Media sotto assedio
C'è chi continua a raccontare la favoletta che la transizione al digitale sta andando benissimo, che siamo i migliori al mondo sul digitale terrestre e che la penetrazione delle linee adsl ci mostra dei dati incoraggianti e ci fa ben sperare in un futuro digitale.
La verità non è questa. Da una parte abbiamo i dati che ci dimostrano quanto sia radicato l'analfabetismo digitale nel nostro Paese e dall'altra parte abbiamo un'industria dei media sotto assedio.
I media italiani, soprattutto i broadcaster, (ma anche gli editori non stanno meglio), si trovano tra l'incudine e il martello. Da una parte non sono in grado di competere con le produzioni televisive internazionali ad alto budget, se non in rari casi. Dall'altro subiscono la concorrenza sotto il profilo dell'attenzione dei contenuti generati dagli utenti disponibili su internet.
I media si trovano proiettati in un mondo in profonda evoluzione caratterizzato da un rapido cambiamento tecnologico e si trovano a dovere ripensare i propri modelli di business oggi profondamente in crisi a causa di un'audience che si frammenta sempre di più.
Nelle conferenze pubbliche si dice che tutto va bene, mentre nelle sale riunioni, in privato, si ammette che la situazione non è poi cosi rosea.
Credo che un primo passo sia quello di ammettere che c'è ancora tanto da fare e cominciare ad unire le forze, non per ottenere qualche finanziamento a pioggia in più, ma per cercare di comprendere come rendere il futuro dei media italiani più competitivo.
Chi comincia?
Nell'immagine, l'assedio di Monselice 1510 come narrata dal Guicciardini.
La verità non è questa. Da una parte abbiamo i dati che ci dimostrano quanto sia radicato l'analfabetismo digitale nel nostro Paese e dall'altra parte abbiamo un'industria dei media sotto assedio.
I media italiani, soprattutto i broadcaster, (ma anche gli editori non stanno meglio), si trovano tra l'incudine e il martello. Da una parte non sono in grado di competere con le produzioni televisive internazionali ad alto budget, se non in rari casi. Dall'altro subiscono la concorrenza sotto il profilo dell'attenzione dei contenuti generati dagli utenti disponibili su internet.
I media si trovano proiettati in un mondo in profonda evoluzione caratterizzato da un rapido cambiamento tecnologico e si trovano a dovere ripensare i propri modelli di business oggi profondamente in crisi a causa di un'audience che si frammenta sempre di più.
Nelle conferenze pubbliche si dice che tutto va bene, mentre nelle sale riunioni, in privato, si ammette che la situazione non è poi cosi rosea.
Credo che un primo passo sia quello di ammettere che c'è ancora tanto da fare e cominciare ad unire le forze, non per ottenere qualche finanziamento a pioggia in più, ma per cercare di comprendere come rendere il futuro dei media italiani più competitivo.
Chi comincia?
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