enough?

23/6/08 17:54  
Anonymous Anonimo said...

Caro Maurizio, grazie per la citazione. Credo che sia da ricercarsi nel concetto stesso di rilevanza la necessità di un ascolto. In qualsiasi tipo di conversazione il non ascoltare i nostri interlocutori ci poterà inevitabilmente a dichiarazioni (o contenuti) irrilevanti per chi ci sta di fronte!

PS: è sempre un piacere leggerti ;)

24/6/08 11:23  

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