domenica, settembre 30, 2007

Numeri nudi sulla pubblicità 


Cosa pensano i consumatori americani della pubblicità?

Un recentissima ricerca dell'agenzia JWT e della rivista Adweek, ha evidenziato alcuni dati che dovrebbero far riflettere i pubblicitari.

• 84 percent agree (strongly/somewhat), “Too many things are over-hyped now."

• 74 percent agree, “The Internet helps me make better product choices."

• 72 percent agree, “I get tired of people trying to grab my attention and sell me stuff.”

• 52 percent agree, “There’s too much advertising — I would support stricter limits.”

• 47 percent regard “Advertising as background noise.”

Ai pubblicitari italiani non piace parlare di queste cose. Complimenti a JWT U.S.A per non avere messo la testa sotto la sabbia.

Ne parlano anche qui

Credits per la foto: Img

Gypsy Claire 

venerdì, settembre 28, 2007

Burma, Birmania 

Senza libertà, non ci può essere progresso.

Dalla provocazione alla proposta 








Le provocazioni di Toscani e la retroguardia 



Mi hanno coinvolto e dopo aver ricevuto tanti messaggi non posso più tirarmi indietro.

"Ma tu, Maurizio, cosa ne pensi dell'ultima provocazione di Oliviero Toscani con la campagna "no anorexia"?

Sulla provocazione come strumento di comunicazione ho già espresso la mia opinione.

Visto che in rete ho trovato molti commenti davvero interessanti, (ho considerato solo quelli negativi perchè più utili al dibattito), vorrei spostare il ragionamento ad un livello più generale.

Premesso che ritengo legittimo che un'impresa si occupi di temi sociali, mi sembra che la provocazione di Toscani, sia figlia di una cultura vecchia, quella della ricerca della notorietà, fine a se stessa. Se i parametri sono questi, la campagna ha sicuramente funzionato se ne è parlato molto. (Più di Toscani a dire il vero che del marchio pubblicizzato o del reale problema dell'anoressia).

Leggendo le reazioni in rete, mi sembra di percepire che questa campagna venga considerata da molti, furba e credo che il marchio coinvolto, finito il momento di notorietà, non ne avrà un così grande beneficio, se la metrica di riferimento è la reputazione.

La campagna di Toscani è figlia della cultura televisiva, veloce, superficiale, urlata, che ha bisogno di argomenti choc per catturare l'attenzione sempre più effimera.

Per chi invece crede nel valore delle conversazioni, affrontare un problema complesso, in modo semplice, attraverso una pubblicità, non contribuirà a risolvere il problema. Ecco perchè la campagna di Toscani appare demagogica.

Si sarebbe potuto fare diversamente. La mia risposta netta è si. Tra i tanti esempi, vorrei citare la campagna di Avon per combattere il cancro al seno.

Si tratta di una vera battaglia, in cui l'azienda si impegna a fondo, investendo denaro, energie, impegno, attraverso una fondazione appositamente costituita.

Avon dimostra che è possibile legare un marchio commerciale all'impegno civile in modo sincero, creando una situazione win win.

Caro Oliviero, se credi veramente in quello che fai e pensi che il problema dell'anoressia debba essere combattuto anche a livello culturale, fai come gli americani di Avon, put your money, near your mouth, perchè talk is cheap.

giovedì, settembre 27, 2007

Media digitali e centri media 


Secondo Laura Desmond, CEO di Starcom Media Vest Group - the Americas, i media digitali contribuiranno all'evoluzione del centro media.

Prevede un importante aumento degli investimenti sui media digitali nel futuro prossimo. In particolare entro la fine del 2008, l'insieme dei mezzi digitali rappresenteranno per la sua azienda, la terza voce di investimento, dopo la tv nazionale e quella locale.

I centri media negli Stati Uniti stanno ripensando il loro ruolo ed il dibattito è molto vivo.

Tra le loro priorità:
  • comprendere come utilizzare i new media
  • trovare nuovi talenti da assumere
  • ristruttare le agenzie (rivedere i processi organizzativi)
  • definire nuovi modelli di remunerazione
A me sembra che invece in Italia il dibattito sia tutto fuorchè avviato.

Calma piatta.

Fonte: Advertising Age
La foto è di Sdls

Il futuro dei diritti di negoziazione 

Il mondo dei centri media è in trepidante attesa dell'arrivo in parlamento del disegno di legge sull'editoria del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Levi. Questo ddl è già stato approvato dal governo.

L'articolo 11 di questo decreto, eliminerebbe la possibilità da parte dei centri media di richiedere ai titolari dei mezzi che acquistano i diritti di negoziazione, in quanto sarebbe proibito ricevere remunerazioni da parte di soggetti diversi dal committente.

Premesso che ritengo che dovrebbe essere il mercato a stabilire le diverse modalità di remunerazione di un soggetto del mondo dell'editoria, come il centro media, riconosco che se approvato questo articolo, potrebbe portare ad una maggiore trasparenza nel settore della comunicazione e forse spingere i centri media a diventare consulenti a tutto tondo, abbandonando la logica della "fabbrica della pianificazione".

In molti casi una minaccia si può trasformare in opportunità.

L'immagine è di A-z

mercoledì, settembre 26, 2007

Bestie Creative 

Papà, che cosa è uno spot? 

