sabato, maggio 31, 2008

Contextual media planning 


Ho lavorato in un centro media e so che spesso, la pianificazione media viene svolta come un'attività di routine, quando invece ci sono enormi spazi di innovazione se si usa il pensiero laterale.

Come acquistare uno spazio pubblicitario pagandolo pochissimo e colpire nel segno?

Ortobom è un'impresa brasiliana che opera nel mercato del "buon riposo" e ha pensato bene di pianificare una campagna televisiva acquistando lo spazio televisivo di fine programmi, si proprio il cinescopio, rivolgendosi in modo molto efficace al mercato dei "sonnanbuli".

Se non riuscite a dormire bene, forse un buon materasso vi può servire, e se producete materassi, forse un centro media creativo vi può aiutare a comunicare con un investimento pubblicitario del tutto ragionevole.

via Ads of the world

venerdì, maggio 30, 2008

Al centro del pensiero 

L'agenzia di pubblicità è connessa? 


Le agenzie di comunicazione non amano essere definite pubblicitarie, purtroppo questo è ciò che fanno, visto che non riescono a uscire dalla logica spotcentrica.

Mi scrive Tom Merilahti per informarmi che la situazione a livello internazionale delle agenzie non è troppo diversa da quella italiana, citando un report di Forrester Research, di cui pubblica sul blog un executive summary che riporto qui.

"Today's agencies fail to help marketers engage with consumers, who, as a result, are becoming less brand-loyal and more trusting of each other. To turn the tide, marketers will move to the Connected Agency — one that shifts: from making messages to nurturing consumer connections; from delivering push to creating pull interactions; and from orchestrating campaigns to facilitating conversations. Over the next five years, traditional agencies will make this shift; they will start by connecting with consumer communities and will eventually become an integral part of them."

The crux of this report focuses on these concepts:

1. Creative and media agencies are stuck in the mass media world.
2. Digital agencies "get" interaction but are newcomers to branding.
3. Specialist boutiques support social media.
4. New players compensate for left-brain deficiencies.
5. There are gaps with existing agencies.

So, what are the solutions? According to the report:

1. The need to move from messages to connections.
2. Media must move from push to pull interactions.
3. Operations have to move from campaigns to conversations.

Forse non occorreva scomodare Forrester Research, visto che i discorsi da due anni a questa parte continuano ad essere gli stessi.

Agenzie pubblicitarie e Centri Media gestiscono ancora una buona parte dei budget degli investitori pubblicitari, ma l'insoddisfazione di molti clienti comincia a manifestarsi palesemente, nonostante le dichiarazione dei pubblicitari ai convegni e nelle interviste sulle riviste specializzate in comunicazione, poco è cambiato.

Le agenzie andrebbero aiutate perché costituiscono una risorsa importante, lo sviluppo della competitività dipende in parte anche dalla qualità della comunicazione. E' un vero peccato che non ne vogliano proprio sentire parlare di andare oltre la cultura del 30 secondi.

L'immagine è di KatColorado

Le idee che prendono forma 



Tutto nasce da un'idea, che viene condivisa. Viene commentata, analizzata fino a che qualcuno decide di ampliarla, riproporla a modo suo.



Da un'idea si può creare un format



L'idea può essere utilizzata magistralmente in pubblicità



Chi influenza e chi viene influenzato? Difficile dirlo, ma una cosa è certa, la creatività diffusa, fa bene alla creatività e fa bene a tutti noi.

Update: ne ha parlato anche Marco Massarotto. (Le idee sono nell'aria).

martedì, maggio 27, 2008

Lavorare nella Società della Conoscenza 


Viviamo, studiamo, lavoriamo oggi nella Società della Conoscenza.

La Conoscenza è oggi il motore dello sviluppo.

A Knowledge society "creates, shares and uses knowledge for the prosperity and well-being of its people". (Wikipedia)

E' un tema che mi vede particolarmente coinvolto a livello personale e professionale, ma lo è ancora di più il Gruppo CSE- Crescendo di cui faccio parte, che è uno dei promotori insieme a Value Team del progetto PKM 360.

Si tratta di un Osservatorio sul Knowledge Management a 360 gradi, frutto della collaborazione tra l'Associazione Italiana per l'Informatica e per il Calcolo Automatico, la Fondazione del Politecnico di Milano, l'Università degli Studi di Milano Bicocca, l'Università Commerciale Luigi Bocconi e l'Università Cattolica.

Il 29 maggio avrà luogo il secondo Convegno di PKM 360 ospitato dall'Università Cattolica. Il programma lo potete trovare qui.

Se deciderete di passare, mi trovate li.

lunedì, maggio 26, 2008

Indietro sarai tu 


Non è istruttivo leggere dati ufficiali sullo stato dell'innovazione in Italia sul fronte del digitale, sono dati medi e poco utili a delineare la situazione nel nostro Paese.

Le varie ricerche, fotografano un Paese costantemente indietro su tutti i fronti, ma la realtà è ben diversa.

La cosa grave è che c'è una grande spaccatura tra aziende innovative e aziende in forte ritardo, ma anche nella distribuzione (in termini di diffusione) delle competenze digitali nelle aziende, nelle Università e nelle organizzazioni pubbliche.

