domenica, novembre 19, 2006

Il pensiero lento 

Viviamo in un mondo che cambia a ritmi vertiginosi e siamo così presi dal rincorrere l'evoluzione tecnologica che non riusciamo più a distinguere tra cosa sia importante e cosa non lo è.

Siamo qui a cercare di comprendere le dinamiche del web 2.0 quando tante agenzie pubblicitarie e tanti clienti non hanno la più pallida idea di come fare buon uso del web 1.0.

Abbiamo il coraggio di ammettere che stiamo affrontando veramente male questa transizione al digitale.

Ragazzi che sapete tutto di Ajax, siete sicuri di sapere cosa sia un GRP? La comunicazione digitale è soprattutto comunicazione prima di essere digitale.

Quando la velocità è tale da provocarci giramenti di capo è il momento di chiudere il nostro aggregatore e di fermarci a riflettere ed esaltare il pensiero lento.

Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina. Bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, sentire la stanchezza conquistare come una malinconia le membra, invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.

Bisogna imparare a star da sé e aspettare in silenzio, ogni tanto esser felici di avere in tasca soltanto le mani. Andare lenti è incontrare cani senza travolgerli, è dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce, è trovare una panchina, è portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada, bolle che salgono a galla e che quando son forti scoppiano e vanno a confondersi al cielo. È suscitare un pensiero involontario e non progettante, non il risultato dello scopo e della volontà, ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo, da un accordo tra mente e mondo.

Andare lenti è fermarsi su un lungomare, su una spiaggia, su una scogliera inquinata, su una collina bruciata dall’estate, andare col vento di una barca e zigzagare per andar dritti. Andare lenti è conoscere le mille differenze della propria forma di vita, i nomi degli amici, i colori e le piogge, i giochi e le veglie, le confidenze e le maldicenze. Andare lenti sono le stazioni intermedie, i capistazione, i bagagli antichi e i gabinetti, la ghiaia e i piccoli giardini, i passaggi a livello con gente che aspetta, un vecchio carro con un giovane cavallo, una scarsità che non si vergogna, una fontana pubblica, una persiana con occhi nascosti all’ombra.

Andare lenti è rispettare il tempo, abitarlo con poche cose di grande valore, con noia e nostalgia, con desideri immensi sigillati nel cuore e pronti ad esplodere oppure puntati sul cielo perché stretti da mille interdetti. Andare lenti è ruminare, imitare lo sguardo infinito dei buoi, l’attesa paziente dei cani, sapersi riempire la giornata con un tramonto, pane e olio.

Andare lenti vuol dire avere un grande armadio per tutti i sogni, con grandi racconti per piccoli viaggiatori, teatri plaudenti per attori mediocri, vuol dire una corriera stroncata da una salita, il desiderio attraverso gli sguardi, poche parole capaci di vivere nel deserto, la scomparsa della folla variopinta delle merci e il tornar grandi delle cose necessarie. Andare lenti è essere provincia senza disperare, al riparo dalla storia vanitosa, dentro alla meschinità e ai sogni, fuori della scena principale e più vicini a tutti i segreti.

Andare lenti è il filosofare di tutti, vivere ad un’altra velocità, più vicini agli inizi e alle fini, laddove si fa l’esperienza grande del mondo, appena entrati in esso o vicini al congedo. Andare lenti significa poter scendere senza farsi male, non annegarsi nelle emozioni industriali, ma essere fedeli a tutti i sensi, assaggiare con il corpo la terra che attraversiamo. Andare lenti vuol dire ringraziare il mondo, farsene riempire.

C’è più vita in dieci chilometri lenti e a piedi che in una rotta transoceanica che ti affoga nella tua solitudine progettante, un’ingordigia che non sa digerire. Si ospitano più altri quando si guarda un cane, un’uscita da scuola, un affacciarsi al balcone, quando in una sosta buia si osserva un giocare a carte, che in un volare, in un faxare, in un internettare. Questo pensiero lento è l’unico pensiero, l’altro è il pensiero che serve a far funzionare la macchina, che ne aumenta la velocità, che si illude di poterlo fare all’infinito. Il pensiero lento offrirà ripari ai profughi del pensiero veloce, quando la macchina inizierà a tremare sempre di più e nessun sapere riuscirà a soffocare il tremito. Il pensiero lento è la più antica costruzione antisismica.

