Ero di partenza per Roma, il volo era prenotato nel primo pomeriggio. Essendo ora di pranzo ho deciso di mangiare qualcosa di veloce in un ristorante milanese appena ristrutturato, sembra da un noto architetto. Luci brillanti, arredamento elegante tono su tono, tovaglie e decori perfettamente abbinati all’arredamento. Il servizio era molto veloce ed i piatti da me ordinati ben preparati.
Sulle pareti figuravano ben in vista le fotografie con dedica di noti personaggi del mondo dello sport, del cinema e della televisione immortalati con il proprietario del locale.
Probabilmente non ci andrò più in quel ristorante o comunque non frequentemente. Ci sono a Milano centinaia di ristoranti che si assomigliano, si distinguono solo dalle tonalità dei colori scelti dall’architetto, perché tutto il resto mi sembra troppo simile. Questi ristoranti propongono tutti lo stesso antipasto misto della casa, la stessa tagliata con rucola, le stesse linguine ai frutti di mare e ti offrono come ultima portata gli stessi dessert confezionati da una nota pasticceria industriale, sempre la stessa. Questi locali sono tutti molto eleganti, accoglienti, luminosi, ma …been there, done that.
Circa quattro anni fa ho conosciuto ad un convegno in cui erano relatori, due svedesi dal nome impronunciabile, Kjell Nordström e Jonas Ridderstråle. Si tratta degli autori di un libro non convenzionale sul marketing dal titolo “funky business”. Per delle strane associazioni di pensiero, mi sono tornati in mente quando sono uscito dal ristorante ed in particolare mi sono ricordato di una loro affermazione che mi ha fatto molto riflettere: “in una società del surplus, vi è un surplus di imprese simili, che impiegano persone simili, con simili background universitari e che avranno idee simili e quindi produrranno prodotti simili, con prezzi e qualità simili.”
Nel frattempo è giunto il taxi che avevo chiamato e nel lungo tragitto nel traffico, visto che il conducente era poco loquace, sono tornato a pensare alla fungibilità della maggior parte delle informazioni, dei prodotti e dei servizi che ci vengono proposti nell’arco di una giornata, il cui ricordo è nella gran parte dei casi destinato a dissolversi come il ghiaccio nel bicchiere della bottiglia di acqua minerale, la cui pubblicità mi è apparsa in un mega poster affisso sui muri di un palazzo in corso di ristrutturazione.
E’ proprio vero che come scrive Jesper Kunde, nel suo libro “unique now…or never”, che le “imprese hanno definito così tante best practice da essere più o meno identiche fra loro”. Siamo circondati da negozi che hanno vetrine simili, veniamo esposti a pubblicità sempre più numerose che utilizzano gli stessi schemi di comunicazione.
Immerso nei miei pensieri, non mi ero accorto di essere arrivato all’aereoporto, il conducente di taxi, mi ha riportato alla realtà, chiedendomi se avevo bisogno di ricevuta.
L’aereoporto di Linate lo conosco molto bene, faccio fatica a tenere a mente il numero di volte che mi sono imbarcato per Roma, passando i corridoi verso l’area dei controlli del bagaglio, circondato dai soliti pannelli pubblicitari delle società di consulenza, di quelle telefoniche, o delle imprese di autonoleggio così simili fra di loro che oramai fanno parte a pieno titolo dell’ambiente.
Il mio volo è stato chiamato con circa dieci minuti di ritardo, oramai è un’abitudine di quasi tutte le compagnie aeree italiane. Come molti, ho acquistato dal call center un biglietto elettronico, scegliendo accuratamente la compagnia area in base al prezzo, visto che sono tutte così simili fra loro, soprattutto quelle che fanno la tratta Milano-Roma.
Un breve tragitto sullo shuttle della società aeroportuale ed eccomi imbarcato sull’areomobile. Due hostess dalla divisa perfettamente coordinata a cui non manca il foulard d’ordinanza, dopo aver recitato con poca convinzione il mantra delle operazioni di emergenza e averci informato sull’elenco delle disposizioni di sicurezza di cui è dotato il velivolo ci hanno offerto la solita bibita e la scelta fra un pacchetto di salatini ed una mini confezione di biscotti. Il tempo di volo è di circa 50 minuti che vengono parzialmente trascorsi sfogliando la rivista della linea aerea che propone i soliti articoli di arte, cultura e business, anche se di prestigiosi autori i cui articoli appaiono scritti senza particolare convinzione.
Atterriamo all’aereoporto di Fiumicino, un taxi mi porta all’albergo.L’unico pensiero che vaga per la mia mente è per una doccia. Arrivato in albergo, mi sistemo in camera, è accogliente spaziosa, arredata convenzionalmente come si addice ad un hotel riservato ad una utenza business simile a tantissimi altri alberghi della stessa categoria.
Leggo il solito messaggio di benvenuto personalizzato sull’apparecchio televisivo, mi mangio il cioccolatino delicatamente appoggiato sul cuscino ed in attesa della cena in un tipico ristorante romano, con un arredamento un po’ approssimativo, ma finalmente ricco di personalità, ripenso con tenerezza a chi ancora propone l'immagine coordinata.
L'opera è di Mario Mafai (Osteria Romana - 1943)
1 Comments:
Io credo che la saturazione di cui Lei parla sia in buona parte voluta e cercata anche dalle persone, anche da quesgli utenti business che poi vanno alle conferenze a parlare di marketing e punti vendita innovativi. Spesso il tempo per elaborare nuove forme di consumo viene visto come uno spreco o al massimo un lusso del sabato sera, durante la settimana "sempre la stessa cosa" è un rituale che permette di ottimizzare i bisogni fisiologici di cibarsi e riposare nell'illusione di un ambiente tailor made, in realtà la personalizzazione che viene dal data mining è illusoria e per alcuni quasi un'offesa all'intelletto. Forse qualcuno l'ha capito, come l'hotel Puerta America di Madrid ad esempio, se ne parla qui http://www.design.tv.it/tiki-read_article.php?articleId=413
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