Differenti vedute nel mondo delle agenzie di comunicazione 


Mentre in Italia si discute sul fatto che un neolaureato in comunicazione dovrebbe essere grato per la possibilità di trovare uno stage in una blasonata agenzia di pubblicità anche se mal pagato, negli Stati Uniti si affronta strategicamente il problema della pianificazione delle risorse umane ed è già comiciata la rincorsa ai talenti negli uffici marketing e nelle agenzie di comunicazione.

A shortage of strategic thinkers who can sagely guide brands or act as true business partners to clients has become severe. There's also a real dearth of people who can function holistically in an increasingly fractured media landscape that has become dictated -- if not dominated -- by digital platforms.

Fonte: Advertising Age

Lavorerò in pubblicità 

Variazioni sul tema (user generated advertising)
Campagna IED 2007
Milano Linea Verde - Udine
Aspirante copywriter

Fonte: Je suis Monsieur Porreau

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L'invito dell'Adci 



Invito video al primo Congresso dei Freelance della Comunicazione dell'Adci



Milan is burning (il video citato)


Fa molto discutere l'invito (video) alla prima Conferenza dei Freelance dell'Adci, come ho evidenziato in questo post.

Io lo trovo invece di grande interesse, non tanto da un punto di vista della sua esecuzione, su cui non voglio pronunciarmi, (non è il mio campo), ma per aver avuto il coraggio di abbandonare il linguaggio dello spot e aver dato un segnale forte di essere entrati nella conversazione, utilizzando codici e linguaggi proposti da altri utenti

E' del tutto evidente che i nuovi linguaggi della rete non possono essere valutati con gli stessi parametri di uno spot.

La citazione di Milan is burning è molto interessante, perchè questo video virale ha stimolato la creatività di tante altre persone. (Pordenone is burning, Milano Marittima is burning, Sedriano is burning)

Quale è lo scopo della pubblicità oggi? Quello di creare delle icone da celebrare nei festival oppure quella di creare e diffondere messaggi in grado di essere recepiti dai destinatari attraverso linguaggi che essi stessi utlizzano?

Ritengo il giudizio dei "grandi pubblicitari" su questo video molto affrettato, credo che invece possa servire da stimolo per rilanciare il dibattito sul futuro della comunicazione commerciale e sui nuovi linguaggi.

martedì, settembre 25, 2007

L'era del Remix 



Reputo il dibattito sul concetto di plagio estremamente importante. Che cosa è il plagio oggi? Quali sono i suoi confini?

Una nuova opera costruita remixando altre opere è da considerarsi un nuovo originale o un plagio?

Ritengo di grande importanza diffondere la cultura del mash up.

Buoni mash up finiranno con il valorizzare le opere originali.

I mash up musicali e quelli video diventeranno presto un genere con una fascia crescente di nuovi estimatori

I mash up pubblicitari influenzeranno drammaticamente i nuovi linguaggi della comunicazione e delle arti visive

I mash riporteranno a nuova vita il materiale di archivio

I mash up costituiranno un'importante fonte di reddito, (se non verranno soffocati prima)

Il prossimo decennio sarà caratterizzato dall'era del remix

Aprite le finestre 



Per il primo Congresso dei Freelance della Comunicazione dell'Adci, che avrà luogo a Milano il 3 ottobre, questo invito ha fatto molto discutere i "grandi nomi della pubblicità italiana".

Questi alcuni commenti negativi:

Di una bruttezza patibolare"
Andrea Concato

"Miiiiiiiiiiii che palle."
Enrico Carazzato

"Qui siamo di fronte a una sorta di sigla Rai anni '70."
Till Neuburg

"E' talmente brutto..."
Pasquale Barbella

"Non piace neanche a me. Sorry."
Gianguido Saveri

"Vi consiglio piuttosto di fare un giro o una biciclettata al parco"
Francesco Rizzi

Qui invece qualche commento positivo:

"Non sto a dire se sia bello o brutto, comunque segnala che i creativi freelance sono attenti a quel che succede in giro."
Erica Pontalti

"Non è detto però che si debba cavalcare quell'onda, che poi non è così rivoluzionaria dal punto di vista del linguaggio visivo. Si capisce che sono fra quelli che l'hanno trovato brutto?"
Daniela Salina

"l'ho visto, è bellissimo."
Paquale Diaferia

"Molto carino"
Gianni Lombardi

Adesso mi è perfettamente chiaro perchè i miei inviti al confronto sui nuovi modelli di comunicare dal blog dell'Art Directors Club sono caduti nel vuoto. E' una questione generazionale.

Si può essere vecchi a quarant'anni.

Non toccate il mio BarCamp 


Si sta organizzando negli Stati Uniti il ManageCamp. Si tratta di una conferenza chiusa e a pagamento su temi della comunicazione e del marketing.

Forse il nome non è il più appropriato, forse dovrebbe essere cambiato perchè ingenera confusione. Il BarCamp notoriamente è una conferenza aperta a tutti e gratuita, ma tutti i Camp devono essere Bar?

Non sono infatti d'accordo con le polemiche che hanno avuto luogo contro l'evento organizzato da Marco, perchè ritengo una contraddizione nei termini porre delle logiche da copyright su eventi che si ispirano parzialmente a logiche aperte dei BarCamp.

Chi si batte per la riproducibilità dei contenuti, per la libera conoscenza, per i Creative Commons, per i Mash up non può e non deve polemizzare sull'uso del termine Camp, dovrebbe invece giustamente rimarcare le differenze tra gli eventi, ma essere consapevole che non si può lottare per distruggere il concetto di format (e dei relativi diritti) salvo poi rivendicarne la paternità. E' questione di coerenza.