E' questo terrificante disallineamento la cosa più problematica. E' difficile creare programmi di intervento generalizzati, perché tra gli studenti di uno stesso corso universitario, tra i dipendenti di un'azienda a tutti i livelli, le differenze sono abissali.

Progettare ad esempio programmi di formazione risulta molto complesso, i programmi risulteranno per qualcuno troppo avanzati e per altri invece non sufficientemente adeguati.

Continuare ad insistere su quanto siamo indietro, non rende giustizia a quelle persone che credono nella formazione permanente, che investono a loro spese, nell'acquisto di libri, frequentazione di seminari e che purtroppo si trovano ad operare in contesti che non li valorizzano.

Attenzione ai dati medi, non significano più nulla.

Credits per l'immagine.

domenica, maggio 25, 2008

La terza fase evolutiva del marketing 



prima fase - gestire le variabili del marketing mix di cui le aziende hanno un discreto controllo

seconda fase - l'esperienza del cliente si forma attraverso il confronto tra le proprie aspettative (parzialmente create dalle aziende) e la sua esperienza durante tutti i momenti e in tutti luoghi di contatto (touch point) con la marca.

terza fase - l'esperienza del cliente si forma attraverso il confronto tra le proprie aspettative (create da una serie sempre maggiore di fonti informative), quelle dei suoi pari e la sua esperienza durante tutte le microinterazioni che hanno luogo con la marca e in tutti luoghi dove hanno luogo conversazioni che afferiscono alla marca stessa.

sabato, maggio 24, 2008

Bonding 



Perché fingiamo di credere che cambi sempre tutto? Certe cose sono già state dette, scritte, analizzate, commentate. E' sbagliato aggrapparsi al passato, ma lo è anche ignorare le grandi lezioni che può offrirci, per creare il futuro che vogliamo.

giovedì, maggio 22, 2008

Rischio incalcolabile 

Mayday (mashup) 

L'insostenibile leggerezza della scoperta 



"Discovery is less about predicting precisely right about what the user wants, it is more about the entire user flow of discovery with all the hits and misses."

Quello che le imprese e le agenzie non hanno ancora compreso sulla comunicazione digitale 


Ci sono tante cose che andrebbero dette, ma non lo fa nessuno, perché non è comodo, perché alle agenzie di comunicazione tutto sommato non piace dirlo, perché alcuni "economics" ancora non tornano, ma anche perché le aziende non sono aiutate ad utilizzare in modo più strategico i media digitali.

Ai vari convegni puntualmente viene riproposta la solita domanda. "Se i mezzi digitali sono così efficaci, perché si investe ancora così poco?"

Non ho certamente una risposta definitiva, ma credo che ci siano alcuni aspetti che meritano di essere approfonditi e su cui vorrei confrontarmi con voi.
  • produrre per i next media non è così remunerativo - Non c'è dubbio che per la maggior parte delle agenzie di pubblicità non c'è alcun incentivo economico a proporre modelli di comunicazione alternativi agli spot, sono strumenti consolidati, il guadagno è tutto sommato ancora molto buono e le dinamiche conosciute. Perché cambiare fintanto che non è strettamente necessario?
  • le aziende non sempre sono disposte a pagare adeguatamente la consulenza di comunicazione o l'idea creativa - Le aziende sono abituate a pagare per uno spot pubblicitario, per un logo, per un evento o più in generale per qualcosa di molto concreto e tangibile, questo costringe le agenzie di comunicazione ad inserire il costo dello sviluppo creativo nel costo generale di un progetto. Cosa succede quando invece che uno spot ci si deve confrontare con le logiche economiche dei media digitali? Già dieci anni fa le agenzie di pubblicità erano fuori mercato nella produzione dei banner, ma non per colpa loro, oggi lo sono nella produzione ad esempio degli audiovisivi di rete. L'unica risposta è scorporare il costo creativo dalla produzione delle creatività. La creatività è una risorsa che deve essere remunerata adeguatamente. Non si può pagare un creativo ad un costo orario, la creatività deve essere remunerata in funzione del beneficio economico che porta.
  • le aziende devono riprendere il controllo strategico sulla comunicazione digitale -Alcune aziende (non tutte) formulano un brief anche molto dettagliato che riassume i loro obiettivi e fornisce indicazioni sui risultati che vogliono conseguire e poi si aspettano una proposta innovativa dalle loro agenzie creative. Quando si decide di utilizzare il web e in particolar modo i Social Media, non è conveniente delegare. La tendenza oggi è di avviare un dialogo diretto tra le aziende ed i loro pubblici. Le aziende devono sperimentare in prima persona gli strumenti che verranno utilizzati, devono imparare a gestire in prima persona le dinamiche conversazionali. Per questo genere di attività, l'agenzia di comunicazione ed il consulente devono essere di supporto, ma non possono che avere un ruolo defilato.
  • le aziende devono investire di più nella formazione permanente - Sono aumentati i programmi di formazione sui nuovi temi del marketing innovativo e della comunicazione digitale, ma non abbastanza. L'evoluzione dei media digitali richiede un cambio di paradigmi che non riguarda solo la comunicazione o il marketing, ma l'intera azienda. Come qualcuno si sarà accorto, aprire ad esempio un corporate blog ha delle forti ripercussioni sull'intera organizzazione. Ci sono tanti fondi disponibili per supportare la formazione finanziata per le piccole e medie imprese che restano inutilizzati, forse perchè la formazione non è intesa come una priorità assoluta in questo periodo di grandi cambiamenti.
La contrapposizione non porterà ad alcun risultato. Le aziende continueranno a rimproverare le agenzie creative di non essere innovative, propositive e proattive e le agenzie di pubblicità continueranno ad affermare che le aziende devono rischiare di più.

