A proposito di freschezza
Il mio post sulla "freschezza" ha suscitato qualche reazione. Ho ricevuto diverse mail di commento da parte di persone che ne condividono lo spirito.
In particolare ho ricevuto le riflessioni di Luca Oliverio, che ho deciso di non pubblicare come commento al post, non perchè non fosse appropriato (tutt'altro), ma perchè così facendo non avrebbe avuto l'evidenza che merita. Ho invece preferito di affrontare i temi che Luca introduce.
Cosi mi scrive Luca:
Non è tanto il marketing, quanto i marketer e i dirigenti (ad avere bisogno di freschezza ndt) Sembra che tutti adesso pensino al breve periodo, trasformato a dire il vero in un immediato-periodo, senza badare al medio e ancor meno al lungo periodo. Ma i pubblicitari lavorano su "dovete avere pazienza, i risultati arriveranno", stronzate! Oggi si cerca di vendere pubblicità e non prodotti, brand. La star strategy di Saguela ha rintronato i creativi italiani (ma non solo, poiché anche lord Maurice Saatchi dichiara defunta la pubblicità - dichiarazione che tra l'altro non giova a nessuno e sarebbe meglio smettere di fare stupidi proclami obitoristici). La pubblicità è una forma di comunicazione che serve ad alimentare le vendite e troppo spesso ci si dimentica di questo punto fondamentale... Caro Maurizio, sarebbe il caso di aprire questo dibattito in Italia. Dal mio piccolo e povero punto di vista la pubblicità deve riscoprire la programmazione nel medio-lungo periodo, senza disattendere le vendite nell'immediatezza, ma non deve vendere solo brand, sogni, deve vendere prodotti e far rientrare dalle spese i clienti. Conosco aziende che hanno investito milioni di euro e che non hanno avuto nessun ritorno, ne nell'immediato e tanto meno nel lungo periodo. Questa è la peggiore pubblicità che si possa fare la pubblicità, grazie ai nostri colleghi... far buttare al vento milioni di euro è uno spreco incredibile e indicibile... Insomma, Maurizio, qui non c'è bisogno di freschezza, ma solo di tornare a vendere quello che i clienti ci chiedono di vendere. Troppa accademia, hai ragione, e poca praticità. Scusami per il lungo intervento ma è un argomento che ho molto a cuore e che abbiamo anche discusso a "creatives are bad".
Ha ragione Luca e le sue parole mi stimolano ad articolare meglio il mio pensiero.
E' certamente vero che un mondo, quello pubblicitario che si è basato quasi interamente su una comunicazione interstiziale incentrata sullo spot da 30"" deve cambiare.
E' anche vero che i social media pongono ai pubblicitari nuove sfide, ma da qui a dire che la pubblicità sia morta ne corre. E' una cretinata colossale.
La pubblicità è sicuramente sotto stress, ma certamente non in crisi, sta invece entrando in un nuovo ciclo e deve affrontare tante difficoltà, ma le supererà certamente. Stiamo parlando di uno dei settori economici più importanti per qualsiasi economia avanzata.
E' doveroso un richiamo all'innovazione, al ricambio generazionale, alla formazione permanente per il comparto della pubblicità, perchè la "transizione al digitale" sta radicalmente trasformando il modo di comunicare, ma occorre dire che come giustamente ha fatto notare qualcuno, che per un vero creativo non cambierà molto. Si tratta di progettare nuove forme di comunicazione utilizzando nuovi linguaggi e nuovi mezzi. E' sempre stato così. Il vero creativo dorme sogni tranquilli.
Se la pubblicità è realmente morta, cosa la sostituisce? Il product placement? Il marketing virale?
Siamo seri. Un'operazione di product placement per un brand che di partenza è poco noto, è destinata a fallire.
Nessuna campagna di marketing virale da sola sarà mai in grado di spiegare ai consumatori gli attributi di un prodotto e di un sistema di offerta.
So di non essere originale, ma la parola d'ordine è integrazione. Tutti ne parlano, nessuno progetta campagne di comunicazione realmente integrate.
Occorre comprendere tutti i mezzi vecchi e nuovi per poterli utilizzare in modo armonioso ed equilibrato, senza lasciarsi tentare dalle mode del momento.
Lasciatemi nuovamente ribadire il mio pensiero. Quello di cui sento la maggiore mancanza in Italia non è la creatività di tipo artistico, ma quella di processo, che si basa sulla conoscenza in profondità delle caratteristiche e dei limiti di ogni piattaforma di comunicazione, in modo da potere sperimentare nuovi linguaggi adatti ai nuovi modelli di fruizione.
