Un nuovo divario digitale
Come è noto, da quasi quindici anni, le agenzie di pubblicità si sono disinteressate del mondo digitale, soprattutto perchè ritenuto molto lontano dal loro core business. Questo ha favorito l'entrata di nuovi soggetti, le web agencies, che hanno conquistato una larga fetta di mercato della comunicazione digitale, lasciato scoperto.
E' vero che le agenzie tradizionali hanno poi cercato di rimediare acquistando web agencies, creando nuove strutture interne, ma va anche detto che salvo le rare eccezioni dei singoli bravi professionisti, la presenza in rete delle agenzie è sempre stata limitata.
Negli Stati Uniti, la discussione sul necessario processo di trasformazione del ruolo delle agenzie pubblicitarie, alla luce dell'evoluzione del panorama mediale e della trasformazione dei modelli di consumo dei media da parte degli utenti finali, ha avuto luogo alla luce del sole, su riviste e siti come Advertising Age o in pubblici dibattiti nel corso di conferenze, non è successo in Italia. Un esempio fra tutti, da citare la chiusura del blog dell'Art Director's Club o l'autoreferenzialità dei convegni in cui si continua a parlare genericamente di comunicazione, ma in cui i veri problemi non vengono portati alla luce, quindi rimangono irrimedabilmente irrisolti. Si aggiunge a questo scenario la scelta anche comprensibile, delle riviste che si occupano di comunicazione, di non affrontare "certi temi scomodi" per non mettere le agenzie e i loro clienti in imbarazzo e quindi rischiare di perdere budget di comunicazione.
Non si può dire, per essere obiettivi, che le agenzie pubblicitarie nostrane siano rimaste inattive, tuttavia hanno affrontato il problema del cambiamento in misura ancora limitata. Dal mio punto di vista gli elementi su cui dovrebbero confrontarsi nei prossimi mesi sono i seguenti:
E' vero che le agenzie tradizionali hanno poi cercato di rimediare acquistando web agencies, creando nuove strutture interne, ma va anche detto che salvo le rare eccezioni dei singoli bravi professionisti, la presenza in rete delle agenzie è sempre stata limitata.
Negli Stati Uniti, la discussione sul necessario processo di trasformazione del ruolo delle agenzie pubblicitarie, alla luce dell'evoluzione del panorama mediale e della trasformazione dei modelli di consumo dei media da parte degli utenti finali, ha avuto luogo alla luce del sole, su riviste e siti come Advertising Age o in pubblici dibattiti nel corso di conferenze, non è successo in Italia. Un esempio fra tutti, da citare la chiusura del blog dell'Art Director's Club o l'autoreferenzialità dei convegni in cui si continua a parlare genericamente di comunicazione, ma in cui i veri problemi non vengono portati alla luce, quindi rimangono irrimedabilmente irrisolti. Si aggiunge a questo scenario la scelta anche comprensibile, delle riviste che si occupano di comunicazione, di non affrontare "certi temi scomodi" per non mettere le agenzie e i loro clienti in imbarazzo e quindi rischiare di perdere budget di comunicazione.
Non si può dire, per essere obiettivi, che le agenzie pubblicitarie nostrane siano rimaste inattive, tuttavia hanno affrontato il problema del cambiamento in misura ancora limitata. Dal mio punto di vista gli elementi su cui dovrebbero confrontarsi nei prossimi mesi sono i seguenti:
- la digitalizzazione della comunicazione, non riguarda un solo reparto, ma ha un'impatto sull'intera organizzazione di un'agenzia. E' ancora ampio il divario tra gli alfabetizzati e gli analfabeti relativamente alla cultura digitale e grand parte del management rimane analogico
- alcuni ruoli dovrebbero essere rivisti, nella misura in cui la comunicazione digitale necessita di nuove professionalità con competenze trasversali (creative, strategiche, tecnologiche, analitiche)
- una buona parte del dibattito sull'innovazione della cultura della comunicazione digitale, si è spostata dai blog alle piattaforme di lifestreaming su cui una buona parte di agenzie non sono presenti, con il rischio di arrivare sempre tardi, invece di avere un ruolo "propositivo" nei confronti dei loro clienti
- gli ottimi professionisti che si occupano di digitale in alcune agenzie sono percepiti come fratelli minori e si devono scontrare con i propri colleghi che si occupano di media tradizionali, per non dire che vengono loro assegnate in moltissimi casi "le briciole dei budget".