Credo invece che sia molto più utile una discussione in termini propositivi sull'evoluzione del concetto di plagio che sta assumendo contorni sempre più sfumati.
  • Che cosa è oggi il plagio?
  • Il Mash up è plagio?
  • Quando finisce la citazione (ispirazione) e inizia il plagio?
Credo che siano domande di grande attualità e su cui non ci si è ancora dati delle risposte. Ovviamente è un dibattito culturale, che non riguarda gli aspetti giuridici, come è noto, la giurisprudenza arriva a disciplinare qualsiasi pratica con grandissimo ritardo.

I volontari dell'innovazione 


Una volta scrissi sul blog che in Italia esiste una forte resistenza al cambiamento, ad ogni livello. Forse è più corretto definirla un'incapacità di cambiare, poichè anche la resistenza è conseguenza di un'azione.

Da noi il cambiamento è soprattutto a carico dei volontari che in ogni ambito, decidono di sacrificare tempo, denaro ed energie per costruire qualcosa di nuovo.

Se il "nuovo" avrà successo, verrà poi copiato e si cercherà di riprodurlo in serie, altrimenti dimenticato.

Ma cosa si copia? Solitamente solo la superficie, i contenitori, gli involucri, la forma. E' molto più difficile riprodurre dinamiche relazionali da parte di chi non le ha sperimentate e metabolizzate.

Chi ha provato a cavalcare la tigre aprendo repentinamente un blog, entrando su Second Life, pubblicando video su You Tube, senza averne assorbito la cultura, si è spesso bruciato le mani.

Il periodo di transizione che stiamo vivendo richiede nuovi schemi mentali e nuovi strumenti.
La rete non è più intesa alla stregua di un nuovo medium, ma è oggi (più che mai) una sorta di palestra dove vengono sperimentate nuove dinamiche relazionali, nuovi linguaggi, nuovi formati, nuovi contenuti e nuovi strumenti, in tempo reale e senza paracadute.

Il cambiamento è così veloce che il terreno ci scompare da sotto i piedi, abbiamo bisogno di nuovi riferimenti che non potremo trovare da soli.

Ecco che le persone comiciano ad organizzarsi e mettersi insieme per definire nuovi modelli e nuove metriche per la comunicazione ed il marketing o per sperimentare nuovi linguaggi neo televisivi. Gli esperimenti sono naturalmente molti di più.

Quello che al di fuori della rete si stenta a comprendere è che l'utilizzo di nuovi strumenti con vecchie logiche non solo sarà inefficace, ma totalmente devastante.

Occorre rifondare la comunicazione di impresa a partire dai termini utilizzati. Per me non è superfluo tornare indietro e rileggere i classici della comunicazione con occhi nuovi, per cercare di comprendere cosa sia realmente cambiato e cosa invece rimasto immutato.

C'è un forte bisogno di razionalizzazione delle esperienze fatte in rete. Dobbiamo infatti definire nuovi modelli teorici e applicativi e lo ripeto, nuove metriche di riferimento da poter sperimentare.

I volontari non hanno nulla da perdere, non hanno niente da dover difendere. Partire da zero è molto difficile ma anche molto stimolante.

Stare a guardare è sicuramente un atteggiamento prudente e talvolta saggio, ma in questo momento molto rischioso. Cosa succederà nelle Università quando gli studenti ne sapranno più dei docenti grazie alla rete? Cosa succederà nelle aziende, nelle agenzie di comunicazione, nei centri media?

Ai volontari non interessa fare previsioni, loro si buttano e il nuovo lo creano, con pochi capitali e con poche risorse, ma cresceranno, perchè questo è il loro momento.

lunedì, settembre 24, 2007

Pubblicità progresso 


Leggo dal sito di Pubblicità Progresso che i suoi obiettivi sono i seguenti:
  • proseguire in forma potenziata e più strutturata le tradizionali attività di Pubblicità Progresso, realizzando campagne e patrocinando quelle meritevoli
  • influire positivamente sulle più diverse attività di comunicazione sociale, sia pubbliche che private
  • organizzare annualmente la Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale
  • creare moduli formativi e seminari da offrire a università, associazioni, enti della pubblica amministrazione, agenzie e aziende
  • realizzare un database di tutta la comunicazione sociale rilevante dal Novecento a oggi
C'è da augurarsi che questa importante fondazione non debba più operare, non perché non abbia svolto un ottimo lavoro, (lo ha fatto sicuramente), ma perché tutta la pubblicità è diventata "Progresso" e la fondazione ha esaurito la sua mission.

domenica, settembre 23, 2007

Che cosa intendi per integrazione? 

Non è solo una "malattia italiana". In molte agenzie di comunicazione si abusa oggi del termine "integrazione", ma in molti casi se ne potrebbe fare a meno, come ci spiega Jonah Bloom.

...of course, it's an important issue. But only if you mean integration in the sense of breaking down the silos in marketing organizations to structurally align research, innovation, product development, digital strategy, e-commerce, CRM, sales, service, corporate communications and the traditional marketing disciplines (advertising, promotions, direct and so on). But in the majority of cases, that's not what they mean. By "integrating" they usually mean they're going to execute an ad-centric campaign that ticks multiple media boxes.

