sabato, gennaio 31, 2009

Together as One 



Music e video mashup by DJ Earworm, featuring U2 (One), Beatles (Come Together), Mariah Carey (We Belong Together), Diana Ross (Someday We'll Be Together)

Atomi di genio 



Potete ritagliarlo, smontarlo, remixarlo, ma un un capolavoro di recitazione dalla sublime colonna sonora, rimane tale comunque e questo mashup mantiene nella sua breve durata, tutta la tensione narrativa della straordinaria opera di Sergio Leone, abilmente musicata da Ennio Morricone.

giovedì, gennaio 29, 2009

Guardando indietro 


Un'altra straordinaria opera di Mattijn

L'analisi dei format per gli audiovisivi di rete 



Il lavoro di analisi dei format per gli audiovisi di rete che sto portando avanti da due anni, è molto utile ed interessante e ci sta permettendo di comprendere diverse cose:
  • come trasformare degli spunti in format di comunicazione replicabili
  • come traslare un'idea interessante in altri ambiti
  • come trovare elementi chiave da cui partire per attivare conversazioni
Come sappiamo il format di Blendtec ha avuto un successo strepitoso.

La società SSI Shredding System che produce macchine frantumatrici industriali, aveva già creato un suo spazio su You Tube, tanto è vero che il primo video risale al 25 settembre 2006, ben prima rispetto al primo video di Blendtec, la differenza non sta quindi nel contenuto, ma nel format.

Adverlab, pone un interessante quesito, domandandosi cosa sarebbe successo se la società SSI Shredding avesse proposto un video in cui si frantuma un frullatore Blendtec?

Cosa sarebbe successo se il format fosse stato più di appeal? E cosa ancora, se SSI, avesse utilizzato i suoi contenuti come stimolo per attivare delle conversazioni anche su altri temi?

E' possibile svecchiare la comunicazione nei diversi settori del B2B?

Mi piacerebbe discuterne con qualche agenzia creativa.

mercoledì, gennaio 28, 2009

Intelligent Appeal 



Non voglio scrivere un post di riflessione sul mercato dell' automobile o sulle strategie di comunicazione nel settore automotive, non mi interessa nemmeno esprimere un'opinione sulla campagna pubblicitaria della Toyota Iq.

Lo spot che sto citando, mi ha dato il pretesto per parlare nuovamente di aggiornamento permanente per i professionisti del marketing e della comunicazione, prendendo come spunto il payoff della campagna: "intelligent appeal"

I pubblicitari un tempo parlavano di Unique Selling Proposition, tradotto, significa che occorre concentrare un messaggio pubblicitario, evidenziando una sola motivazione forte per l'acquisto di un prodotto, per non disperdere l'attenzione del destinatario del messaggio.

Più in generale, allargando il discorso è possibile affermare che siamo abituati ad altri concetti come:
  • fare una sola cosa alla volta, per farla bene
  • sviluppare le nostre energie sulla cosa che ci riesce meglio (focalizzare il nostro talento)
  • scegliere una specializzazione, nel nostro corso di studi.
Il mondo è cambiato e il panorama mediale in evoluzione sta cambiando tutte le regole che conosciamo
  • gli utenti, soprattutto quelli più giovani, fruiscono di più mezzi contemporaneamente (multitasking)
  • i professionisti internazionali dell'informazione (gli inviati speciali) non si limitano ad apparire in video per una telecronaca, ma sanno produrre un video, sanno montarlo, in modo da avere una capacità di controllo sul prodotto finito
  • gli imprenditori non possono concentrarsi solo sul breve periodo, ma devono diventare "strabici", tenendo un occhio sulle strategie di medio lungo periodo e l'altro sull'operatività quotidiana.
Non possiamo decretare la fine della specializzazione, che rimane sempre un valore, ma in tutte le professioni si richiede un allargamento delle competenze, esattamente come suggerisce lo spot della Toyota, che ci parla di un'auto progettata in modo intelligente, ma anche dal design accattivante.