Così non si va da nessuna parte. Occorre lavorare insieme per affrontare concretamente i problemi.

L'immagine è di planoscorpio

mercoledì, maggio 21, 2008

Trailer Mashup 



Mi occupo di marketing innovativo, lavoro anche sullo sviluppo di nuovi format per il marketing, ma non li sviluppo. Fino ad ora non ho ancora trovato un'agenzia di comunicazione interessata a collaborare sulla creazione di nuovi format per gli audiovisivi di rete destinati alle aziende.

Per mantenermi informato, analizzo ogni sera una media di circa 120 video sui siti di videosharing. E' veramente difficile star dietro ad un tale trionfo di creatività.

Certo che occorre fare un grande lavoro di selezione, il rapporto tra le idee che possono essere sviluppate e i video insulsi sulla rete è per me di circa di 1/75, visto che per trovare ogni volta un'idea interessante su cui poter lavorare devo visionare almeno 75 video.

Occorre dire che rispetto a soli sei mesi fa, si è allargato il numero di persone che mettono in rete i propri video e quindi gli stimoli creativi sono davvero molti.

In rete, più che in televisione, le nuove idee hanno un tasso di decadimento più elevato anche se il ciclo di vita di un prodotto video è più ampio, basta osservare quanto i top video proposti su You Yube oltre due anni fa abbiamo ancora un loro pubblico che si mantiene.

La cosa più difficile da fare è la trasformazione di una proposta creativa in format serializzabili inseriti in contesti specifici come quelli aziendali, ma se si ha la pazienza di osservare con sufficiente attenzione l'upload di nuovi contenuti generati dagli utenti, ci si accorgerà che si stanno già sviluppando generi specifici.

Gli utenti fruitori di servizi di video sharing sono alla ricerca di contenuti e non solo spot pubblicitari, per questo c'è così bisogno di un lavoro sui linguaggi, ma è un lavoro che richiede competenze diverse e transdisciplinari (sono consapevole che la mia analisi non possa che essere parziale, perché tiene in conto solo alcuni aspetti). E' infatti necessario un lavoro di analisi creativa, che non può prescindere da un'attenta esplorazione delle dinamiche di fruizione e di interazione con i video di rete, da parte di differenti tipologie di pubblico.

Comincerò a fare qualche riflessione qui sul blog sui nuovi generi, come il "trailer mashup", intanto ve ne propongo uno.

lunedì, maggio 19, 2008

Rischi non calcolati 


Un tempo si stava ben attenti. Gli spazi pubblicitari erano scarsi e costosi, prima di pianificare era necessario pensarci bene. Focus group, test di messaggio, test di creatività, è gradita la nostra comunicazione? Funzionerà?

Oggi che molti canali di distribuzione di contenuti digitali sono gratuiti, qualcuno non si fa troppi problemi. Ci mettiamo tutti i nostri spot su questi media sociali, come il negoziante che durante i saldi tira fuori ogni genere di resto di magazzino?

Quando gli "spazi" diventano gratuiti, paradossalmente l'attenzione alla qualità, dovrebbe essere doppia, proprio perché diminuiscono le barriere all'entrata e perché aumentano a dismisura i contenuti offerti a parità di attenzione, che anzi, tende a diminuire.

La mia domanda rimane sempre la stessa, ma se i costi di produzione e distribuzione dei contenuti sui social media sono tendenzialmente bassi perchè non investire ciò che avresti speso normalmente, in un'analisi più sofisticata e articolata delle esigenze informative dei tuoi pubblici?

L'immagine è di biz/ed

sabato, maggio 17, 2008

La storia, la memoria, il network delle persone che non conosciamo 


Fino ad ora abbiamo ragionato di network sociali, comunità di persone che si creano intorno ad un interesse, una passione, una professione.

I social network di seconda generazione stanno mettendo insieme le persone che condividono memorie e ricordi. E' il caso di linkory.

Linkory, permette di condividere memorie e ricordi su un evento importante, pubblico o privato, con amici che lo hanno condiviso, ma anche con persone sconosciute. Introduce il concetto della valorizzazione della Citizen History, la storia vista con gli occhi delle persone.



Ho l'impressione che il prossimo futuro ci riserverà servizi complessi, pensate una condivisione di memorie, associato ad un albero genealogico condiviso, che comprende un servizio di photo e video sharing, o un network sociale flessibile creato intorno a differenti momenti di vita vissuta insieme.

Non passerà molto tempo e ben presto ricorderemo Facebook e Myspace come servizi primordiali.

Junior Boys Godard Mashup 



Una rilettura ed un omaggio all'opera di Jean Luc Godard, il più grande esponente della Nouvelle Vague.

