sabato, ottobre 07, 2006

La politica, l'audiovisivo e il digitale 

La politica deve fare la politica, ma dovrebbe entrare nel cuore delle tematiche che affronta.

La transizione al digitale, una grande opportunità per il nostro Sistema Paese, è stata gestita in modo poco efficace ed incisivo, soprattutto perchè le grandi competenze che ci sono nel nostro Paese in grado di affrontare questi temi non sono state (come accade sempre) coinvolte.

Ci sono volti forse meno noti nei "palazzi di Roma", che sarebbero molto qualificati ad essere chiamati come consulenti dal Governo o dal Ministero delle Telecomunicazioni.

La Commissione Industria del Parlamento europeo boccia la revisione della direttiva "TV Senza Frontiere" proposta dalla Commissione europea

Non è l'evento in se ad essere catastrofico, ma le motivazioni, quelle reali. Una mancanza di conoscenza delle problematiche. Si rimane sempre in superficie.

Prendiamo il caso del product placement. Come ha fatto giustamente notare Viviane Reding, esiste al cinema ed entra in televisione ogni volta che si trasmette un film o telefilm proveniente dall'America. Per questo è necessaria una sua regolamentazione affinchè possa affiorare in un framework di regole chiare.

Forse i nostri politici non sanno che questa pratica ha luogo anche in televisione, tanto è vero che alle conferenze gli imprenditori ammettono di "vestire le presentatrici"o di "inserire i prodotti" nei programmi televisivi, salvo poi smentire quando scoppiano gli scandali.

Se i mercati audiovisivi si trovano di fronte ad un drammatico cambio di paradigma, ciò è dovuto anche ad una scarsa capacità di individuare i veri problemi da parte del mondo della politica.

Non è il finanziamento di un decoder, l'incentivo migliore per convincere un utente a passare al digitale, ma l'esistenza di nuovi contenuti ed un sistema tecnologico che permetta l'interoperabilità.

Non si capisce la ragione per cui un contenuto acquistato attraverso una piattaforma non possa essere legittimamente trasferito su un'altra e fruito dal device che l'utente preferisce in quel determinato momento.


Perchè l'utente deve dotarsi di n decoder con tecnologie proprietarie? Le ragioni del mondo dei broadcaster sono molto chiare, ma quelle per l'utente?

Queste sono le ragioni per cui si creano progetti come Dmin.it che vogliono creare sistemi aperti ad esempio di Digital Right Management, di cui c'è tanto bisogno.

Perchè non finanziare un "laboratorio" per la progettazione ed il test di nuovi contenuti per i nuovi mezzi invece che distribuire finanziamenti a pioggia? Magari l'industria italiana dei contenuti potrebbe cominciare ad esportare format, visto che lo fanno già gli spagnoli.

Perchè non aiutare i piccoli e i medi content provider italiani ad affacciarsi sui mercati internazionali attraverso il finanziamento della presenza in fiere e manifestazioni internazionali per i progetti più meritevoli?

E' una grande occasione per l'Italia per non essere sempre l'ultima ruota del carro. Ci sono nel nostro Paese così tante competenze, meritano di essere valorizzate.

L'immagine è del British Council
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