Fuori di metafora possiamo decretare finita l'era:
  • dei creativi puri che non sanno nulla di marketing, si richiederà sempre di più creatività, ma anche capacità di misurare i risultati
  • dei responsabili di comunicazione che conoscono le logiche pubblicitarie, ma non quelle editoriali, quando si avvicinano ai social media
  • degli art director che non sanno scrivere un testo, quando si devono impostare strategie di media building
Le figure professionali nel marketing e nella comunicazione richieste dal mercato, necessiteranno sicuramente di una revisione dei percorsi di formazione e di aggiornamento, perchè siamo entrati definitivamente nell'era dell'intelligent appeal.

martedì, gennaio 27, 2009

Giorno della memoria 


Proprio quando qualcuno dice che non è mai successo, qualcun altro fa paragoni impropri, qualcun altro viene "premiato" per aver banalizzato la più grande tragedia dell'umanità, qualcun altro ancora nasconde il suo odio sotto etichette più presentabili, è importante ricordare.

domenica, gennaio 25, 2009

Dalla fruizione dei blog professionali al Personal Branding e Personal Knowledge Management 


C'era una volta un meccanismo quasi perfetto nel mondo delle riviste professionali nei vari ambiti della comunicazione e del marketing, si trattava di un patto win win tra le redazioni e i diversi professionisti che collaboravano scrivendo articoli in cambio di visibilità.

Questi professionisti non si limitavano all'invio di articoli, ma fornivano anche indicazioni sulle tendenze, offrivano testimonianze su casi aziendali di successo o insuccesso, rendendo di fatto la rivista uno strumento di aggiornamento professionale per chi volesse approfondire i temi del marketing e della comunicazione.

Quando questi professionisti hanno scoperto che i blog avrebbero dato loro una visibilità uguale, se non superiore, ma anche un livello di flessibilità straordinaria, hanno ridotto notevolmente le loro collaborazioni con le diverse testate, privilegiando quelle più prestigiose e hanno cominciato a comunicare con i loro pubblici direttamente dal loro blog.

Il blog non era solo uno strumento dove il professionista poteva scrivere in tutta libertà, ma l'elemento centrale del sistema delle relazioni con gli altri professionisti.

Il sottoinsieme della blogosfera professionale garantiva al professionista infatti:
  • una selezione delle tendenze più significative
  • un insieme di ambienti in cui veniva prodotta e diffusa conoscenza
  • una palestra per l'esplorazione delle dinamiche sociali e dei nuovi linguaggi
Negli ultimi tre anni, i diversi blog che trattano temi del marketing e della comunicazione sono aumentati notevolmente, si sono messi fra loro in relazione, hanno iniziato ad assumere un'identità distintiva, differenziandosi per il taglio o per le fonti di informazioni analizzate.

Molti operatori della comunicazione in agenzia e in azienda hanno iniziato a seguire con regolarità questi blog perché vi potevano trovare informazioni, spunti di riflessione, ma anche perché potevano partecipare alle varie discussioni in tempo reale sui temi più attuali di loro interesse.

Con un feedreader era quindi possibile seguire in tempo reale le rapidissime evoluzioni del mondo web vissute e analizzate da chi la rete la viveva professionalmente giorno dopo giorno. Ognuno poteva crearsi il suo "palinsesto personale", aggregando diverse fonti.

Succede che oggi il blog non è più l'elemento centrale delle conversazioni professionali, che si sono spostate oggi su diverse piattaforme e che assumono connotazioni sempre più fluide, in un flusso che segue percorsi di volta in volta molto diversificati.

I threads si spostano rapidamente rimbalzando da Twitter, Friendfeed, Tumblr, blog e via discorrendo, con rimandi alle diverse piattaforme di photo e videosharing, le conversazioni diventano più stimolanti, ma anche più difficili da seguire per chi non vive attivamente la rete.

E' aumentata ancora la velocità dei cambiamenti in atto e spesso a chi segue con regolarità i blog professionali, mancano alcuni elementi per seguire le conversazioni e riuscire ad avere una visione di insieme sui cambiamenti in atto, quando ci si limita ad essere osservatori esterni (lettori passivi).