Positive Walk 



Una bellissima microstoria creata per la rete.

Audio mashup - Dj Moule
Video Artist - Banjamin Calméjane.


Scelte di campo 


venerdì, maggio 16, 2008

Movi&Co: new media e video nella comunicazione aziendale 


Ultimamente sono troppi i fronti in cui sono impegnato, questo purtroppo mi costringe ad essere selettivo sui convegni che frequento o in cui sono chiamato come relatore.

Dato che su molte tematiche di carattere generale afferenti il mondo dei next media e del marketing digitale, diversi miei amici blogger stanno facendo uno straordinario lavoro di divulgazione, ho deciso di approfondire alcune tematiche molto specifiche che affronterò nei prossimi convegni e seminari.

Mercoledì 21 maggio sarò presente come relatore all'evento Movi&Co, che accanto al concorso per video maker, ha organizzato quest'anno per la prima volta un workshop rivolto alle aziende interessate ad approfondire il tema degli Enterprise Generated Content/User Generated Content come strumento di comunicazione e di relazione.

Cercherò di inquadrare nel breve tempo a mia disposizione il tema del videomarketing alla luce dell'evoluzione del panorama mediale.

Se siete a Milano dalle parti dello Spazio Oberdan mi farebbe piacere salutarvi. L'invito lo trovate qui.

mercoledì, maggio 14, 2008

La cultura della partecipazione 


Leggo e rileggo il post di 37 signals eppure qualcosa non mi convince anche se comprendo le intenzioni.

You don’t create a culture. Culture happens. It’s the by-product of consistent behavior. If you encourage people to share, and you give them the freedom to share, then sharing will be built into your culture. If you reward trust then trust will be built into your culture.

Artificial

Artificial cultures are instant. They’re big bangs made of mission statements, declarations, and rules. They are obvious, ugly, and plastic. Artificial culture is paint.

Real

Real cultures are built over time. They’re the result of action, reaction, and truth. They are nuanced, beautiful, and authentic. Real culture is patina.

Don’t think about how to create a culture, just do the right things for you, your customers, and your team and it’ll happen.


Se fosse veramente così, non ci sarebbe bisogno di strategie di change management in azienda.

L'immagine è di Wikimedia

martedì, maggio 13, 2008

We think 

Un approccio non ideologico ai Social Media per le aziende 

Lo sappiamo che il termine 2.0 è solo una convenzione e lo sanno molto bene anche negli Stati Uniti, ma mentre noi in Italia siamo qui a discutere e a polemizzare sui termini e sul rapporto tra aziende e Social Media, oltre oceano si sperimenta e si usano concretamente i mezzi per fare marketing senza particolari problemi.

La questione dell'acceptance della pubblicità nei Social Media, viene sicuramente posta, ma affrontata dalle aziende con un approccio non ideologico e concreto.

Come riporta Ken Rutkowski nella sua newsletter:

Web 2.0 is paving the way for integrating direct and brand marketing, enabling real-time dialog with customers and the joint creation of content that increases and improves brand awareness and perception, and generates sales and leads, according to a new report from the Direct Marketing Association (DMA) investigates Web 2.0 - including blogs, virtual words, social networks, user-generated content, RSS feeds, and Wikis - as the platform that converges all marketing. New-media elements most use by Web 2.0 direct marketers for Direct Marketing are (in order) blogs, online video, user-generated content and social networks:

Ken così riassume le evidenze del report della Direct Marketing Association sull'uso di strumenti del web partecipativo da parte delle imprese americane l'integrazione di strategie di branding e direct response:

Despite being relatively new, Web 2.0 is apparently recognized as a brand-building channel:

- 84% of respondents use it to raise brand awareness.

- 82% use Web 2.0 tools to increase brand preference.

* New media is used for direct marketing as much as it is for brand building:

- 83% use Web 2.0 to generate sales.

- 80% use it to generate leads.

* Most marketers realize the opportunities that new media create for integrating DM and brand:
- 85% of respondents use Web 2.0 to engage their customers and rate it as a highly effective mechanism for customer engagement (average rating is 5.3)

- 84% of our respondents use Web 2.0 to create a community of loyal customers, and they find it very effective for doing so (the average rating is 5.0).

E' interessante notare come i budget si spostano, dall'offline all'online:

* 82% of respondents allocated a quarter or less of their marketing budget toward Web 2.0.

* 70% of those who report that they are experts in interactive marketing also allocate about a quarter of their budget to Web 2.0.

Questa è la nuova ripartizione:



Questi dati dimostrano che negli Stati Uniti l'utilizzo dei Social Media per strategie di branding e direct response è diventato molto più sofisticato. (Quanti cambiamenti se si fa un confronto con la situazione di soli sei mesi fa)

Il report è è disponibile a pagamento sul sito della DMA

domenica, maggio 11, 2008

Apprendimenti collettivi 


No non è la stessa cosa. Leggi i testi fondamentali: Pierre Levy, De Kerckove, Rheingold.., ma è molto diverso vivere in prima persona l'esperienza dell'intelligenza delle folle.