Per parlare seriamente di integrazione è necessario avere un approccio al media neutrale (approccio agnostico come lo definisce Jonah), per fare questo occorre rompere i compartimenti stagni, impresa a quanto pare davvero ardua.

venerdì, settembre 21, 2007

Change the world 

Un granello di sabbia ci seppellirà 

Mi è stato chiesto di scrivere sul blog dell'Art Directors Club per stimolare una discussione sul futuro della comunicazione, così come avviene negli altri Paesi, in cui sui blog e sulle riviste di settore ci si confronta sui grandi temi e sulle sfide da affrontare.

I temi che ho affrontato sono certamente scomodi e le reazioni sono state del tutto assenti, per questo ho scritto oggi sul blog dell'Adci, quello che se non ci saranno ulteriori sviluppi, sarà il mio ultimo post.

Questo è il testo.

Siamo un popolo di struzzi, abbiamo il terrore di cambiare, di dover modificare le nostre abitudini e i nostri modelli mentali, per questo siamo così propensi a “cambiare” solo la superficie. Siamo infatti disponibili ad adottare qualsiasi moda a tutti i livelli (in politica, nelle scelte di consumo e sul lavoro).

Ci sono solo due cose che ci costringono a cambiare: l’emulazione (in nome del culto della bella figura) e la catastrofe.

Il cambiamento per noi è sempre drammatico, improvviso e tardivo. In altri Paesi il cambiamento lo si prepara, creando infrastrutture e le condizioni per un migliore sviluppo, ma soprattutto riflettendo sulle ragioni e sulla necessità del cambiamento stesso e sulle nuove rotte da tracciare.

Non ci prendiamo mai le nostre responsabilità, perchè troviamo sempre un alibi e persone o situazioni a cui addossare le nostre mancanze, per questo ci offendiamo molto facilmente e non ci piace chi ci parla in modo diretto e franco.

Ci troviamo di fronte ad una svolta epocale. I cittadini non si sentono più rappresentati dalla classe politica che hanno eletto. Il marketing e la pubblicità vivono una crisi che ci rifiutiamo di vedere.

Scrive Gianpaolo Fabris dalle pagine di Affari e Finanza:

“…

.Nel linguaggio comune, e persino in quello di impresa, è ormai comune riferirsi, ad esempio, all’innovazione di marketing in contrapposizione all’innovazione sostantiva, che genera cioè dei benefici reali. Una innovazione fittizia, una sorta di specchio per gonzi – una etichetta in cui il moderno consumatore competente ed esigente fa sempre più fatica a riconoscersi al più una specie di operazione cosmetica. Sembra cioè realizzarsi una sorta di vendetta della pubblicità – la pubblicità è uno degli strumenti del marketing – che ha sempre sofferto di un complesso di inferiorità nei confronti del suo (un tempo) illustre progenitore. Per la pubblicità era abituale il ritornello: ma si tratta di “reclame”, o ” è solo pubblicità” o simili. Facendo intendere che non si tratta di qualcosa da prendere troppo sul serio, se non di una vera e propria falsità.”
..

..il marketing deputato a costruire immagini, costrutti simbolici, significati intangibili – che pure non hanno niente da spartire con la falsità – si dimostra totalmente incapace di tutelare la propria immagine. Anche se ciò è certamente vero ed è davvero sorprendente che tra mondo accademico e quello delle professioni non si prenda atto di questa realtà e non si faccia niente al proposito. Come sta facendo adesso il Centro Marca a tutela della marca, come ha fatto a lungo il mondo della pubblicità per scardinare i tanti pregiudizi nei suoi confronti.
Ma il malessere è più profondo. Credo si avverta ormai l’esigenza di una sorta di rifondazione della disciplina. Di ripensare il marketing nato all’epoca dei grandi mercati di massa, figlio primigenio di un’economia industriale e fordista per adeguarlo ai nuovi scenari. Ciò non vuol dire soltanto rivisitare la sua strumentazione per renderla più efficace e neppure prendere le distanze dalle tante soluzioni miracolistiche che improvvisati guru tirano fuori dal cilindro.

Dobbiamo comprendere che la necessità di rifondare la disciplina del comunicatore è un imperativo, così come quella di definire nuovi paradigmi, nuovi, modelli di riferimento e nuove metriche.

Leggendo le interviste sulle riviste italiane di comunicazione da parte di top manager di importanti agenzie e frequentando i convegni per gli adetti ai lavori si ha invece l’impressione che tutto vada nel migliore dei modi. I manager delle agenzie di comunicazione e dei centri media, secondo quanto dichiarano, avrebbero tutto sotto controllo, sono infatti consapevoli dei cambiamenti in atto e si starebbero attrezzando. Negli Stati Uniti il dibattito sul cambiamento nel mondo della comunicazione ha luogo alla luce del sole, basta leggere le pagine di Advertising Age e qui da noi?

C’è poi chi ritiene che la pubblicità abbia vissuto momenti ben peggiori e certamente supererà con successo anche questo. Ma a quale prezzo e in che condizioni?

Sono stato invitato a contribuire al blog dell’Adci per alimentare il dibattito, per favorire l’incontro di pensieri e l’ibridazione di competenze, per ragionare sul futuro della professione di comunicatore e spingere l’Adci, che riunisce le teste più brillanti della comunicazione, ad uscire dal torpore.

Ho proposto temi controversi e sicuramente scomodi, perchè sono quelli su cui noi dobbiamo confrontarci oggi, ma la risposta è stata del tutto assente ed io ne devo prendere atto.

Per questo volevo salutare tutti i frequentatori di questo blog (NOTA: il blog dell'adci) visto che questo sarà il mio ultimo intervento (sul blog dell'adci). Non si può comunicare con chi non vuole ascoltare, insistere sarebbe sbagliato, dopotutto qui io sono solo un ospite.