Diminuiscono i tempi dell'obsolescenza della conoscenza professionale spendibile e la formazione e l'aggiornamento permanente diventano una necessità per non venire estromessi dal mercato del lavoro.

Corsi di formazione in aula e a distanza, riviste professionali, conferenze, comunità di pratica, social network tematici, gruppi di discussione, blog, white paper, podcast, webinar, slide, lifestreaming, cambiano profondamente la morfologia dell'aggiornamento professionale.

Il marketing e la comunicazione diventano pervasivi, ma si specializzano, la rete diventa oggi l'unico "strumento informativo" in grado di fornire profondità e continuità, ma anche diversita di contenuti, ma è indispensabile seguire un proprio percorso personale, perché
  • le tendenze generali non sono utili a chi lavora in azienda, la ricerca di informazioni deve essere pertanto rapportata al contesto specifico in cui ogni singolo opera, al fine di creare conoscenza da poter usare come elemento competitivo se viene fatta in modo sistematico e strutturato
  • il Personal Knowledge Management è uno degli strumenti di Personal Branding, ma anche di innovazione che parte dal basso, perché consente di diffondere tecnologie abilitanti, pratiche, dinamiche sociali, modelli di fruizione dell'informazione che altrimenti molto difficilmente avrebbero modo di attecchire se imposti dall'alto.
Ecco che le persone in azienda che si occupano di marketing e di comunicazione, cominciano ad allargare il loro sistema informativo personale professionale (SIPP), ma ben presto si accorgono che lo stare in rete in modo evoluto fornisce loro nuove competenze. Si rendono conto che possono utilizzare le nuove expertise come strumento di carriera, dimostrando che l'aggiornamento permanente e gli strumenti del web collaborativo possono essere molto efficaci.

Sono loro che sapranno sganciarsi dalle resistenze dell'IT per realizzare i primi progetti sperimentali, che potranno allargarsi in azienda.

Diventano sempre più sottili le barriere tra formazione e sperimentazione, tra conoscenza e progetto, tra innovazione e azione, tutto questo per la diffusione della consapevolezza che l'innovazione che è oggi possibile, parte dalla singola persona.

sabato, gennaio 24, 2009

Cadbury: la vita dopo il Gorilla 

venerdì, gennaio 23, 2009

Il futuro dei Social Network 


Sono tanti gli elementi di questa bella presentazione di Charlene Li su cui riflettere. Vi invito a leggerla con attenzione, torneremo sicuramente a discutere delle diverse tematiche evidenziate.

giovedì, gennaio 22, 2009

Understanding Comics 

I corporate blog in crisi? 


Apprendo dal blog di Digital Pr la notizia della decisione di Mandarina Duck di sospendere il suo corporate blog, uno dei primi in Italia e sicuramente un caso di successo dal punto di vista relazionale, ma evidentemente non per l'azienda che avrà messo a confronto l'impegno per il progetto con i suoi ritorni.

Non mi sento di esprimere una mia valutazione, perchè non conosco gli obiettivi strategici di Mandarina Duck; sono convinto che questa decisione non rimarrà isolata e altre aziende la imiteranno per una serie di ragioni:
  1. il corporate blog, per quanto utilizzi un "mezzo relativamente nuovo", spesso non riesce a liberarsi dall'autoreferenzialità
  2. molto spesso il corporate blog che viene suggerito dal consulente, viene aperto senza particolare convinzione dal management e questo si nota subito
  3. il blog funziona meglio se inserito in una strategia più ampia, soprattutto quando la comunicazione collaborativa è fortemente legata ai processi di business
  4. il blog non è lo strumento adatto per tutte le imprese, ma è uno dei primi ad essere utilizzati, è quindi normale che abbiano luogo migrazioni verso altre piattaforme considerate più idonee e più rispondenti agli obiettivi di un'impresa
  5. per quanto la conversazione sia un elemento centrale nelle strategie attuali di marketing, non può essere fine a se stessa, è infatti impensabile che le persone conversino con tutte le aziende di cui acquistano i prodotti. La conversazione deve essere uno strumento per creare valore e per avviare processi di cambiamento.
Sempre di più ci accorgeremo che il blog non è più centrale, ma costituirà solo uno dei possibili elementi della comunicazione collaborativa e che il mix degli strumenti utilizzati, potrà cambiare molto velocemente, ma con alcune avvertenze:
  1. il processo conversazionale è un movimento, non una campagna. Si può decidere di migrare da una piattaforma ad un'altra, ma il processo deve essere collaborativo e non imposto dall'alto.
  2. decidere di chiudere un blog o una presenza su qualsasi piattaforma collaborativa richiede una "exit strategy" che deve essere preparata, in modo da non deludere le aspettative di tutti quegli utenti che hanno dato fiducia ad un progetto.
  3. è giusto, o meglio legittimo valutare i ritorni di una presenza evoluta on line per un brand, ma occorre evitare il rischio di rimanere intrappolati in logiche mutuate dai mezzi tradizionali, per questo occorre sempre avere ben chiaro non solo gli obiettivi, ma anche le metriche con cui si andrà a misurare il successo di ogni progetto
L'argomento è molto caldo, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.