E' un po' come riguardare le foto dei figli che crescono, rivivi i momenti più importanti della vita vissuta insieme ed è bellissimo.

E' altrettanto bello rileggere vecchi post dei blog che segui con regolarità, ma non sequenzialmente. La cosa più affascinante è seguire la vita di un'idea, vedere come prende corpo, come grazie al contributo dei commenti un pensiero postato per caso si sviluppa e come l'intelligenza collettiva cresce.

E' come vedere l'erba che ti cresce sotto i piedi e lo senti il profumo quando viene tagliata ed inaffiata.

Poi torni sul tuo blog e rileggi i tuoi vecchi pensieri e ti sembra di rivedere il tuo primo compito delle elementari e provi un senso di imbarazzo, ma anche di orgoglio, perchè tu sei cresciuto e gli altri con te e ti viene la voglia di dire grazie.

L'immagine è di aussiegall

sabato, maggio 10, 2008

Conversazioni estensive o selettive? 


Ho ricevuto ultimamente diverse e-mail di persone che mi chiedono come mai "perda" così tanto tempo ad occuparmi del fenomeno delle "blogstar" che per molti è irrilevante e per altri inesistente.

Se si analizzano i principali testi già pubblicati sul marketing conversazionale è facile trovare un buon elenco ben strutturato di ragioni per le quali è utile per un'organizzazione e per un'azienda avviare conversazioni con i propri pubblici di riferimento. L'argomento è stato già affrontato ripetutamente anche in questo blog.

Discutendo con diversi uomini di marketing e con professionisti che lavorano nel mondo delle pubbliche relazioni sono emerse tre precise questioni concernenti le dinamiche conversazionali in ambito aziendale:
  1. Chi sono le persone che occorre ascoltare? (Visto che non si può ascoltare tutti)
  2. Con chi si devono avviare le conversazioni?
  3. Con chi approfondire le relazioni?
Se non si da una risposta concreta a queste tre domande si rischia di rimanere nel vago, quando gli uomini di azienda richiedono pragmatismo.

Impostare una strategia di ascolto

L'ascolto per le aziende richiede un approccio strategico, che richiede quindi delle scelte e delle priorità:
  • ascolto per estrapolare i segnali deboli di mercato
  • ascolto per comprendere i "sentiment" degli esperti e degli opinion leader considerati rilevanti
  • ascolto per analizzare la propria brand reputation
  • ascolto preventivo per evitare le situazioni di crisi prima che si verifichino
  • ascolto per gestire le situazioni di crisi
  • ascolto a supporto della customer situation
Ogni azienda/organizzazione deve esplicitare con chiarezza la sua strategia di ascolto, che è evidentemente finalizzata al raggiungimento di obiettivi precisi, delineati temporalmente e misurabili.

Attrezzarsi per conversare


Il modelo UIC/EIC che ho ripreso ed esteso suddivide le conversazioni di un'azienda in due macro-filoni
  • User Initiated Conversation - Sono le conversazioni avviate da clienti attuali e potenziali, dagli influenzatori e da tutte le persone che hanno per oggetto un brand o argomenti di interesse di un'azienda
  • Enterprise Initiated Conversation - Sono le conversazioni avviate attraverso uno stimolo lanciato in rete, con modalità differenti, da un'azienda o da un'organizzazione sui Social Media.
Scegliere gli interlocutori con cui conversare

Spesso non è possibile scegliere i propri interlocutori, ma è invece possibile stabilire una linea conversazionale che permetta di avviare la conversazione su basi solide ed evitare le inutili polemiche da parte di chi è alla ricerca di protagonismo a discapito delle aziende. Questo determina una serie di scelte per le conversazioni proattive e quelle reattive.

Scegliere gli interlocutori con cui approfondire le relazioni.

Sempre più spesso le aziende decidono di invitare un nutrito numero di "blogger" ai propri eventi. I criteri di scelta delle persone da invitare sono spesso decisi all'ultimo momento e adattati secondo lo spirito del momento questo crea in molti casi forti malumori, perché questi criteri non sono stati esplicitati in una precisa strategia e non sono comunicati adeguatamente.

Affronterò questi temi con più dettaglio in prossimi post.

L'immagine è di Future of the book

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venerdì, maggio 09, 2008

Mash it up with energy 



Beastie Boys Vs Led Zeppelin
Audio by: DJ Moule (France)
Video by: DJ Cougar (USA)

Dopolavoristi 


Un tempo c'erano i blog personali come mezzo di espressione personale, poi sono entrati nella blogosfera i blog professionali e i corporate blog, strumenti di pubbliche relazioni di professionisti (ad esempio il mio blog) o di aziende.

Oggi si dibatte in rete di una "nuova" categoria di blog, quella dei dopolavoristi. Sono blog ibridi a cavallo tra il blog personale, il citizen journalist ed il blog di marketing, ma personale, rigorosamente autoreferenziale. Le blogstar investono sul proprio brand personale, ma a differenza dei veri marketing blog, non lo dichiarano, anzi lo negano con tutta la forza.

Sia chiaro nulla di male nell'autopromozione, il problema è che i dopolavoristi detestano il marketing, ma al contempo sono presenzialisti e si vedono in tutti gli eventi che contano, apparentemente per incontrare gli amici, ma durante tutto l'anno e rigorosamente in orari di lavoro. Sono ricchi di famiglia o stanno investendo?