Il mio timore è che se continueremo a persistenere nel rifiutare di affrontare la realtà, un granello di quella sabbia, in cui abbiamo nascosto la nostra testa, ci seppellirà.

giovedì, settembre 20, 2007

A proposito di gradimento 

Affrontare il tema del gradimento è veramente insidioso. L'insieme dei fattori per cui un programma televisivo, un libro, una pubblicità piacciono ai loro pubblici è spesso imponderabile.

Non esistono e non potranno mai esistere indici di qualità in valore assoluto. Sappiamo bene quanto a volte la simpatia, l'ironia, il calore umano, la telegenicità e la credibilità, giochino un ruolo fondamentale soprattutto quando la "performance" non è stata oggettivamente delle migliori.

Non tutte le citazioni riescono, è questione di stile, sensiblità, ma soprattutto contesto.

Ecco perchè la cover di Jack Black, l'attore di Rock'n roll high school, è stata un grande successo (nonostante la performance)



mentre l'interpretazione di Shakira un flop



Basta guardare i giudizi su YouTube.

Il gradimento è un argomento che avrà sempre più importanza nei prossimi anni perchè misurare le audience non è più sufficiente, per questo conto di fare qualche riflessione in merito.

mercoledì, settembre 19, 2007

La comunicazione e le tecniche agricole 


Leggo da Wikipedia:

L'irrigazione a goccia o "irrigazione localizzata" (nota in inglese come drip irrigation o microirrigation) è un metodo di irrigazione che somministra lentamente acqua alle piante, sia depositando l'acqua sulla superficie del terreno contigua alla pianta o direttamente alla zona della radice. Questo avviene attraverso un sistema a rete che comprende: valvole, condotte e vari tipi di microsprayer e/o gocciolatori.

L'obiettivo è quello di minimizzare l'utilizzo dell'acqua (vedi sotto). L'irrigazione a goccia può impiegare sia degli microspruzzatori (microsprayer), con i quali si emettono dei getti di acqua sottili che bagnano una piccola area di suolo nelle vicinanze della pianta, o anche gocciolatori. L'irrigazione a goccia viene generalmente utilizzata nelle coltivazioni arboree ma si sta rapidamente diffondendo anche nelle colture ortive o industriali (pomodoro da industria). L'irrigazione a goccia superficiale o SDI (Surface Drip Irrigation) utilizza, per distribuire l'acqua nella superficie di terreno accanto alle piante, delle ali gocciolanti, tubi nei quali sono inseriti microspray o gocciolatori, che possono essere rigide nel caso debbano durare più anni e pertanto destinate alle colture arboree, o flosce più comuni per le colture annuali. Un sistema molto avanzato d'irrigazione a goccia, ancora poco diffuso in Italia, prevede l'interramento delle ali gocciolanti in modo che i gocciolatori si possano trovare a diretto contatto con l'apparato radicale e nello stesso tempo evitare l'intralcio dei tubi, che altrimenti sarebbero posti superficialmente, alle operazioni colturali.

L'irrigazione a goccia si sta diffondendo molto velocemente sia nelle aree dove la risorsa idrica è limitata perché consente di risparmiare acqua, sia in altre zone per l'impiego di minore manodopera per le operazioni d'irrigazione e perché con essa è possibile conseguire migliori risultati produttivi.

La comunicazione tradizionale è a pioggia e colpisce anche le aree che non hanno necessità di essere irrigate. Se l'attenzione è scarsa come l'acqua, dobbiamo imparare le nuove tecniche, perchè disperdere l'attenzione è come sprecare l'acqua.

Ripensare le competenze nella comunicazione nell'era del mash up 

Nessuna professione è al riparo dal cambiamento, figuriamoci quelle nell'ambito della comunicazione.

Stiamo vivendo oggi un ripensamento di tutte le professioni i cui confini sono meno tracciabili rispetto ad un tempo.

Come dieci anni fa, qualcuno si improvvisa oggi consulente di "blog marketing" in virtù della sua esperienza con le piattaforme tecnologiche di blogging, quando il reale problema è gestire la complessità della reputazione sui social media.

Molti ritengono erroneamente che la professione delle pubbliche relazioni si limiti all'attività di ufficio stampa. Non è così, come spiegano, con dovizia di particolari, i blog di Enrico Bianchessi e Italo Vignoli (che guarda a caso ha modificato la baseline del suo blog per rafforzare il concetto).

Chi si occupa di pubblicità televisiva deve fare oggi i conti con le sfide delle televisioni digitali interattive che impogono nuovi schemi di lavoro e nuove competenze. Nuovi formati, nuovi schermi, nuove modalità narrative mettono in crisi chi è cresciuto a pane e spot.

Anche la pubblicità esterna è in profonda trasformazione. I sistemi location based, l'ambient advertising, i grandi formati digitali richiedono sicuramente un adeguamento di competenze.

Fare comunicazione è un mestiere a tutto tondo basta pensare il numero di competenze che sono necessarie per comunicare sui social media, di natura strategica, produttiva (audio, video, ...) creativa, tecnologica e via discorrendo.

Le scuole di comunicazione formano oggi professionisti troppo rigidi. Se è vero che la specializzazione è importante è altrettanto vero che le nuove professioni emergenti tendono a ibridare le competenze.

Grazie alla digitalizzazione dell'informazione oggi possiamo copiare, ri-editare, remixare con facilità. Stiamo appunto vivendo nell'era del mash up.