Fonte dell'immagine: Gaetan Lee

martedì, gennaio 20, 2009

La prevalenza dell'intangibile 


Da più parti, in questo blog, si è scritto della "sofferenza" dello spot da 30 secondi, quale elemento centrale nella comunicazione pubblicitaria. L'argomento è stato affrontato da più punti di vista, in termini di efficacia.

Molte imprese stanno riversando in rete una quota sempre crescente del loro budget di comunicazione, non solo in ragione della maggiore misurabilità, indirizzabilità, scalabilità degli investimenti della comunicazione su Internet, o per il fatto che sta aumentando il tempo medio trascorso "online" dai loro pubblici, ma soprattutto perché ragionano in termini di costo opportunità.
Quante attività di comunicazione si possono fare oggi in rete con il costo medio di produzione e trasmissione di un singolo spot?

Se i pubblici di un'impresa sono differenziati, se anche gli obiettivi sono molteplici, se il suo prodotto ha la necessità di essere spiegato e non solo raccontato, se la value proposition è dinamica, allora la rete potrà costituire un ambiente di comunicazione privilegiato ed è ciò che sta accadendo oggi.
Cosa succede da un punto di vista dei budget?
  • I costi di produzione di uno spot pubblicitario aumentano o rimangono stabili, i costi tecnologici di produzione sul web sono fortemente calanti
  • I costi di creatività sono o dovrebbero essere indipendenti dai media e dai canali utilizzati
  • I costi di pianificazione strategica sono nel caso della comunicazione web superiori rispetto a quella televisiva, perchè la prima è sicuramente caratterizzata da una maggiore intensita di lavoro
Le imprese stanno anche cambiando il loro approccio alla comunicazione. Se ieri, una buona parte del processo veniva delegato all'agenzia di comunicazione, oggi sempre di più, la strategia di comunicazione torna ad essere gestita internamente.
Se calano le barriere all'entrata per la comunicazione online, aumentano notevolmente quelle al successo. Le piattaforme sono diventate delle commodities, mentre assumono sempre maggiore importanza gli elementi intangibili.
  • L'analisi strategica richiede delle competenze più sofisticate, non più solo per definire quale messaggio inviare al giusto destinatario, al momento più appropriato sul mezzo più corretto, ma soprattutto per creare ambienti di comunicazione più complessi in grado di attivare un dialogo costante tra impresa e i suoi pubblici, con lo scopo di definire un maggiore allineamento tra la comunicazione ed i processi di business.
  • Se le piattaforme e più in generale le tecnologie abilitanti si standardizzano, l'idea creativa e "l'esecuzione creativa, assumono un ruolo fondamentale. Se un tempo l'alto costo creativo veniva "annegato nel "prodotto creativo", (leggi lo spot), oggi questo non è più possibile. (Non è possibile chiedere 30.000 euro per la progettazione di un blog)
Le imprese, soprattutto quelle italiane, si sono sempre dimostrate molto restie a pagare gli elementi intangibili, quali la consulenza, la pianificazione strategica, la creatività, anche quelle più evolute hanno sempre richiesto l'output della comunicazione, ma dovranno cambiare necessariamente il loro atteggiamento.