La creatività di processo consente anche di trovare nuove modalità di comunicazione più efficienti oltre che più efficaci perchè molte agenzie hanno dimenticato che i budget non sono infiniti.
Quello che manca è il coraggio di essere umili e di ammettere che la creatività non è il monopolio di pochi creativi di agenzia, ma è diffusa, basta navigare su YouTube per rendersene conto. La creatività è un patrimonio dell'umanità.
La suddivisione tra vecchi e nuovi media è sterile, così come controproducente l'organizzazione di agenzie e aziende in compartimenti stagni.
L'orientamento alle vendite è sicuramente importante, ma non a discapito della capacità di costruire relazioni stabili e durature incentrate sulla fiducia.
Ci sono professionisti della comunicazione che operano da tantissimi anni e hanno accumulato una sensibilità e un livello di professionalità davvero notevoli, ma anche loro hanno il dovere di chiedersi:
Quale è il significato di pubblicità oggi? Quale è il suo ruolo? Che cosa ci si aspetta dalla pubblicità? Questo dibattito è più vivo che mai. Le risposte sono certamente tante e differenti, secondo i vari punti di vista che non sono necessariamente in contraddizione fra loro.
Quando si pongono le domande, occorre ricordarsi che le risposte anche quelle "giuste" non sono valide in eterno.
Sappiamo molto bene quello che dobbiamo fare: occorre trovare nuove modalità di dialogo tra un brand e i propri pubblici, dobbiamo aumentare le nostre capacità di ascolto per offire una comunicazione, rilevante, d'impatto, per ritrovare quella credibilità che purtroppo è andata persa. Quello che ancora non è chiaro è come farlo. Anche qui non ci può essere una sola risposta.
Piantiamola con gli alibi e con le sterili polemiche c'è tanto lavoro da fare è ognuno deve fare la sua parte.
Andiamo pure ai convegni, ma cominciamo a dire le cose come stanno. Perchè tutti noi, la realtà la conosciamo molto bene, ma per una volta faremmo meglio a smettere di prenderci in giro.
Per questa ragione faccio autocritica, perchè è l'unico modo per potero ripartire per nuove sfide.
In particolare ho ricevuto le riflessioni di Luca Oliverio, che ho deciso di non pubblicare come commento al post, non perchè non fosse appropriato (tutt'altro), ma perchè così facendo non avrebbe avuto l'evidenza che merita. Ho invece preferito di affrontare i temi che Luca introduce.
Cosi mi scrive Luca:
Non è tanto il marketing, quanto i marketer e i dirigenti (ad avere bisogno di freschezza ndt) Sembra che tutti adesso pensino al breve periodo, trasformato a dire il vero in un immediato-periodo, senza badare al medio e ancor meno al lungo periodo. Ma i pubblicitari lavorano su "dovete avere pazienza, i risultati arriveranno", stronzate! Oggi si cerca di vendere pubblicità e non prodotti, brand. La star strategy di Saguela ha rintronato i creativi italiani (ma non solo, poiché anche lord Maurice Saatchi dichiara defunta la pubblicità - dichiarazione che tra l'altro non giova a nessuno e sarebbe meglio smettere di fare stupidi proclami obitoristici). La pubblicità è una forma di comunicazione che serve ad alimentare le vendite e troppo spesso ci si dimentica di questo punto fondamentale... Caro Maurizio, sarebbe il caso di aprire questo dibattito in Italia. Dal mio piccolo e povero punto di vista la pubblicità deve riscoprire la programmazione nel medio-lungo periodo, senza disattendere le vendite nell'immediatezza, ma non deve vendere solo brand, sogni, deve vendere prodotti e far rientrare dalle spese i clienti. Conosco aziende che hanno investito milioni di euro e che non hanno avuto nessun ritorno, ne nell'immediato e tanto meno nel lungo periodo. Questa è la peggiore pubblicità che si possa fare la pubblicità, grazie ai nostri colleghi... far buttare al vento milioni di euro è uno spreco incredibile e indicibile... Insomma, Maurizio, qui non c'è bisogno di freschezza, ma solo di tornare a vendere quello che i clienti ci chiedono di vendere. Troppa accademia, hai ragione, e poca praticità. Scusami per il lungo intervento ma è un argomento che ho molto a cuore e che abbiamo anche discusso a "creatives are bad".