Acuta l'analisi di Paul the Wine Guy che riporto integralmente:

Mi mettono tristezza. Quei neri immigrati, vestiti con la canotta di Kobe Bryant e la catena della bicicletta al collo. Quelli che sperano che qualcuno li confonda per afroamericani anziché più banalmente provenienti dal Ghana o dal Malawi. Una questione di somiglianza, a costo di rinnegare il bubu batik multicolor in cambio di un paio di pantaloni troppo larghi, nella speranza di mimetizzarsi in un mondo che non li vuole.

Tali e quali a quei blogger che si fingono giornalisti.
Che smarkettano come i giornalisti, che presenziano come i giornalisti. Le scimmiette addestrate con la nocciolina. Non sono molti, ma hanno il loro peso.

Nel 2003 Mantellini scrisse del “perché i giornalisti odiano i blog”: a rileggerlo, dopo anni, ci si accorge di quanto è cambiato.
In soli 5 anni i blogger si sono perfettamente integrati nel rutilante mondo del giornalismo da 4 soldi: presenziano, ricevono comunicati stampa, patteggiano omaggi, vendono opinioni, si scambiano inviti, si organizzano fra loro. Una piccola forza lavoro che si porta via a gratis o quasi.

La blogosfera italiana è – ipoteticamente - un meccanismo potenzialmente perfetto: in principio c’è la cricca del marketing, i PR, quelli che organizzano eventi e si fanno pagare dalle aziende per creare hype.


Gestiscono community, lusingano i blogger, sanno come ci si muove.
Condividono la loro commessa con tutti gli altri, selezionandoli per tipologia: ci sono i tecnologici, i politici, i tuttologi. Hai un prodotto? Loro ti forniscono solo i migliori blogger selezionati, profilati, pronti per evangelizzare alla modica cifra di quattro tartine. Come il tonno a filetti. Sono blogger anche loro, quelli del marketing. Sanno che ci si supporta, l’uno con l’altro, che non fa mai male scrivere bene di un altro blogger. Come si dice, cane non mangia cane. E poi ci sono quelli che ci sono sempre e comunque. Anche se non li si vuole, si auto-invitano.

Questi fanno parte del pacchetto promozionale, si tengono così.
Soldi? Zero. Si presenzia generalmente per un investimento futuro: qualche volta si riesce a fottere un gadget, o magari si riesce a fare una domanda ad un ex-vicepresidente degli Stati Uniti. Sono soddisfazioni. A volte si riesce persino a finire in TV. Orgoglio della mamma.

I blogger nel 2003 facevano di tutto pur di professare la totale estraneità con il mondo del giornalismo. Anzi. Si parlava di morte della professione, di un nuovo ordine del mondo dell’informazione. Qualcosa che arrivava dal basso. La voce del popolo, la controinformazione. Notizie di territorio, recensioni direttamente del consumatore.

Le notizie sui blog avevano preso credibilità, avevano convinto: le famose pecette di Macchianera, i blog che arrivavano prima dei giornali. Dopo 5 anni tutto è cambiato: fateci caso. Alcuni hanno tentato la carriera televisiva. Altri hanno iniziato a scrivere sulla carta stampata. Certi invece hanno preferito la radio. Certo, era fisiologico. Ma è sintomatico che chi arriva a conquistare un altro media – anche solo per un minuto – diventa automaticamente un eroe per tutti gli altri.

Sono convinto che molti blogger italiani vorrebbero – in cuor loro – costituire un ordine come quello dei giornalisti. Per questi Grillo è solo un populista, e il V-Day contro lo stato dell’informazione italiana è solo un meschino attacco ai fratelli della carta stampata.
Eh, i fratelli dell’informazione tradizionale. Anche loro sono diventati più amichevoli: basta non mettere la giacca che si ringiovanisce. Qualche vaffanculo, qualche provocazione. Sanno che si possono fare interi servizi aprendo la pagina dei più visti di YouTube.

Gli articoli si sono fatti più brevi, digeribili, con il linguaggio del popolo. E con tante, tante opinioni.
Tutti omologati - blogger e giornalisti - perché è così che deve funzionare. Come un milanese che si veste da africano.

I dopolavoristi sono forse alla ricerca della propria identità, fanno altro nella vita, sono radiologi, programmatori informatici o pensionati, ma ambiscono ad un secondo lavoro, al contrario degli opinionisti in televisione non sono remunerati e si accontentano di gadget e tartine, qualcuno di loro si stuferà, altri troveranno la loro vera identità e smetteranno di essere dopolavoristi.

giovedì, maggio 08, 2008

Il sogno americano 



Certe cose non possono succedere in Italia perché noi non abbiamo un sogno italiano.

Il pittore che dipinge solo fiori 


Si è mai visto un grande artista che è in grado di dipingere un solo soggetto?
Nel tempo grandi artisti si sono specializzati, chi nei ritratti chi nei paesaggi, ma è solo una scelta volontaria, non una costrizione dettata da una scarsa padronanza delle tecniche.