E' ora che le imprese capiscano che possono avere un blog, un audiovisivo di rete, un social network personale a costi irrisori, ma questo non le porterà da nessuna parte senza una strategia creativa adeguata. Ed è questo quello che d'ora in avanti dovranno pagare.

Fonte dell'immagine: Uriel Ramirez

venerdì, gennaio 16, 2009

Che cosa vogliono i consumatori? 

giovedì, gennaio 15, 2009

I creativi siamo noi 

Creativity 3.0
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I pubblicitari amano definirsi creativi, ma la creatività oggi non solo è diffusa a tutti i livelli grazie ad Internet, ma può essere coltivata.

Se è vero che ci sono persone di particolare talento, è anche vero che sono diverse le forme di creatività. La creatività può quindi essere sviluppata e messa a frutto da ognuno di noi.

Sarò anche provocatorio, penso che la creatività sia anche un atteggiamento.

Segnalo questo slidecast che ho trovato particolarmente interessante.

lunedì, gennaio 12, 2009

Misurare la comunicazione oggi 


Oltre un anno fa ho iniziato a riflettere sulla necessità di rivedere il modo di misurare la comunicazione digitale, augurandomi di stimolare un dibattito che non c'è stato.

A distanza di poco tempo, mi rendo conto di quanto i paradigmi dell'attenzione siano profondamente cambiati anche sui media offline, rendendo necessaria una revisione di concetti come copertura, frequenza e di metriche come il GRP, e l' OTS.

L'attenzione non è funzione del numero di ripetizioni di un messaggio, ma sono altri gli elementi che entrano in gioco.

Si ascolta con maggiore attenzione:
  • chi si conosce già o chi è in grado di stimolare la nostra attenzione
  • chi è conosciuto e raccomandato dal nostro network di conoscenze/amicizie
  • chi ci dimostra rispetto e propensione all'ascolto
  • chi utilizza un linguaggio vicino al nostro
  • chi sceglie i mezzi di comunicazione e i tempi in funzione di ciò che stiamo facendo in quel momento
  • chi sa offrire valore e non si limita a promuovere un prodotto/servizio
Non dobbiamo pertanto considerare, come abbiamo sempre fatto, solo la qualità del messaggio, dei mezzi utilizzati, ma anche quella della relazione preesistente o il contesto in cui un processo di comunicazione ha luogo.

Dobbiamo essere consapevoli che non possiamo poi misurare tutta la comunicazione con le lenti dell'advertising, perché la pubblicità rappresenta solo una delle opzioni possibili, non l'unica.

Sono necessari nuovi studi per determinare nuove metriche come l'OTGA - opportunity to get attention, sia sui paid media, sia sugli earned media. Le mie infatti, sono solo intuizioni non supportate da un'evidenza scientifica.

Ciò che appare in tutta la sua evidenza è che dobbiamo ripensare profondamente il modo di misurare l'impatto delle strategie di comunicazione.

Fonte dell'immagine.

Una cura per l'advertising 

Advertising is Dead
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Si, lo sappiamo che è una provocazione. Sono anni che si ripete che la pubblicità è morta. Sappiamo che non così, ma non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia.

La pubblicità è in sofferenza, ci sono tanti problemi strutturali che devono essere risolti. L'industria della pubblicità non ne vuole parlare, ma farà bene a farlo, perchè gli inserzionisti pubblicitari certe domande se le fanno con sempre maggiore insistenza.

In questa bella presentazione, vengono poste alcune fondamentali questioni a cui occorre dare una risposta.

Ne vogliamo parlare?

sabato, gennaio 10, 2009

Gadget Orchestra 



by Jetdaisuke: utilizzando Nintendo DS Lite (ELECTROPLANKTON),NintendoDS KORG DS-10), iPod touch (Mokugyo,iPhone (Bloom) e KAOSSILATOR connesso ad un Belkin Rockstar.

giovedì, gennaio 08, 2009

Nuovi format per la promozione dell'industria del cinema? 



