Si può promuovere un "brand" sui social media?
Entro un po' a gamba tesa in una discussione molto accesa che ha luogo in questo periodo in rete.
Non sono d'accordo con chi ritiene che sui social media non si possa parlare direttamente di business, o meglio, non si possa cercare di valorizzare in modo esplicito il proprio lavoro.
Contesto soprattutto la frase in cui si sostiene "che se un blogger agisce in vista di un fine debba necessariamente uscire dall'economia del dono e perdere la propria libertà". Ma chi lo ha detto?
"Promuovere" la reputazione di un brand, usare i social media per diffondere i propri valori professionali,
non significa necessariamente vendere un prodotto, o diffondere autospottoni.
Le aziende che sponsorizzano ad esempio progetti pubblici creano delle situazioni win win anche se hanno un fine. Ha meno valore l'attività di beneficenza che porta avanti la fondazione Bill e Melinda Gates, considerando che porterà ad un beneficio fiscale? Ritengo inutile fare sempre il processo alle intenzioni. La dietrologia è lo sport nazionale qui in Italia.
Credo che la cosa più importante per ogni attività svolta è che ci sia sempre la massima trasparenza. Per questo ritengo importante che chi opera professionalmente in rete e vuole ad esempio aprire un blog dichiari le sue finalità, in modo tale che non ci siano fraintendimenti. Tutti gli altri invece non ne hanno alcun bisogno.
Come dieci anni fa, sono ancora tante le persone che ritengono che la presenza delle aziende in rete costituisca una sorta di inquinamento, io non lo credo. Solo in Italia il business non può entrare ad esempio nei BarCamp, per una sorta di idealismo romantico, all'estero non è così. Al contrario è un'occasione per lanciare start up e creare nuove opportunità di lavoro.
Sono il primo a sostenere che il marketing prevalente sia in molti casi predatorio e che la pubblicità che dobbiamo subire sia invasiva, così come troppa politica sia oggi sporca. Non deve essere così, questa non è la normalità. Io voglio cambiare questa situazione.
Non esiste una blogosfera commerciale, come la definisce con una punta di snobismo Mantellini, ma una blogosfera ampia e variegata in cui convivono interessi, opinioni, pensieri differenti ed è giusto che sia così, poi ognuno sceglie quella che preferisce.
Non sono d'accordo con chi ritiene che sui social media non si possa parlare direttamente di business, o meglio, non si possa cercare di valorizzare in modo esplicito il proprio lavoro.
Contesto soprattutto la frase in cui si sostiene "che se un blogger agisce in vista di un fine debba necessariamente uscire dall'economia del dono e perdere la propria libertà". Ma chi lo ha detto?
"Promuovere" la reputazione di un brand, usare i social media per diffondere i propri valori professionali,
non significa necessariamente vendere un prodotto, o diffondere autospottoni.
Le aziende che sponsorizzano ad esempio progetti pubblici creano delle situazioni win win anche se hanno un fine. Ha meno valore l'attività di beneficenza che porta avanti la fondazione Bill e Melinda Gates, considerando che porterà ad un beneficio fiscale? Ritengo inutile fare sempre il processo alle intenzioni. La dietrologia è lo sport nazionale qui in Italia.
Credo che la cosa più importante per ogni attività svolta è che ci sia sempre la massima trasparenza. Per questo ritengo importante che chi opera professionalmente in rete e vuole ad esempio aprire un blog dichiari le sue finalità, in modo tale che non ci siano fraintendimenti. Tutti gli altri invece non ne hanno alcun bisogno.
Come dieci anni fa, sono ancora tante le persone che ritengono che la presenza delle aziende in rete costituisca una sorta di inquinamento, io non lo credo. Solo in Italia il business non può entrare ad esempio nei BarCamp, per una sorta di idealismo romantico, all'estero non è così. Al contrario è un'occasione per lanciare start up e creare nuove opportunità di lavoro.
Sono il primo a sostenere che il marketing prevalente sia in molti casi predatorio e che la pubblicità che dobbiamo subire sia invasiva, così come troppa politica sia oggi sporca. Non deve essere così, questa non è la normalità. Io voglio cambiare questa situazione.
Non esiste una blogosfera commerciale, come la definisce con una punta di snobismo Mantellini, ma una blogosfera ampia e variegata in cui convivono interessi, opinioni, pensieri differenti ed è giusto che sia così, poi ognuno sceglie quella che preferisce.
3 Comments:
io vedo molto fondamentalismo in certe posizioni, in cui il blogger è un puro solo perche' ha la fortuna che nella vita ha un lavoro che non dipende per nulla dal blog.
ma rimango molto scettico sul fatto che le aziende medio grandi possano usare i social network in qualche modo. rimango del parere che solo le persone sono "socialqualcosa"
Sono d'accordo, perchè ritengo che le aziende siano formate da persone, solo le persone che rappresentano delle aziende possono conversare. Non puoi parlare con delle entità astratte.
La promozione di un brand in rete è la sfida più difficile che una azienda possa intraprendere.
Se con i media tradizionali uni-laterali tutto sommato si può controllare il messaggio, la rete scopre il fianco. L'azienda che vuole promuoversi in rete deve farlo solo ed esclusivamente se riesce a mantenere la promessa! se non si è in grado, meglio lavorare off-line e non pensare nemmeno un secondo all'on-line.
Stando sui blog, leggo di quelle cose abberranti: blog che si spacciano per "formativi/informativi" e che malamente tentano di nascondere le finalità di business.
A mio avviso il problema del fallimento di molti blog corporate è proprio questo: l'incapacità di essere "personali". La quasi totalità sono asettici, non si sblianciano, sembrano articoli mal scritti di magazine di quarto ordine, publi-redazionali a cui manca solo la scritta "informazioni dalle aziende".
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