Un grande creativo lavora con le idee, sulle idee, nelle idee, trasforma pensieri in immagini, immagini in emozioni, non è certamente un operaio dello spot.
Per quale motivo dobbiamo riempire la rete di spot, solo perchè qualche pubblicitario non conosce bene il mezzo? Solo perché non ha voglia di lavorare su nuovi format?
Il mio blog si occupa di marketing e comunicazione, ma da tempo sto lavorando moltissimo sull'analisi dei nuovi formati che stanno nascendo in rete dalle sperimentazioni anche dei creativi della domenica. Questa è la ragione della mia passione ad esempio per i mashup musicali, che pubblico molto spesso.
Il futuro della rete è nel video, ci saranno tanti spot, ma lo spot è un "innesto" mutuato dalla televisione, non il formato naturale del web.

Oramai abbiamo capito che la televisione è un medium specifico e non una radio con le immagini. Mettiamoci in testa una volta per tutte, che Internet non è la televisione, è altro. Regoliamoci di conseguenza, con contenuti specifici.
Un creativo che sa produrre solo spot, non è un grande creativo.

Nell'immagine: Iris - Van Gogh.

mercoledì, maggio 07, 2008

Ribaltamenti 


Che il futuro della rete si accompagni ad una crescita della diffusione dei video è oramai una tendenza accertata.

Il fatto che i pubblicitari sappiano fare gli spot, non significa che dobbiamo infarcire la rete di video commerciali. Per questo sono in profondo disaccordo con Layla.

Non so quale sarà il futuro, so invece quello che voglio: una crescita di contenuti video per la rete che siano interessanti, informativi e rilevanti per i diversi pubblici. Contenuti, non spot.

[INIZIO SPOT] Se i pubblicitari non lo vogliono fare, ci penseranno altri soggetti; beh per dirla tutta su questo ci sto lavorando da diversi anni. Abbiamo creato quest'anno una società che produce audiovisivi di rete per il turismo [FINE SPOT]

Per parafrasare Joseph Jaffe: c'è una vita oltre lo spot.

martedì, maggio 06, 2008

Questo non è uno spot (this song won't sell a thing) 



Music video for the song "This Song Won't Sell a Thing" written and performed by Hussalonia from "The Public Domain EP".

lunedì, maggio 05, 2008

Il pianoforte 

Contenuti, testi e sottotesti 


Non è un caso che molti grandi registi cinematografici si siano cimentati con la pubblicità.

La pubblicità, soprattutto quella televisiva, gioca sull'emozione, sulla capacità di catturare uno sguardo fugace e trattenerlo quel tanto che basta al breve racconto per colpire l'immaginazione e stimolare la salivazione della mente.

La pubblicità è fatta di testi di preparazione, montaggio, dove nulla, ma proprio nulla è lasciato al caso. Colonne sonore, inquadrature, luci, tutto viene preparato meticolosamente, affinchè il messaggio arrivi a destinazione senza subire deviazioni.

Sui social media non è alla fine così importante il testo, quanto l'intenzione e anche se può apparire strano, spesso il sottotesto, prevale.

Wikipedia lo spiega molto bene:

Il sottotesto determina quella differenza di significato, altrimenti invisibile, che si cela all'interno di una battuta di un copione.

Esso ha valenza prettamente teatrale dato che i testi teatrali vengono poi interpretati nel tempo da diversi registi e attori, mentre un copione cinematografico o televisivo viene utilizzato solo una volta.

Il sottotesto non è altro che la codifica teatrale di ciò che continuamente avviene nella realtà: esprimere un concetto senza farlo espressamente. Ad esempio un personaggio malinconico e solitario, probabilmente dirà "ecco che un'altra giornata è finita" in maniera diversa da un personaggio che ha passato la stessa giornata in miniera. L'informazione contenuta nella battuta è la stessa ma il sottotesto per i due personaggi è profondamente diverso.

Non ci dobbiamo meravigliare, in rete la stessa battuta assume infiniti significati, dipende molto da chi la pronuncia. In rete il metacontenuto è tanto importante quanto il contenuto, il sottotesto spesso, ancora più importante del testo, perché anche i media sociali hanno i loro paralinguaggi.

E' forse questo, che fa della rete un ambiente di comunicazione così straordinario.

Rivalutare le pr 


In questo periodo dove si rimette tutto in discussione, credo che sia da rivalutare il ruolo autentico delle pr, che devono evolvere, ma non essere completamente stravolte da ogni moda passeggera.

Internet ed i Social Media hanno trasformato completamente il mestiere delle pr, ma i principi di correttezza, autenticità, che dovrebbero ispirare i professionisti delle pubbliche relazioni non sono mai cambiati.

Il più grande errore che un professionista delle pr potrebbe compiere è quello di creare (inconsapevolmente o peggio volutamente) false aspettative.