La satira, la parodia, spesso sono un modo per "celebrare il successo di una persona." Lo shanno capito molto bene gli attori, i politici e i personaggi pubblici più raffinati, che non solo non si offendono quando ad esempio scoprono di essere diventati protagonisti di una vignetta o di un programma televisivo di satira, ma che (ad esempio nel caso di una vignetta) se ne fanno mandare una copia autografata dall'autore.

In rete, le parodie di uno spot, rappresentano spesso (non sempre) una sorta, di celebrazione.

E' interessante il caso dei produttori del film Slumdog Millionaire, che non si sono limitati a pubblicare il trailer ufficiale del film su You Tube, ma che hanno commissionato ad Addictive Tv, un mashup ufficiale del trailer.

Meticulously sampling the movie for its vibrant sounds and images, and reconstructing them into this fast-paced audiovisual remix mash-up, Addictive TV were asked by the film's producers to give Slumdog Millionaire their unique treatment.

Danny Boyle's forthcoming film - which opens January 9th - looks set to be a big hit. The film, already nominated for the Golden Globes and tipped for the Oscars, tells the story of a kid from the slums of Mumbai who gets to go on India's "Who Wants to be a Millionaire?"

Non è ancora chiaro, se si tratti di un'operazione promozionale, o semplicemente, come appare, è il frutto di un'idea nata spontaneamente, comunque sia, in rete se ne comincia a parlare e questo costituisce un primo segnale di cambiamento.

Gli spot, i trailer e i format promozionali consolidati cominciano ad esaurire i loro effetti. E' naturale che anche l'industria del cinema sia alla ricerca di nuove modalità promozionali.

Come ho già avuto modo di scrivere, dai mashup e dalle sperimentazioni che possiamo trovare nelle principali piattaforme di videosharing, stanno emergendo gli embrioni dei nuovi formati di prossima generazione.

Costruire il brand o costruire il business? 

C'è un equivoco anche nel mondo della comunicazione che spesso confonde la visibilità, con le attività di brand building, eppure l'esperienza delle dot.com dovrà pur avere insegnato qualcosa.

C'è una grande differenza tra la costruzione del brand e quella del business, come evidenzia questo articolo di Al Ries, su Advertising Age.

Brand Building o Business Building?

Are you building a business? Or are you building a brand? Silly questions, you might be thinking. Naturally, you are trying to do both.

But that might be a mistake.

What's good for the business is not necessarily good for the brand. And vice versa.

What's a brand anyway? It's a word that stands for something in the mind of prospects. That definition, by the way, is at odds with conventional thinking.

Most managers equate a brand with its celebrity index. The more famous the brand, the more powerful it is. "Making our brand name well-known" seems to be the conventional approach to brand building.

Chevrolet is one of the world's best-known automobile brands, but how valuable is the Chevrolet brand? Not very.

Chevrolet doesn't make Interbrand's list of the 100 most-valuable global brands. Chevrolet, like many other exceptionally well-known names, isn't worth much because it doesn't stand for anything.

It's not just Chevrolet. The U.S. automobile industry markets 14 vehicle brands: Buick, Cadillac, Chevrolet, Chrysler, Dodge, Ford, GMC, Hummer, Jeep, Lincoln, Mercury, Pontiac, Saab and Saturn.

I would guess that every one of these brands (with the exception of GMC) is exceptionally well-known with a recognition score in excess of 90%.

Except for a house or an apartment, an automobile is the most expensive product a person might buy in his or her lifetime. In addition, an automobile has enormous street visibility. These factors combine to give automotive brands a huge advantage in the battle for the consumer's mind.

It's not surprising that 11 automobile brands made Interbrand's most valuable list. But just one of those 11 brands was an American brand. (Ford at No. 49.) The other 10 were European and Asian brands. Why? The European and Asian brands stood for something.

