lunedì, marzo 10, 2008

Quando le aziende creano valore in rete 


Si è vero, sono ancora tante le aziende che considerano Internet solo come un mercato in cui vendere i loro prodotti e basta, ma ce ne sono tante altre che stanno portando in rete nuovi modelli collaborativi che creano valore per tutti gli attori coinvolti secondo una logica win win. Questi modelli sono già entrati nei manuali di management.

Procter & Gamble ha creato P&G Advisor un programma collaborativo con i propri clienti per sviluppare nuovi prodotti.

I clienti che si iscrivono al programma, provano nuovi prodotti e forniscono un feedback, permettendo all’azienda di ridurre da 25.000 a 2.500 il costo per il test di un nuovo concept di prodotto e riducendo il tempo da 2 mesi a due settimane.

Per il lancio della linea Phisique Hair Care, P&G ha invitato i consumatori a registrarsi al sito Physique.com per avere un sample di prodotto. Entro 12 settimane dal lancio del programma, oltre 5 milioni di comsumatori hanno visitato il sito.

La società farmaceutica Eli Lilly ha creato una community sul web che ha chiamato Innocentive che ha attirato circa 7.000 ricercatori che hanno lavorato con la società per risolvere problemi chimici in cambio di bonus in denaro.

Eli Lilly ha migliorato il suo processo di ricerca e sviluppo visto che ha solo 300 ricercatori a libro paga. Successivamente ha messo a disposizione la community ad altre aziende (es.Dupont). Innocentive è un caso di successo che molte aziende stanno cercando di replicare.

La Texas Instrument ha creato un progetto on line per dialogare con oltre 30.000 insegnanti di scuola superiore per lo sviluppo delle calcolatrici T1-92 e coinvolgendo i consumatori nell’intero progetto di design, ha fatto in modo che il prodotto rispondesse ai bisogni del mercato e ha creato nei clienti potenziali futuri un senso di appartenenza ed una maggiore fidelizzazione.

Questi sono solo alcuni esempi di aziende che hanno saputo creare valore in rete e stanno utilizzando strumenti collaborativi digitali, non limitandosi ad aprire un corporate blog.

12 Comments:

Blogger Unknown said...

Tutto bello, aziende che usano la rete non solo per le solite cose trite e ritrite. Mi viene un dubbio però: non vorrei finisse tutto come i questionari on-line. Ho cominciato con internet nel 94, e ricevere un questionario era come avere la prova che in rete c'era qualcuno che ti ascoltava: tutti perdevano tempi biblici a compilare questionari di pagine intere, per il solo fatto di essere considerati da qualcuno all'altra parte del filo. Già qualche anno dopo tre domande in croce venivano saltate a piè pari. Il punto è che non vedo un vantaggio per il cliente, a parte un campioncino e l'orgoglio di far parte dei primi aprovare un prodotto. Passata la novità il pubblico reagirà ancora con tanto entusiasmo?

10/3/08 20:28  
Blogger Maurizio Goetz said...

solo fino a che troverà conveniente farlo, è questa la grande sfida.

10/3/08 21:35  
Anonymous Anonimo said...

In riferimento anche al primo commento qui sopra, è più facile praticare questa strada in un'ottica b2b, cercando di coinvolgere "gli intermediari" o gli influenzatori, o il cliente finale?
Sviluppare il prodotto coinvolgendo comunità professionali richiede a mio avviso meno sforzo per la soddisfazione del cliente/partner (paradossalmente?) perchè si agisce su componenti di valore aggiunto meno "materiali" ma forse più gratificanti (esagerando, aiutare a sviluppare una nuova formula chimica per la cremina forse è più gratificante rispetto ad essere il primo cliente ad averne provato i benefici...)

in conclusione: è possibile estendere a tutti i settori questa pratica o no? ad esempio, nel settore della moda, come ci si potrebbe comportare?

11/3/08 08:05  
Blogger Maurizio Goetz said...