Quello di cui oggi abbiamo bisogno è un mash up professionale che possiamo definire parafrasando wikipedia, la costruzione di competenze derivative che consistono nella ricomposizione di competenze tradizionali in modo innovativo.

L'immagine è di Chris Rain

martedì, settembre 18, 2007

Definendo gli elementi della reputazione nel mondo digitale 

Ci si può fidare della pubblicità? 

Scrive Markingegno in un commento ad un mio post.

Sarebbe ottimo se si riuscisse a far passare la distinzione tra popolarita' e reputazione.

Lui si riferisce ai blog, tema dello specifico post che commenta, ma io credo che il cambio di paradigma debba riguardare più in generale la comunicazione.

Ecco perchè ho scritto di impulso (e non sono ancora pentito) un post sul blog dell'Art Directors Club.

Da alcuni mesi sto sollecitando i pubblicitari a riflettere su quelle che considero le grandi sfide dell'advertising e della comunicazione.

Riporto per intero il mio pensiero.

Un interessante commento inviato ad Adshift , il blog di Ian O’Neill, evidenzia il malessere che sempre più persone dimostrano nei confronti della pubblicità.

“I believe consumers will never be able to trust marketers and advertsers, but it won’t stand in the way of the future of communications, because good advertising doesn’t rely on trust, but on creativity, striking the target markets emotional chords..’”

La risposta di Ian O’ Neill è diretta e senza giri di parole

If that is true, then there is no long term future to advertising. I believe advertising must function honestly, that part of that honesty is not to treat the consumer as a ‘target’ but a customer whom we collectively serve. If consumers distrust marketing then there is something wrong, not with the consumer, but with our work. Advertising is quickly evolving into a two-way communications process where advertising campaigns featuring value added elements such as entertainment and/or information spark powerful customer feed back and even spoof ads, creating an open market for attention. The most articulate will prevail, which does not mean, necessarily, the advertising and marketing professionals. It will demand a whole new standard of work. For a variety of reasons we are entering an age where honest behavior will be more valuable, one principle reason being that customers will insist on nothing less.

Questo post risale ad oltre un anno fa, ma io l’ho conservato e letto a distanza di tempo, appare più attuale che mai.

Ieri sera ho deciso di sfogliare un buon numero di riviste di comunicazione che mi arrivano a casa regolarmente e ho provato a contare il numero di volte che un pubblicitario intervistato ha utilizzato la parola creatività. Mi sono dovuto fermare, perchè ho perso presto il conto. Ho provato poi a contare il numero di volte che il termine fiducia (trust) è stato evidenziato. Questa volta è stato facile, perchè ho dovuto utilizzare solo le dita di una mano.

E’ bello sentir parlare manager di importanti centri media e agenzie creative di media digitali, di social media, di engagement, ma credo che fintanto che non si vedrà un cambio di paradigma, dalla notorietà alla reputazione, sarà meglio lasciare i media digitali dove sono, perchè il rischio di farsi male è davvero grande.

Forse è più bello occuparsi di concorsi, premi e aperitivi, ma ritengo indispensabile che i grandi temi che riguardano le sfide dell’advertising e della comunicazione trovino il giusto spazio.

So che essere diretti non è una virtù apprezzata nel nostro Paese, ma credo che non ci possa essere luogo migliore del blog dell'Art Directors Club per compiere delle riflessioni sui nuovi paradigmi della comunicazione.

lunedì, settembre 17, 2007

Corporate Reputation 


Intanto che qui si riflette sul concetto di corporate reputation e social media, potrebbe tornarci utile questa immagine di Harris Interactive che ha cercato di sintetizzarne sei dimensioni.

Del valore di Blogbabel 


E' strano che tutti si soffermino sulle classifiche di Blogbabel, quando lo strumento più interessante è il "di cosa si parla" (di cui riporto uno screenshot).

Auspico un miglioramento/estensione del servizio che è davvero molto utile per avere una prima idea delle conversazioni che hanno luogo nei principali blog (in lingua italiana).

Reputation 

Popolarità, reputazione e rampicanti digitali 

I diversi dibattiti in rete, che sto seguendo con grande attenzione, sembrano non cogliere la differenza tra il concetto di notorietà (chiamatela popolarità se vi piace) e quello di reputazione.

La notorietà è oggi un punto di partenza, strumentale alla creazione ed al mantenimento della reputazione.

La reputazione è oggi a tutti gli effetti un asset per le aziende di qualunque genere e dimensione. Assume un significato particolare in un periodo in cui scandali finanziari e di alcuni marchi (Enron, Parmalat, Governo dell'Argentina, Northern Rock ....) si possono ripercuotere sul sentimento generale di fiducia sui brand, sui mercati, sui sistemi economici, sui sistemi Paesi e via discorrendo.

Il mondo bancario oggi è particolarmente sensibile al tema della reputazione, tanto da ripensare i processi organizzativi, come emerge da questa interessantissima presentazione di Fabrizio Mambretti di BNP Paribas.