  • Toyota (No. 6): Reliable
  • Mercedes-Benz (No. 11): Prestige
  • BMW (No. 13): Driving
  • Honda (No. 20): Reliable (second to Toyota)
  • Volkswagen (No. 53): Practical
  • Audi (No. 67): Advanced technologies
  • Hyundai (No. 72): Cheap
  • Porsche (No. 75): Sports cars
  • Lexus (No. 90): Luxury
  • Ferrari (No. 93): Expensive sports cars
Keep in mind, these are global brands. Volkswagen is not doing particularly well in the U.S. market, but it's No. 1 in Germany. Also, Audi suffers in the U.S. market because of its unfortunate name, but that's not a disadvantage in many countries where English is not the spoken language.
Creare valore non notorietà fine a se stessa

How do you build a brand? Almost every successful brand in the world started as a narrowly focused brand that stood for a single idea. Then the business builders took over. First objective: Expand the business.

Dell Computer started as a narrowly focused business-to-business company selling personal computers direct. Dell got off the ground by owning the word "direct."

Michael Dell wrote a book that outlined his company's rise from obscurity to fame. The title? "Direct From Dell."

In the first quarter of 2001, Dell became the world leader in personal computers. (And not just in sales, but in profits, too. In the 1990s, for example, Dell had the best stock market performance in Standard & Poor's index of 500 leading American companies.)

What did Dell do next? It forgot about building the brand and started building the business. First Dell moved into consumer personal computers, undermining its position as the "business" PC specialist. ("Dude, you're getting a Dell.")

Then Dell moved into consumer electronics, undermining its position as the "personal-computer" specialist.

Then Dell moved into retail distribution, undermining its "direct" distribution position.

In 2003, Dell Computer Corp. dropped "computer" from its name and became Dell Inc. (That's always a bad sign.)

Did all these business-building moves work? Sure. Sales steadily increased from $31.9 billion in 2000 to $61.1 billion in 2007.

While Dell sales went up, the Dell brand went down. Dell, formerly the world leader in personal computers, is now second to Hewlett-Packard. (In 2007, HP had 18.2% of the market and Dell had 14.3%.)

Dell's net profit margin, a good indicator of a brand's value, also went down. From 6.8% in 2000 to 4.8% in 2007.

Where Dell went wrong, in my opinion, was that it forgot what built the brand and instead focused its efforts on building its business. Yet that's not the conventional wisdom.

"Where Dell Went Wrong" was the title of a Feb. 19, 2007, article in BusinessWeek. "In a too-common mistake, it clung narrowly to its founding strategy instead of developing future sources of growth."

Scott Thurm, writing in The Wall Street Journal, said essentially the same thing: "Dell couldn't diversify its business, making it vulnerable once Hewlett-Packard matched its expertise."

Costruire brand e mercati

That's the way it is in corporate America today. Everybody is looking for ways to build their businesses by expanding into other categories. Their real strategies should be to build their brands by dominating their categories. And often the best way to do that is by contracting their brands so they stand for something.

What's the most reliable measure of the power of a brand? It's not making the Interbrand list. The most reliable measure is market share. Powerful brands dominate their markets.

In the U.S., Tabasco has 90% of the hot-pepper-sauce market. Campbell's has 82% of the canned-soup market. TurboTax has 79% of the income-tax software market. Starbucks has 73% of the high-end coffeehouse market. The iPod has 70% of the MP3-player market. Taco Bell has 70% of the Mexican fast-food market. Google has 68% of the search market.

When your brand dominates a market, it is in an exceptionally strong position. In a mature market, a dominant brand is highly unlikely to ever lose its position. (Think Kleenex, Gatorade, McDonald's, Budweiser and many other dominant brands.)

Even more important, dominant brands usually generate exceptionally high profit margins. Compare Intel, the dominant microprocessor brand, with Advanced Micro Devices, the No. 2 brand.

In the last 10 years, Intel has had sales of $319.6 billion and net profits of $62.2 billion. Intel's net profit margin was an astounding 19.5%.

In the last 10 years, Advanced Micro Devices had sales of $42.7 billion and net profits of ... well, they didn't make any money. They lost $4.1 billion.