Occorre non farsi fuorviare dagli esempi che ho selezionato, non sono certamente esaustivi. L'importante è non cercare di replicare in modo acritico dei modelli, ma partire dall'analisi del valore. Mi è difficile parlare di moda in modo astratto, Benetton, una Maison e Diesel, hanno tre modi completamente differente nel porsi in connessione con i loro pubblici. Su cosa vogliamo lavorare sullo storytelling, sulla condivisione di esperienze o sul servizio? Sono tanti i fattori da tenere in considerazione. Cercherò di dedicare un post a questo argomento, per alimentare il dibattito che è già molto vivo.

11/3/08 08:25  
Anonymous Anonimo said...

Grazie innanzitutto per la risposta.
é proprio partendo dall'analisi del valore che ho parlato di differenza tra "professionisti" e consumatori finali in riferimento ai possibili diversi approcci.
ho voluto provare a spostare il focus sulla moda (evidentemente ho sbagliato a generalizzare, quindi direi più sul caso "diesel e affini") per chiedere se e come sia possibile costruire una comunità non solo attorno alla storia, ma anche - in relazione ai casi proposti - per lo sviluppo di prodotto e/o di assortimento...
[concordo sul fatto che non sono modelli replicabili pedissequamente...]

11/3/08 08:36  
Blogger Maurizio Goetz said...

Credo che in questi casi non si tratti di creare comunità in modo artificioso, ma di attivarle, stimolarle e offrire nuove modalità di aggregazione tra i membri e il brand e tra i membri stessi, mi è difficile scrivere di più senza essere banale perchè questo è un po' il rischio quando si parla in modo astratto.

11/3/08 08:42  
Blogger Unknown said...

Nel b2b ha sicuramente un senso: già in tanti settori si coinvolge il cliente (o un gruppo)nella creazione del prodotto. Vantaggi: 1)analisi di mercato a costo zero presa dall'esperienza di chi in quel mercato opera tutti i giorni 2)coinvolgimento del cliente, che alla fine sente il prodotto "un po' suo", mettendo più attenzione nella vendita. In questo la rete può aiutare (più per la conosenza del mercato che per il coinvolgimento), e anche tanto. E finchè l'entusiasmo rimane alto, anche nel b2c. Credo... :)

11/3/08 09:30  
Blogger Giorgio Soffiato said...

Intervengo solo a difesa del corporate blogging (disclaimer, è il mio lavoro). Se usato come mezzo per raccontare davvero qualcosa a mio avviso è uno strumento ottimo per le economie che genera e le rese che da, tutti concordi che un corporate blog mal gestito o senza vision è un disastro

11/3/08 11:58  
Blogger Maurizio Goetz said...

Giorgio, non devi certamente difendere il corporate blogging, ne sono un sostenitore se l'azienda ha realmente una volontà di condividere le proprie esperienze con i suoi pubblici,quello che sottolineo è che si può anche andare oltre. Non credo però che il corporate blogging sia la soluzione per tutti i mali e sono convinto che alcune imprese dovrebbero astenersene fintanto che non hanno cambiato i loro paradigmi di comunicazione per evitare un effetto boomerang.

11/3/08 12:02  
Blogger Giorgio Soffiato said...

Parole sante :-)

11/3/08 13:26  
Blogger gianandrea said...

Una nota a proposito del corporate blogging: oltre alla modifica delle proprie modalità di comunicazione, le aziende dovrebbero ripensare anche dei processi interni. Vi è mai capitato di parlare con un'azienda di blog, forum, etc. convincerli che sarebbe cosa buona partecipare e poi sentirli dire: ok, prepariamo la risposta e poi la passiamo al legale per la verifica?

Ne approfitto per un commento sulla moda. Mentre un marchio come Diesel può utlizzare questi sistemi di collaborazione con i clienti, trattandosi di marchi che partono dallo street fashion, per i marchi di lusso il flusso non può che rimanere top down. Per la cosmesi, invece, tutt'altra storia anche per i marchi alti di gamma.

13/3/08 09:57  
Blogger Maurizio Goetz said...

Gianandrea, d'accordo su tutta la linea, ne ho scritto diffusamente in post passati ed è un tema su cui stiamo lavorando molto come consulenza.

13/3/08 10:02  

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