Bisogna sin da adesso camminare, pensare a piedi, guardare lentamente le case, scoprire quando il loro ammucchiarsi diventa volgare, desiderare che dietro di esse torni a vedersi il mare. Bi sogna pensare la Misura che non è pensabile senza l’andare a piedi, senza fermarsi a guardare gli escrementi degli altri uomini in fuga su macchine veloci. Nessuna saggezza può venire dalla rimozione dei rifiuti. È da questi, dal loro accumulo, dalla merda industriale del mondo che bisogna ripartire se si vuole pensare al futuro.

I veloci, i progettanti, i convegnisti, i giornalisti consumano voracemente il mondo e pensano di migliorarlo. La lentezza sa amare la velocità, sa apprezzarne la trasgressione, desidera anche se teme (quanta complessità apre questa contraddizione !) la profanazione contenuta nella velocità, ma la profanazione di massa non ha nulla della sacertà che pure si annida nel sacrilegio, è l’empietà senza valore, un diritto universale all’oltraggio. Nessuna esperienza è più stolida della velocità di massa, della profanazione che non si sa.

Per andare lenti bisogna partire per tempo e non aspettare il mercato che potrebbe anche non venire.

Si può andare lenti solo se si sa dove si vuole andare e se non si gira a vuoto, ma questa è la cosa più difficile.

Io amo la velocità, per questo ogni tanto mi fermo ad osservare il paesaggio, quello che tanti rincorrono e che forse non vedranno mai.

6 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Concordo.
Il tempo è la risorsa più scarsa.
Essere first movers non sempre significa allocazione corretta della risorsa tempo.
Il parametro di misurazione delle performance sono i progetti non i minuti, non siamo sempre in emergenza.
A chi mi dice "non ho tempo neanche per i bisogni" posso solo suggerire di fermarsi e valutare se è un'errata allocazione del tempo oppure necessitano maggiori risorse.
Pertinente per chi è sempre alla ricerca di novità e del fare innovazione a prescindere dall'effettiva utilità pratica futura.
Saluti.

Alberto Claudio Tremolada
alberto@bloggeraus.com

20/11/06 09:55  
Anonymous Anonimo said...

Cassano ci parla di lentezza
ma mai come adesso sento il bisogno di Velocità...
Panama city...
qui la lentezza è lo sport nazionale...
dal ritmo di vita al ritmo mentale.
Concordo pienamente con Cassano, precursore con la sua lentezza del marketing mediterraneo,
in grado di stimolare prodotti e servizi innovativi e, contemporaneamente valorizzare le identità senza mischiarle, rispettare ambiente e comunità, arricchire di piaceri e lentezze la vita delle persone...una lentezza sicuramente più veloce e produttiva di quella caraibica.

20/11/06 19:14  
Blogger Maurizio Goetz said...

Per quanto paradossale può sembrare è il paradosso della doppia velocità. Fermarsi a comprendere, capire, analizzare, sperimentare e poi muoversi in fretta avendo ben chiaro dove si vuole andare.

20/11/06 19:46  
Anonymous Anonimo said...

Secondo esperti psicologi il pensiero dicotomico (o questo o quello, o brutto o bello,...) crea conflitto.
Porsi nell'ottica di scegliere tra velocità e lentezza genera un conflitto che conosco fin troppo bene.
Esiste un tempo per ogni cosa e va rispettato.

22/11/06 11:40  
Blogger Maurizio Goetz said...

Esattamente il concetto di tempo è relativo. Esiste il tempo produttivo, quello sociale e quello libero. Questi ambiti devono essere rispettati ogni ambito ha la sua velocità. Dobbiamo superare la cultura dicotomica che ci obbliga a classificare le cose in modo preciso. Queste classificazioni stanno morendo.

22/11/06 12:24  
Blogger artimax said...

Non credo assolutamente esista un'unica velocità costante o una costante di utilizzo della velocità, il tempo è come l'acqua che si adatta al contenitore o alla superficie, ci sono regole nel comunicare che sono sempre valide e regole che si adattano ai mezzi ed ai loro utilizzi che cambiano e si trasformano nel tempo,
Un possibile metodo per capire le dimensioni della comunicazione web attuale potrebbe essere quella di usare il filtro di Foucault sulla censura del discorso, un altro prendere in considerazione la dimensione del corpo di Merlau Ponty o i giochi linguistici di wittgenstein, oppure considerarli tutti e tre, lentezza e velocità sono una necessità socialmente determinata, un bisogno interiore ed un mondo possibile predeterminato

12/10/12 09:35  

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