You see the same relationships on Interbrand's list of the 100 most-valuable global brands. No.1 brands are worth far more than No.2 brands.

  • Coca-Cola is worth $66.7 billion. Pepsi-Cola, $13.2 billion.
  • Nokia is worth $35.9 billion. Motorola, $3.7 billion.
  • Nike is worth $12.7 billion. Adidas, $5.1 billion.
The personal computer was the most important new product of the 20th century and it's likely to remain that way for decades to come. Someday some brand will be the Coca-Cola or Nokia or Nike of personal computers with a market share of 40% or so. That company is unlikely to be either Hewlett-Packard or Dell.

You can't dominate a category if you expand your brand into many other categories. (That's why IBM is no longer the dominant PC brand.)

You can only dominate a category by keeping your brand focused.

Al Ries conclude il suo articolo con una domanda provocatoria

Building a business or building a brand? That's the most important question in marketing.

In tempi di crisi, come quelli che stiamo vivendo appare di fondamentale importanza trovare un equilibrio virtuoso tra le attività di brand building e quelle di business building.

L'immagine è di Numovision

mercoledì, gennaio 07, 2009

Loghi sotto stress 

Fonte: wmliu

martedì, gennaio 06, 2009

Si fa presto a parlare di Social Media 

Il 2008 può essere classificato come l'anno di consolidamento dei Social Media per una buona parte di utenti della rete, ma per un numero ancora limitato di aziende. Cosa caratterizzerà invece il 2009?

Come d'obbligo, le previsioni per l'anno nuovo non mancano, ma come David Armano saggiamente suggerisce occorre evitare che gli scettici si trasformino in conformisti, per questo ritengo che il 2009 sarà l'anno della verità, almeno per quanto concerne l'utilizzo dei Media Sociali in ambito aziendale.

Sostenibilità, misurabilità, concretezza e pragmatismo costituiranno le parole d'ordine per un anno caratterizzato da grande incertezza e forti turbolenze ambientali.

Il cambiare per il gusto di farlo, non porterà da nessuna parte in assenza di una strategia in grado di indicare non solo la direzione da prendere, ma che fornisca anche chiare indicazioni per risolvere le difficoltà del cammino.

Nel 2008 sono stati pubblicati diversi libri sugli strumenti del nuovo web e si è discusso molto di Twitter, Facebook, Friendfeed, Corporate Blogging, Enterprise 2.0, User Generated Content, ma molti segnali ci indicano chiaramente che nel 2009 si dovrà tornare a concentrare l'attenzione sui cambiamenti strategici e culturali in azienda più che sugli strumenti.

Gli strumenti del nuovo web non possono funzionare se non sono inseriti in una cultura aziendale adeguata.

Come si fa a favorire il cambiamento in azienda, quando prassi consolidate, conformismo, omologazione culturale, scarsità di incentivi rappresentano l'humus in cui sono immerse molte imprese soprattutto di grandi dimensioni? Come cambiare atteggiamenti e mentalità? Sarà sicuramente questo uno dei grandi temi di discussione per il 2009.

In tempi di crisi le imprese più illuminate stanno assumendo le persone non solo in funzione delle loro competenze, ma anche considerando i loro atteggiamenti.

Se in tempi di relativa stabilità, i manager che hanno la tendenza a mettere in discussione modelli e assetti organizzativi sono stati molto spesso emarginati in azienda, oggi vengono corteggiati.

Sono i cosidetti "corporate heretics" celebrati da un bellissimo libro, pubblicato nel 1996, che è passato un po' innosservato, ma la cui ultima edizione, sta riscontrando un grande successo.


The Age of Herectics, di Art Kleiner, è una lettura indispensabile per tutti quei manager che devono combattere quotidianamente per promuovere l'innovazione all'interno della loro azienda e che hanno bisogno di idee e strumenti operativi per favorire il cambiamento.

Si fa presto a parlare di Social Media in ambiti in cui ai dipendenti non è concesso di utilizzare Internet come strumento di lavoro.

Per questo ritengo che sia necessario fare un passo indietro, per poterne poi fare due in avanti.
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