giovedì, marzo 06, 2008

Un'industria dell'advertising che non vuole cambiare 


Da tempo, cerco di stimolare l'industria dell'advertising a cambiare i propri paradigmi, che si stanno dimostrando sempre meno adeguati alle mutate esigenze delle imprese clienti, sollecitate dall'evoluzione dei comportamenti di acquisto e di consumo mediale dei propri pubblici.

E' sotto gli occhi di tutti la totale mancanza di dibattito, sia nei convegni, sia in rete, dei reali problemi di un comparto, quello della comunicazione, così importante per l'economia di un Paese moderno.

Negli Stati Uniti il dibattito è molto articolato e cerca di gettare un po' di luce, sui cambiamenti necessari per gli operatori dell'Advertising, con particolare riferimento al mondo delle agenzie.

Per comprendere come deve cambiare l'agenzia di comunicazione, occorre prima analizzare ciò che sta accadendo nei processi di riorganizzazione delle strutture di marketing dei più grandi advertising spender.

Va in questa direzione la ricerca pubblicata recentemente dall'Association of National Advertisers (che comprende le principali agenzie di comunicazione degli Stati Uniti) che ha intervistato 132 responsabili marketing e che ha rilevato che il 29% delle imprese delle imprese del campione sta attualmente portando avanti un processo di ristrutturazione dei processi di marketing, mentre il 39% lo ha portato a termine negli ultimi due anni.

Advertising Age, ne riassume le principali evidenze.

Quali sono i risultati dei processi di ristrutturazione in azienda?

Marketers apparently can't get enough of reorganization, but they aren't getting much satisfaction from it either. Despite widespread and growing reorganization within their marketing ranks, highlighted by trends toward centralization and integration, only 13% of senior marketers say they're "very satisfied" with their companies' marketing structures, Changes don't equal results For all that restructuring, marketers aren't overwhelmed by the results. Besides the 13% who were very satisfied with their current structures, another 47% were somewhat satisfied, but 18% were neutral and 23% were either somewhat or very dissatisfied. (Numbers don't add up to 100% because of rounding.) Remarkably, fewer than half (48%) of respondents said structural changes to marketing had actually improved their companies' marketing abilities during the past two years. Another 17% said restructuring had worsened abilities, and 36% saw no change.

The silver lining is that the bigger spenders -- the business-to-consumer marketers -- have a somewhat sunnier outlook on the effectiveness of reorganization than the business-to-business marketers. More than half (55%) of the business-to-consumer marketers said restructuring had improved marketing effectiveness; 15% felt very satisfied with their current structures, and 70% were very or somewhat satisfied.
The impact of restructuring notwithstanding, however, marketing executives of all stripes appear to believe they're getting better -- and more influential.


Il processo di riorganizzazione sembra non essere ancora soddisfacente e quindi c'è molto da fare ma le performance generali sono molto migliorate

General performance has improved More than half -- 61% -- said marketing's performance has improved in the past two years. And while only 21% of respondents said they interact with their companies at the C level, marketing executives' evaluation of their influence appears to be growing. The percentage who said marketing leads other functions grew three percentage points to 26% from a similar survey two years ago. And the percentage who said marketing follows or has limited interactions with other functions dropped to 8% from 19% two years ago. The rest of the respondents, in each year, said marketing participates alongside other functions.

Le aziende cercano una migliore integrazione dei processi di marketing

The survey found that 49% of respondents believe marketing has become more centralized the past two years, and 52% described their companies as centralized vs. 30% decentralized and 18% as a hybrid. Integration of disciplines within marketing is also clearly on the rise; 65% said their units are more integrated than two years ago. "Companies are clearly moving to rein in dispersed marketing organizations and tightly integrate all the marketing disciplines," Bob Liodice, CEO of the ANA, said in a statement. "However, at this point, creating the optimal marketing organization is still a work in progress."

Come sempre, P&G e Unilever sono sempre avanti.