Il coinvolgimento della blogosfera nell'organizzazione degli eventi aziendali è sicuramente un elemento positivo, ma ci sono alcune cose che abbiamo imparato nelle ultime settimane. Vorrei elencarle in modo da poter aprire un dibattito.
  1. E' controproducente promettere un coinvolgimento attivo dei blogger (quando si li intende utilizzare solo come cassa di risonanza) perché anche i cosiddetti "top blogger" hanno la loro "agenda personale". In mancanza di un reale allineamento non si innescheranno circoli virtuosi. Le agenzie di pr cercheranno di ottenere un po' di visibilità in più a basso costo, mentre alcuni blogger un palcoscenico per ottenere altrettanta visibilità, un po' come succede nei corridoi delle conferenze dove ci si scambia biglietti da visita tra "venditori", perchè i clienti sono altrove.
  2. E' del tutto evidente che quando si organizzano i grandi eventi di corporate per il lancio di un prodotto e si chiamano "star internazionali" del calibro di Al Gore o Steve Ballmer, lo spazio interattivo è sempre ridotto, perché nascondere la vera natura dell'evento? Perché non comprendere che spesso giornalisti e blogger hanno motivazioni differenti?
  3. Dovrebbero essere organizzati eventi diversi con obiettivi diversi e differenti livelli di coinvolgimento dei pubblici, l'importante è comunicarli in modo corretto. Un convegno, un seminario, un lancio di prodotto sono eventi completamente differenti, non possono più essere organizzati e comunicati allo stesso modo.
Fintanto che le pr saranno concepite come un'attività low cost, per ottenere visibilità senza offrire in contropartita reale valore per tutti i pubblici, i problemi continueranno a mostrarsi in tutta la loro evidenza, non è quindi un problema della blogosfera, ma di impostare correttamente la comunicazione senza trucchi o sotterfugi.

Update: Condivisibile l'opinione di Roberto Dadda, rilancia il dibattito con spunti interessanti.

Internet Pr? 

Se è vero che una buona parte di blogstar (proprio quelle che detestano il marketing) hanno fatto i compiti a casa e diligentemente hanno preparato il loro post come ci si aspettava da loro, c'è sempre chi (Robin Good) sa ragionare con la sua testa e si sottrae al gioco delle Internet Pr (ma sono davvero tali?), così come inaspettattamente aveva già fatto Caterina. (via MCC)

domenica, maggio 04, 2008

Baby Baby (take care of yourself) 



Non esistono temi troppo difficili, è sempre questione di usare il tono giusto, in funzione dell'interlocutore.

Dopo tanti video choc totalmente inefficaci, ecco un esempio di come parlare di amore e di sesso agli adolescenti con ironia e buon gusto (via Catepol).

Voi che ne dite?

Dettagli 2.0, se vi pare 



Va bene, il messaggio e' passato, ma è il caso di andare oltre.

Non è utile cercare di convincere le aziende a conversare, ad aprire un blog, ad usare twitter, pubblicare un video su YouTube, se non si approfondiscono i termini del nuovo "framework strategico", che presenta delle specificita' a seconda dei settori, delle diverse tipologie di impresa o di organizzazione.

Non è di nuovi strumenti di comunicazione che hanno bisogno le imprese, ma di modelli funzionanti, di metriche, di casi di successo, di analisi strutturate, di esempi specifici.

Continuano ad uscire nuovi libri sugli strumenti del nuovo web, ma molti imprenditori chiedono di più.

Cosa significa conversare per un'impresa edile e cosa per un'impresa farmaceutica?

Credo che le problematiche generali siano piu' o meno note, ma e' opportuno tornare a parlare la lingua delle imprese, gettare dei ponti, se non si rischia di continuare a parlare tra iniziati.

E' vero, all you (we) do is talk, talk. Se questa è conversazione....

sabato, maggio 03, 2008

Brand Conversations 


Negli ultimi due anni, in rete, nei convegni e sulla stampa specializzata si è parlato molto di social media e di conversazioni.

Sono usciti molti libri che riprendono a piene mani le tesi del Cluetrain Manifesto e che invitano le imprese ad aprirsi, a cedere il controllo ai propri pubblici e a conversare.

La conversazione per un'impresa non è fine a se stessa, ma uno strumento per ascoltare, recepire e per cambiare i propri comportamenti, in altre parole per fornire un servizio migliore.

Ci si è concentrati così tanto sulla conversazione, che ci si è dimenticati del servizio

Non stupisce l'accoglienza che ha avuto lo studio reso disponibile da IBM e dall'Università di Cambridge, che giustamente fanno un passo indietro e tornano a sottolineare l'importanza dell'innovazione in ottica di servizio e per "l'economia dei servizi".

Una lettura caldamente raccomandata.

L'immagine è di Parker Wright Group

giovedì, maggio 01, 2008

Jack Conte: Il video 



Written, directed, and produced by Jack Conte
Cinematography by Eriq Wities
Starring Maggie Mason
Special Thanks to Ben Grant and Leslie Billie

Jack Conte e le Videosong 



A VideoSong is a new Medium with two rules:

1. What you see is what you hear (no lip-syncing for instruments or voice).
2. If you hear it, at some point you see it (no hidden sounds).

Cover of Feel Good Inc. originally by Gorillaz - Jack Conte.

Mashup liberi 



Si parte da un preludio di Chopin, si aggiunge un pizzico di Radiohead e si da sfogo alla propria fantasia ed il risultato è davvero strabiliante, scritto, diretto, registrato e montato da una sola persona.

Questo è il mashup baby, Jack Conte è un artista del web.
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