Mi hanno particolarmente colpito alcuni passaggi:
  • Reputazione è sinonimo, di stima, rispetto e considerazione
  • La sola professionalità, competenza non basta a creare una solida reputazione
  • Non è un concetto astratto ma un "bene aziendale"
  • Parte dall'affermazione di principi di etica e deontologia e la messa in opera di procedure di "compliance"
  • è il frutto di una responsabilità sia collettiva sia individuale di un'organizzazione
Mambretti spiega che i danni di reputazione per un operatore finanziario derivano da:
  • violazioni di norme di legge, di regolamenti, di norme e procedure (ca va sans dire)
  • sanzioni giudiziarie ed amministrative
  • comportamenti non corretti sui mercati
  • prodotti, transazioni, consigli non adatti
  • conflitti di interesse
  • mancanza di trasparenza
  • scarsa attenzione nei confronti della clientela
  • visione di breve periodo nella conduzione del business
La reputazione è quindi il risultato di un processo, che si prefigura di preservare e rilanciare il rapporto fiduciario tra un operatore ed i suoi pubblici/clienti.

La reputazione si alimenta di comportamenti e non di dichiarazioni, per questo è così importante in azienda una Funzione Compliance volta a:
  • controllare l'applicazione di norme, principi etici, valori,
  • diffonderne la cultura nell'organizzazione,
  • vigilare affinchè i comportamenti siano coerenti con i valori e con i principi dichiarati
  • correggere i comportamenti difformi
Non risulta particolarmente difficile aumentare nel breve periodo la propria visibilità, basta aumentare l'esposizione ai media. (Fabrizio Corona docet)

La reputazione invece non può essere condizionata o manipolata così facilmente, perchè la risultante dell'approvazione di comportamenti e valori agiti e come tale richiede partecipazione. La fiducia non può essere acquistata, anche se può essere estorta nel breve periodo.

Lasciamo le classifiche, ai rampicanti digitali e a chi ritiene che 15 minuti di popolarità non si debbano negare a nessuno, c'è ancora qualcuno che è interessato a misurare la scorrevolezza del rinoceronte.

domenica, settembre 16, 2007

Il pericolo dei social media 


Sull'argomento dei social media, ho letto tantissimo e ho messo ultimamente per iscritto diversi pensieri.

E' uno dei temi più trattati dai blog. Come la tv spesso riflette su se stessa, anche i blog amano parlare di blog, blogging, blogosfera, talvolta in modo fin troppo conformista.

Riflettendo, il vero problema della blogosfera non è l'autoreferenzialità, ma la settarietà, rappresentata dal motto: fai parte di noi oppure sei un esterno? Tutto questo non favorisce un sano e distaccato dibattito sui social media.

Ecco perchè leggo con grande interesse gli articoli ed i white paper critici, perchè solo un'analisi serena e ripeto, distaccata, può far crescere i social media, non certo una loro difesa ad oltranza.

Non posso non raccomandare la lettura di un breve scritto di David Platter, dal titolo: Social Media and Social Outcast, pubblicato da Change This (che seguo con assoluta regolarità).

Proprio nel momento in cui mi accingo a studiare le metriche per la misurazione dei social media, il manifesto di Platter mi arriva diretto come un pugno nello stomaco.

Quasi dieci anni fa mettevo in guardia dalle pagine della rivista Web Marketing Tools (che ha da tempo cessato le pubblicazioni), sul pericolo della falsa conoscenza delle persone attraverso "l'analisi del digital self".

Nicholas Negroponte ha definito il "digital self" come l'insieme delle informazioni raccolte surrettiziamente su di un individuo mediante il monitoriaggio dei suoi comportamenti (di acquisto, di navigazione) rilevati utilizzando i mezzi digitali.

Per le stesse ragioni, oggi mi trovo a riflettere con attenzione sulle parole di Platter.

"....the Web today is very different from the web of just a few years ago. It is no longer only a (possibly) endless collection of information. the Web today is more participatory and personal. It is more social.

the Internet is moving towards fulfilling its nomenclature: the world wide web. eventually, everything of value will be connected via the Web. In the wired world, to be connected is to have value. to not be connected is to seem to lack value."

La reputazione sui "mezzi digitali" e la sua "costruzione", ha delle dinamiche del tutto peculiari su cui non si è ragionato a sufficienza.

"the main origin of our self image and self-esteem is the reaction of others. We come to see ourselves as others categorize us.

• Do we have lots of “friends?” then we are popular.
• Do people tune in to read our opinions? then we are cool.
• Do the stories we “digg” obtain lots of other diggs? then we are thought leaders.

Despite its evanescent quality, the interactions of social media can become a projection of our self image. It’s mildly flattering, empty affirmations are a crutch for our insecure sense of self to lean on."

Sono sempre stato dell'opinione che il modo migliore per studiare i social media sia quello di cominciare a partecipare, ma oggi vorrei anche poter dire che per una buona analisi ci vuole il dovuto distacco. Per questo è importante che chi critica la blogosfera, perchè la vuole comprendere, non venga trattato alla stregua di un nemico.

sabato, settembre 15, 2007

Boulevard of broken songs 

La citazione di Marketing Usabile 

Vorrei che la smetteste di considerarvi "influenti" e proviate ad essere "includenti"!

Gigi Cogo (A proposito della blogosfera italiana)

Come with me 

mercoledì, settembre 12, 2007

Verso una misurazione dei social media 

Come si può desumere dai miei post precedenti, sull'argomento misurazione dei social media, siamo ancora molto indietro. Il lavoro da fare è ancora tantissimo.

Non ho ancora le idee chiare sulle metriche, ma sul processo si.

Come si può arrivare ad una misurazione dei social media?

La misurazione è sempre una convenzione; la prima cosa da fare è definire tutte le variabili ritenute utili e cominciare a dare delle definizioni condivise. La condivisione del linguaggio è indispensabile. Oggi la misurazione della pubblicità on line passa da termini come (visitatore, visita, impression, click through...) che sono ampiamente condivisi.