- In molti casi gli stagisti che provengono dalle Università e dalle Scuole di Comunicazione, potrebbero portare nuova linfa, ma per motivi anche comprensibili, finiscono ad occuparsi di problemi contingenti
- nella maggior parte delle agenzie, si fa poca ricerca e sviluppo.
Questo insieme di fattori sta creando un nuovo divario digitale e la situazione si sta aggravando per le seguenti ragioni:
- alcune imprese di grandi dimensioni stanno decidendo per quanto riguarda la comunicazione digitale e la gestione dei social media, di internalizzare nuovamente i processi di comunicazione, esternalizzando solo alcune operatività
- le agenzie di pubbliche relazioni, stanno estendendo il loro raggio di azione sulla nuova comunicazione digitale collaborativa, molto vicina al loro modo di operare
- piccoli professionisti della comunicazione si mettono in rete al fine di garantire nuovi servizi, flessibili e con un livello qualitativo alto a costi molto competitivi.
- emergono nuove forme di comunicazione "non convenzionale", che non sono ancora mainstream, ma che sfuggono al radar di alcune agenzie, ma che vengono proposte con successo da nuovi e vecchi soggetti del mondo digitale
- aumenta il numero di imprese che sta utilizzando piattaforme collaborative o marketplace della creatività, come Zooppa o Bootb, che rendono di fatto commodities, alcuni servizi di comunicazione, che fanno parte del portafoglio di offerta delle agenzie.
- diventa sempre più sofisticata l'offerta di operatori del mondo digitale, come Google o Microsoft Advertising, solo per citarne alcuni, che hanno sviluppato offerte di comunicazione a 360 gradi.
- anche gli editori, i broadcaster e le concessionarie di pubblicità sempre di più propongono direttamente ai loro clienti operazioni di comunicazione a tutto tondo
Come dovrebbero reagire le agenzie di pubblicità?
Non ho la ricetta magica, ma posso proporre alcune soluzioni che potrebbero essere prese in considerazione
- mettere sul tappeto i veri problemi, creando dibattiti franchi e aperti ma anche concreti volti a trovare soluzioni pragmatiche (è inutile nascondere la testa sotto la sabbia)
- investire in formazione e sperimentazione a livello associativo, prendendo spunto da ciò che sta facendo ad esempio lo IAB, con l'Università Cattolica
- analizzare con attenzione i nuovi elementi della catena della nuova filiera nell'industria della comunicazione
- organizzare reti di imprese, flessibili ed efficienti
- cominciare a sviluppare progetti di Knowledge Governance per creare in agenzia conoscenza condivisa e per valorizzare ancora di più le best practices.
- tornare ad investire sulla crescita professionale delle persone
Con grande probabilità non tutti coloro che leggeranno questo post saranno d'accordo con me, sarei felice di ascoltare la vostra opinione, soprattutto se lavorate in agenzia perchè vorrei sapere, perchè non riusciamo mai a fare qualcosa insieme?
Fonte dell'immagine: Nielsen
17 Comments:
ottimo maurizio, ti quoto in toto
Ciao Maurizio, sono assolutamente d'accordo con la tua analisi, anche se il mio punto di vista è diverso, infatti lavorando in una web agency, che definirei una pure digital agency, in realtà la mia visione del mercato è quella di una specie di piramide con sopra le agenzie di pubblicità e di consulenza che con arroganza disprezzano in fondo l'innovazione digitale, ma purtroppo hanno i "clientoni" che gli impongono di sporcarcisi le mani. Alla base c'è una pletora di sottoscalisti e piccoli studi che per quattro soldi e nessuna o scarsa qualità promettono mari e monti. In mezzo le agenzie digitali fanno una gran fatica a far capire ai clienti dove e come si valuta la qualità - e soprattutto il suo prezzo...