Moves in recent weeks by the world's two biggest marketing spenders -- Procter & Gamble Co. and Unilever -- are among the signs that the work may never quite be complete. Both have in the past decade adopted hybrid combinations of global brand-building organizations and regional operations focused on retailers, media and other marketing roles. But both keep tweaking -- and paring -- the model too. In the past year, P&G has moved some shopper-marketing managers and researchers, as well as Hispanic marketers, from regional or field organizations to work as part of brand teams. It also has centralized some functions, such as management of in-store marketing displays. Unilever last week said it will consolidate its global food and home and personal-care brand-development organization under a single global executive.

Quali insegnamenti possiamo trarre da questo?


Le grandi imprese, hanno capito che hanno perso il controllo sui processi di marketing e che devono ripensare loro paradigmi di marketing in un'ottica più collaborativa, mettendo realmente le persone al centro, ma per questo devono essere aiutate. Nuove strutture di consulenza stanno già operando ibridando competenze, integrando processi, ma poi non trovano adeguati partner per progetti di comunicazione evoluti.

La situazione difficilmente potrà cambiare nel breve periodo per le seguenti ragioni:
  • non ci può essere cambiamento nel mondo delle agenzie, se non c'è dibattito, occorre aver il coraggio di far emergere i problemi reali e trovare delle soluzioni. Smettiamo di dire che in Italia manca la creatività, non è così, il problema reale delle agenzie è di leadership.
  • le riviste di comunicazione italiane, tengono un approccio di basso profilo, perché temono di perdere investitori pubblicitari (le agenzie), ma così facendo rischiano di perdere credibilità e lettori
  • acquisire agenzie specializzate, non porterà alcun beneficio ai grandi gruppi dell'advertising, se non si farà un adeguato lavoro sulla "nuova cultura della comunicazione", sulla formazione permanente, sulla revisione dei processi, sui modelli di remunerazione e sulla ricerca e sviluppo
I problemi ci sono, ignorarli non li farà scomparire.

Sono convinto che le agenzie di comunicazione statunitensi, sudafricane, inglesi, non sono più avanti di quelle italiane perchè hanno creativi migliori, ma perchè hanno avuto il coraggio di affrontare i problemi a testa alta.

Quando lo capiremo, quel giorno il cambiamento sarà possibile anche in Italia.

2 Comments:

Blogger Unknown said...

Forse in Italia il sistema va bene così a tutti: le aziende non si preoccupano di ROI sempre più bassi, e non chiedono ale agenzie qualcosa di diverso perchè ne sanno meno di loro. Il sistema potrebbe ripiegarsi su sè stesso? Non credo, come al solito (l'ho letto sui libri, io non c'ero:))all'ultimo momento verrà fuori un guru ascoltato che dirà tre cose in croce che in USA si sanno da anni, e tutti dietro in "sheep style". Internet è un esempio: tutti a proporre banner-siti-blog senza sapere perchè, e quale andasse meglio. Rimango della mia idea: la vera rivoluzione sarà scegliere il "come" (il mezzo) partendo dal "cosa" (il messaggio), e non offrire al cliente l'ultima trovata tecnologica perchè fa più immagine. Allora potremo vedere dell'innovazione anche sulla carta stampata.
ciao

6/3/08 11:43  
Blogger gianandrea said...

Sponsorizzo quello che scrive Baldo. Non dimentichiamoci poi che c'è un altro grande ostacolo a questo tipo di evoluzione: tutto questo nuovo sta sconvolgendo i sistemi di misurabilità. E senza misurabilità, le aziende che non hanno una personalità forte (vedi P&G o Lever) si fermano. Le agenzie, d'altrocanto, devono badare più alla reportistica trimestrale che alla soddisfazione dei clienti. A LeWeb3 a Parigi, un boss del gruppo WPP ha detto che loro non hanno risorse e tempo per costruire queste professionalità all'interno. Costa meno acquistarle fuori (con grande gioia di chi le mette in piedi). I problemi seguono quando si cerca di incastrare queste società all'interno di passaggi obbligati tipici della grandi corporation: Sap, Sox, etc.

6/3/08 15:47  

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