Ha ragione Luca e le sue parole mi stimolano ad articolare meglio il mio pensiero.
E' certamente vero che un mondo, quello pubblicitario che si è basato quasi interamente su una comunicazione interstiziale incentrata sullo spot da 30"" deve cambiare.
E' anche vero che i social media pongono ai pubblicitari nuove sfide, ma da qui a dire che la pubblicità sia morta ne corre. E' una cretinata colossale.
La pubblicità è sicuramente sotto stress, ma certamente non in crisi, sta invece entrando in un nuovo ciclo e deve affrontare tante difficoltà, ma le supererà certamente. Stiamo parlando di uno dei settori economici più importanti per qualsiasi economia avanzata.
E' doveroso un richiamo all'innovazione, al ricambio generazionale, alla formazione permanente per il comparto della pubblicità, perchè la "transizione al digitale" sta radicalmente trasformando il modo di comunicare, ma occorre dire che come giustamente ha fatto notare qualcuno, che per un vero creativo non cambierà molto. Si tratta di progettare nuove forme di comunicazione utilizzando nuovi linguaggi e nuovi mezzi. E' sempre stato così. Il vero creativo dorme sogni tranquilli.
Se la pubblicità è realmente morta, cosa la sostituisce? Il product placement? Il marketing virale?
Siamo seri. Un'operazione di product placement per un brand che di partenza è poco noto, è destinata a fallire.
Nessuna campagna di marketing virale da sola sarà mai in grado di spiegare ai consumatori gli attributi di un prodotto e di un sistema di offerta.
So di non essere originale, ma la parola d'ordine è integrazione. Tutti ne parlano, nessuno progetta campagne di comunicazione realmente integrate.
Occorre comprendere tutti i mezzi vecchi e nuovi per poterli utilizzare in modo armonioso ed equilibrato, senza lasciarsi tentare dalle mode del momento.
Lasciatemi nuovamente ribadire il mio pensiero. Quello di cui sento la maggiore mancanza in Italia non è la creatività di tipo artistico, ma quella di processo, che si basa sulla conoscenza in profondità delle caratteristiche e dei limiti di ogni piattaforma di comunicazione, in modo da potere sperimentare nuovi linguaggi adatti ai nuovi modelli di fruizione.
La creatività di processo consente anche di trovare nuove modalità di comunicazione più efficienti oltre che più efficaci perchè molte agenzie hanno dimenticato che i budget non sono infiniti.
Quello che manca è il coraggio di essere umili e di ammettere che la creatività non è il monopolio di pochi creativi di agenzia, ma è diffusa, basta navigare su YouTube per rendersene conto. La creatività è un patrimonio dell'umanità.
La suddivisione tra vecchi e nuovi media è sterile, così come controproducente l'organizzazione di agenzie e aziende in compartimenti stagni.
L'orientamento alle vendite è sicuramente importante, ma non a discapito della capacità di costruire relazioni stabili e durature incentrate sulla fiducia.
Ci sono professionisti della comunicazione che operano da tantissimi anni e hanno accumulato una sensibilità e un livello di professionalità davvero notevoli, ma anche loro hanno il dovere di chiedersi:
Quale è il significato di pubblicità oggi? Quale è il suo ruolo? Che cosa ci si aspetta dalla pubblicità? Questo dibattito è più vivo che mai. Le risposte sono certamente tante e differenti, secondo i vari punti di vista che non sono necessariamente in contraddizione fra loro.
Quando si pongono le domande, occorre ricordarsi che le risposte anche quelle "giuste" non sono valide in eterno.
Sappiamo molto bene quello che dobbiamo fare: occorre trovare nuove modalità di dialogo tra un brand e i propri pubblici, dobbiamo aumentare le nostre capacità di ascolto per offire una comunicazione, rilevante, d'impatto, per ritrovare quella credibilità che purtroppo è andata persa. Quello che ancora non è chiaro è come farlo. Anche qui non ci può essere una sola risposta.
Piantiamola con gli alibi e con le sterili polemiche c'è tanto lavoro da fare è ognuno deve fare la sua parte.
Andiamo pure ai convegni, ma cominciamo a dire le cose come stanno. Perchè tutti noi, la realtà la conosciamo molto bene, ma per una volta faremmo meglio a smettere di prenderci in giro.
Per questa ragione faccio autocritica, perchè è l'unico modo per potero ripartire per nuove sfide.
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