ciao Ivan,
io lavoro ad esempio in una società di consulenza digitale che si occupa solo di analisi e strategie, anche molto complesse e dall'altra parte noto che non è ancora chiara la catena del valore e tutti vogliono fare tutto. C'è ancora molto da fare in termini di creazione di professionalità specifiche. Anche certe web agencies non riescono a comprendere il nostro lavoro anche se siamo estremamente specializzati. Cosa ne dici?
bravo maurizio, grazie anche, ogni tanto ci vuole.
ciao
z
certo Zeno, ma io non sono interessato alla polemica, vorrei essere costruttivo, come quando iniziai a scrivere sul blog dell'Adci, ma qualche pubblicitario mi ha scritto pubblicamente che ciò che scrivo non interessa loro, altri che sono uno "sfracellacoglioni". Poi hanno chiuso il blog, optando per una più "tranquilla" newsletter interna, dove non accedono i "disturbatori dello status quo".
A me piacerebbe collaborare per costruire, se fosse possibile.
Hai ragione, e secondo me spesso un buon professionista è anche quello che ti dice chiaro e tondo cosa non sa fare o non è bravo a fare. Il problema di queste agenzie è che da una parte la barriera all'ingresso è così bassa che quasi chiunque sembra poter mettere su il suo negozietto con l'insegna "qui si fanno e riparano siti e si fanno pure strategie digitali", dall'altra nelle aziende clienti non c'è ancora la cultura sufficiente a capire cosa è meglio fare e soprattutto come valutare chi si propone per farlo. Ma ormai dopo oltre dieci anni è ora che sto' mercato maturi...
I problemi sono noti, ma di certe cose non si può e non si vuole parlare. L'unico dibattito che vedo è in rete e sui Social Media.
Riportiamo il nostro commento dato su FriednFeed - E' un tema estremamente interessante e che hai sviscerato in molti punti chiave. Da parte nostra siamo convintissimi che dal punto di vista strategico la separazione fra on-line (inteso come internet) e off-line (inteso come "tutto il resto") stia progressivamente perdendo di senso. Volendo mantenerla ad ogni costo comunque, entrambe le dimensioni sono reciprocamente essenziali. Pensare - come fanno molte agenzie classiche - che l’on-line sia una semplice emanazione dell’off-line, una declinazione su altri mezzi, vuol dire non conoscere le specificità della rete e delle sue infinite risorse. D'altra parte, chi è nato e cresciuto esclusivamente on-line, spesso tende a ignorare o comunque a sminuire processi di lavoro, tecniche e risultati che provengono dall'area off-line, troppo spesso liquidati come "tradizionali" (termine cui, a torto, molti danno una connotazione negativa, e invece anche la tradizione ha il suo valore). Purtroppo dunque, almeno nella nostra esperienza, spesso c'è una sordità reciproca e i due mondi (on-line e off-line) fanno fatica a dialogare, non si conoscono, non si frequentano a sufficienza. Intanto però la realtà, come detto, rende sempre più sfumata la distinzione e sarebbe bene non perdere tempo.
maurizio, trovo che la tua analisi sia assolutamente giusta. come sai questo tema mi sta molto a cuore, avendo trascorso 10 anni in un'agenzia di comunicazione digitale con la quale più volte ci siamo trovati a giocare il ruolo dei sottoscalisti (ivan, si può essere trattati da tali anche se si è multinazionali).
credo che alla base ci sia un problema di educazione dei clienti. mi spiego. l'azienda è storicamente guidata nella sua comunicazione da un'agenzia di pubblicità, che è tutore del marchio e che definisce la strategia di comunicazione. rispetto al digitale sono poche le aziende in italia che hanno al loro interno le competenze per affrontare l'argomento, e tante quelle con poche idee ma confuse. in mezzo, i centri media: in altre parole, i soldi veri. ipersemplificando: a chi giova il lanciarsi in un'avventura complessa come il digitale, a fronte, tra le altre cose, delle tragiche difficoltà di monitoraggio e dell'impossibilità di ottenere effetti di tipo stimolo-risposta, come può essere per l'adv tradizionale?
scusa la lunghezza, ci sarebbero un sacco di cose da dire, ma magari ci faccio un post. e grazie per lo stimolo.
