venerdì, ottobre 10, 2008

Bad Practices 


All'università da tempo si utilizzano le storie di successo (case histories) per cercare di razionalizzare le "buone pratiche". Gli esempi concreti certamente riescono a facilitare l'apprendimento della teoria.

Nel campo della comunicazione interattiva, le cui pratiche sono costantemente in evoluzione, sarebbe importante anche analizzare gli insuccessi, le motivazioni per cui certe dinamiche non solo non hanno dato luogo agli esiti sperati, ma a volte, addirittura, si sono rilevate del tutto controproducenti.

Uscendo per un attimo dal tema specifico e allargando il discorso, mi viene da pensare che la vera causa di molti disastri che avvengono in Italia, non è tanto legata al fatto che si compiano errori, quanto all'esistenza di una cultura che penalizza l'errore e che porta alla deresponsabilizzazione e alla sua negazione anche di fronte all'evidenza.

Gli errori non sono sempre frutto di scelte sbagliate, dipendono talvolta da tanti altri fattori:
  • tempi non maturi
  • scarsa convinzione e fiducia nel progetto
  • sottovalutazione delle resistenze
  • errati presuposti iniziali
Non voglio entrare nel merito dei progressi scientifici nati da errori, troppo si è scritto a tal proposito, quanto sottolineare che una cultura della sperimentazione si può diffondere solo in ambienti nei quali l'errore viene vissuto come un'occasione di crescita.

Oggi una buona parte di "sperimentazione sui linguaggi, sui modelli di comunicazione, sulle dinamiche di interazione" si è forse spostata parzialmente dai blog agli strumenti di "microblogging", perché oggi chi fa innovazione sul web sente la necessità di confrontarsi, di esporre le proprie idee nel momento in cui si formano, contando sul fatto che in ambienti della rete ancora poco frequentati è possibile lasciarsi andare in una sorta di "brainstorming collettivo" che ha quale fine, la possibilità di apprendere attraverso, lo scambio e la condivisione degli errori.

Se analizziamo le ragioni di molte "crisi" di cui siamo stati recentemente testimoni in rete (Mosaico Arredamenti, Carrefour, per citarne due), possiamo comprenderne l'origine nell'incapacità di riconoscere un errore e trovare un rimedio.

Se ci fossero meno strumentalizzazioni, sarebbe più facile condividere le pratiche di insuccesso, questo parte sicuramente dalla capacità di ascoltare senza pregiudizi e da un maggiore rispetto degli altri.

La facilità di scrivere in rete spesso porta all'eccesso. Chi è stato a lungo in rete ha avuto modo di sperimentarlo. Riconoscerlo è già un passo importante.

Fonte dell'immagine

4 Comments:

Anonymous Anonimo said...

La penso come te. Gli errori non li vuole nessuno, ma molti processi si dilatano, aumentano i fattori in gioco e vecchie logiche assomigliano sempre più al voler la bacchetta magica. L'errore è sempre più probabile, si spera non troppo grave ma spesso conta più come si reagisce all'imprevisto che l'illudersi di non sbagliare. Sempre più spesso ha maggior senso "evolvere insieme a ...", nel pensiero complesso si parla di co-evoluzione. Non ci sono più le formule della comunicazione e del guadagno facile, ci sono sistemi da innescare e gestire nel mentre.
Non ci sono più meccanismi semplici, lineari e facilmente prevedibili, ma processi complessi da gestire.

10/10/08 22:09  
Blogger LB said...

Ho citato questo post poco fa, nei commenti a un post su Innovatori, come possibile rivelatore di un errore incipiente.

La mia ipotesi nasce dall'analisi di errori precedenti, prima del settore privato .. poi del settore pubblico .. che hanno avuto una pesante ripercussione sulla nostra condivisa realtà di cittadini utenti.

Se la mia analisi fosse giusta .. penserei quasi di essere, funzionalmente, un "airbag !?" ;-)

11/10/08 08:47  
Blogger Unknown said...

rimane il fatto ch si impara più dagli errori che dai successi (magari percè bruciano di più...). Il pericolo è fare con la paura di sbagliare: il fallimento è praticamente sicuro. Riusire a buttarsi è l'importante, salvo poi valutare cosa aggiustare...

11/10/08 20:24  
Blogger Gianluca Greco said...

1. Su Harward Business Review di qualche anno fa, un articolo denunciava i limiti del bechmarking e delle case history, osservava come isolando una best practice per volta (costo della logistica, del personale, investimento della ricerca etc...) la si trova sia in aziende eccellenti che in aziende pessime.
Pare insomma che l'unica best practice distintiva delle aziende eccellenti sia l'utile finale, ma non sempre (vedi Esselunga nel 2007)

14/10/08 08:44  

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