La misurazione è un processo internazionale. Le aziende, soprattutto quelle multinazionali hanno necessità di utilizzare parametri di utilizzo universale. Per questo si costruiranno in futuro nuovi tavoli di lavoro internazionali (IAB, WOMMA....) che cercheranno di definire delle metriche standard.

La misurazione riguarda fenomeni omogenei. Non si possono misurare fenomeni che non sono omogenei per questo prima di arrivare ad un processo di standardizzazione occorre tenere conto delle peculiarità dei diversi "social media". I blog, non sono simili ai sistemi di videosharing e via discorrendo. Sarà pertanto importante definire metriche generiche e metriche specifiche per i diversi mezzi presenti e futuri.

La misurazione riguarda solo alcuni aspetti. Nessuno può sostenere che una metrica sia buona per tutti gli utilizzi, essa riguarda sempre precisi ambiti che vanno ben chiariti. Occorre tuttavia dire che una metrica imperfetta è meglio dell'assenza di metriche.

La misurazione è un processo complesso. Un processo di misurazione dei social media in grado di offrire dati rilevanti deve utilizzare sia dati quantitativi sia dati qualitativi, utilizzando quindi tecnologie cosiddette "site centric" affiancate a quelle "user centric" (attraverso panel). Data la complessità saranno pochi i fornitori in grado di elaborare una proposta a livello globale.

Quali saranno gli ambiti di misurazione?

In prima approssimazione è possibile dire che gli ambiti di misurazione saranno diversi sia a livello macro sia a livello micro e riguarderanno:
  • i social media (blog, sistemi di videosharing, slideshare, podcast........)
  • la brand reputation a livello assoluto e relativo sui social media
  • il monitoraggio delle conversazioni in rete relative a prodotti e marchi
  • l'analisi delle tendenze
  • i temi più discussi, più controversi, più commentati......
Jeremiah Owjang suggerisce alcuni ambiti di misurazione:

- Attività (Web Analytics, blog, siti, strumenti)
-Tono (Sentiment riguardo a determinati argomenti o brand)
-Velocity (Livello e velocità di diffusione di un thread, URLs, Trackbacks)
- Livello di attenzione (durata di attenzione)
-Participazione (commenti, trackbacks)
- Altri attributi qualitativi (interpretazioni, tendenze, analisi aggregate dei commenti .....)

Altri ambiti sempre secondo Owyang riguardano:
  • Formazione di Comunità
  • Conversation Index
  • Demographics (le caratteristiche di chi scrive, commenta, partecipa....)
  • Engagement (concetto ancora da definire con precisione)
  • Reach (che sui social media assume connotazioni nuove e peculiari)
  • Relazioni e Connessioni (soprattutto nei Social Network)
  • Focus (sui contenuti - copertura, risalto, profondità.....)
Ci saranno naturalmente altri ambiti futuri di misurazione in funzione dell'evoluzione delle esigenze del mercato.

Alcuni approfondimenti sull'argomento:
Measuring Social Media Optimization
Measuring Social Media Marketing
Measuring Success for Social Media

Su una cosa i pareri sembrano essere concordi: sul fatto che la misurazione e le metriche dipenderanno dagli obiettivi, scordiamoci quindi (lo ripeto) paradigmi universali. Viviamo in un mondo sempre più complesso, cominciamo ad abituarci.

Fonte dell'immagine Simon Collister

martedì, settembre 11, 2007

E' un blog autorevole (parte seconda)? 

Uno degli effetti dell'autorevolezza di un blog è la sua influenza, concetto estremamente evanescente.

Non potendo misurare direttamente l'influenza di un blog, si ricorre spesso a dei proxi.

Rohit Bhargava prendendo spunto dall'impact factor , utilizzato dalle riviste scientifiche preferisce ai termini influenza o autorevolezza, il concetto di impatto.

Bhargava, suggerisce di focalizzare l'attenzione su cinque aree considerando la citazione (leggi link) come metrica relativa all'impatto di un blog
  • Volume - numero di citazioni ottenute
  • Prestigio - grado di influenza di ogni citazione
  • Profondità - livello di dettaglio di ogni citazione
  • Intervallo temporale - durata temporale delle citazioni
  • Reputazione - livello di credibilità/notorietà dell'autore del blog nella specifica area
John Bell, riprendendo le analisi del Word of Mouth Marketing Association ritiene invece necessario evidenziare le diffenze concettuali tra i seguenti termini
  • Influenza
  • Autorevolezza
  • Impatto
  • Coinvolgimento
Ritengo che dobbiamo tenere conto anche della notorietà/popolarità nell'equazione (che è un concetto differente dalla reputazione) oltre che del gradimento di un blog.
Sono consapevole che non sia possibile oggi arrivare ad alcuna conclusione sulla progettazione di metriche per misurare l'efficacia della comunicazione sui social media, per questo mi limito a fare un po' di ordine tra i concetti, su cui ho necessità di riflettere.

Voi che ne pensate?

ciao Joe 

Ancora sulla misurazione dei social media 



E' un tema estremamente complesso; aggiungo ulteriori elementi di discussione, segnalando questa presentazione di Paul Baker.

Cercherò in prossimi post di ragionare su cosa si possa misurare e cosa convenga misurare in funzione di specifici obiettivi. (Evidentemente il riferimento specifico è ai corporate blog.)

Nel frattempo i vostri commenti e pensieri sono sembre benvenuti.
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