Da poco lavoro in un'agenzia di PR di un grosso gruppo pubblicitario. La mia figura rientra proprio nella situazione che il punto 2 della seconda lista esemplifica chiaramente: "le agenzie di pubbliche relazioni stanno estendendo il loro raggio di azione sulla nuova comunicazione digitale collaborativa, molto vicina al loro modo di operare".
Ad ogni modo, noto che c'è anche molta aspettativa (o più che altro speranza) sul digital, e le strategie di alcuni grandi gruppi di pubblicità stanno evolvendo anche drasticamente in questa direzione (con acquisizioni, cambi di management, etc.).
Il problema è che tutto questo parte dalle stanze dei bottoni, lasciando poi chi lavora realmente molto disorientati. Per questo penso che passerà del tempo prima che il meccanismo si metta in moto. Penso però che nel momento in cui questo avverrà (e avverrà), il mercato delle agenzie digital cambierà molto. Basti pensare alla potenza di contatti, clienti, strategie integrate su tutti i mezzi che solo un grande gruppo pubblicitario può offrire. E il cliente si rapporterà sempre ad un solo referente...
ps. in Google Chrome non riesco a postare il commento
E' interessante il tuo punto di vista Vincenzo. Non ho dubbi che le grandi agenzie di comunicazione dovranno evolvere, non hanno alternativa, ma la domanda è quando? Perchè non è stato fatto prima? A quali costi?
Giuliana, si può cambiare quando si intuisce che è meglio farlo oppure aspettare quando è l'ultima possibilità.
@Maurizio
I grandi gruppi pubblicitari (o almeno quello a cui appartiene la mia società, ma so per certo che anche WPP è sulla via) lo stanno già facendo. I costi, secondo me, saranno pagati in primo luogo dai manager (almeno quelli che non vorranno allinearsi col nuovo indirizzo strategico). In più le agenzie licenziano a man bassa, e le nuove posizioni sono proprio nel digital.
La domanda sul perchè non l'hanno fatto prima non la trovo molto pertinente. Semplicemente, questi elefanti hanno anche tempi elefantiaci per capire i mutamenti del mercato, riorganizzarsi, dotarsi delle competenze. All'università ci riempivano la testa con la necessità di organizzazioni snelle per rispondere prontamente ai cambiamenti di scenario. Gruppi da 30-40 network di agenzie con competenze più disparate non credo siano classificabili come "snelle". Inoltre, il top top management è di norma piuttosto vecchio...
Vincenzo, la domanda sul perchè non l'hanno fatto prima, per me è molto pertinente, perchè non avrebbe permesso l'entrata sul mercato delle web agencies prima, delle digital agencies dopo e di altri soggetti che sto descrivendo nei miei diversi post. Come puoi leggere qui sopra.
Io mi limito ad osservare, ma non sto dando un giudizio di valore.
Sta di fatto che in Italia non riesco a collaborare con le agenzie di pubblicità, all'estero si.
Beh, anche le mie sono delle osservazioni che metto in dubbio io stesso man mano che capisco meglio come funziona questo mondo...
Cmq, ho sbagliato ad usare le parole. La domanda è pertinente. Quello che penso io è che l'errore alla base della lentezza dei gruppi è insito nella loro complessità.
Ciao!!
Hai ragione Vincenzo, ma oggi non c'è mercato che non sia complesso.
Sono parole sagge le tue, ti leggo ora per la prima volta ma mi trovo più che d'accordo. Credo che però vi sia di fatto un problema di ignoranza complessiva: l'ingresso sul digitale delle grandi firme è stato inizialmente una necessità per continuare ad offrire "comunicazione a 360°" ed oggi un modo per cercare di non affondare del tutto vista la crisi del "tradizionale" e lo spostamento di budget (seppur sempre contenuti" sui "nuovi" media. Noi siamo ex-sottoscalisti, ex perchè abbiamo dimostrato sul campo di saper affrontare il tema con precisione, strategia e competenze, modestia a parte, conquistandoci la piena fiducia dei "grandi" che su di noi si appoggiano. E vediamo tutti i giorni per esperienza diretta e indiretta cosa succede nelle grandi agenzie.
O crolla tutto o temo ci vorranno ancora diversi anni perchè qualcosa cambi davvero.
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