sabato, settembre 30, 2006

La misurazione dell'impatto dei formati televisivi 

Da metà ottobre partiranno gli incontri di presentazione che sto organizzando per il lancio di un nuovo strumento per la misurazione dell'impatto emozionale dei format televisivi.

Dai primi riscontri, sembra che la nuova metodologia stia ricevendo ampi consensi. L'obiettivo principale è la determinazione di criteri oggettivi per la valutazione di un programma televisivo da un punto di vista pubblicitario.

Sto puntando molto sulla progettazione di modelli e metodologie che permettano agli investitori pubblicitari di razionalizzare i loro investimenti attraverso un cruscotto per le decisioni, ma
anche ai produttori di programmi di ottenere indicazioni per migliorare l'efficacia dei format verso i loro target principali.

Nella foto: Una vecchia edizione de L'isola dei famosi.

Voi che siete creativi 


Cari art director, cari amici di agenzia,

voi che siete creativi, mi spiegate per quali ragioni:
  1. non siete interessati ad ascoltare chi vi parla di cose nuove, (tecnologie, metodologie, modelli di misurazione) perchè ritenete che non ci sia ancora un mercato; non dovreste essere interessati all'innovazione tout court?
  2. quando organizzate un convegno o una conferenza, invitate prevalentemente persone simili a voi, invece di ascoltare qualcuno che può offrirvi una chiave di lettura diversa (un neurologo, un filosofo o un adolescente) o quando invitate tali personaggi, non li ascoltate con maggiore attenzione?
  3. continuate a spiegare sulle testate specializzate le ragioni per cui le "creatività italiane" non vincono a Cannes. Ma se lo sapete, perchè non cambiate la situazione?
  4. non insistete affinchè la vostra agenzia, dedichi maggiori risorse alla ricerca e sviluppo?
  5. sono così pochi blog che parlano di creatività pubblicitaria, che vengano dal mondo delle agenzie? Non credete alla condivisione?
Molti di voi sono grandi talenti, che potrebbero crescere ancora di più con "contaminazioni" in più direzioni.

Vi chiedo perchè la creatività pubblicitaria italiana non riesce ad emergere a livello internazionale come il design e la moda? Perchè è assolutamente inesistente quella sui media digitali?

Sarei seriamente interessato a discutere con voi alcune importanti applicazioni di nuove tecnologie a supporto dei "processi creativi", ma fin'ora siete stati estremamente chiusi e diffidenti.

Me ne spiegate le ragioni?

Credits per l'immagine: Idea Champions

The art of love 

Oggi c'è il Bzaar Camp 


Oggi ha luogo il Bzaar Camp, avrei dovuto parteciparvi, ma mia figlia aveva la febbre alta e ho dovuto rinunciare.

Spero che qualcuno mi racconti cosa è successo. E' pensare che avevo preparato una presentazione carina.


venerdì, settembre 29, 2006

Un nuovo significato per il brand (ultima parte) 





Questa è l'ultima parte dell'analisi di Naomi Klein su brand, advertising e società dei consumi.

Come ho già avuto modo di scrivere, non sono del tutto d'accordo con l'approccio della giornalista canadese, ma è indubbio che alcune evidenze mostrate nel video e nel suo testo e sito, impongano oggi un ripensamento sulla pubblicità e sul significato di brand.

Ne vogliamo parlare pacatamente senza pregiudizi?

Quale futuro per la comunicazione digitale per l'entertainment? 

:
Questo è il titolo della mia relazione, al Convegno che avrà luogo il 2,3,4 ottobre a Santa Margherita, Ligure, organizzato dal SILB-FIPE, Associazione Italiana Impreditori Locali da Ballo.

  • Quali sono gli strumenti più idonei per la promozione di una discoteca attraverso i mezzi digitali?
  • Come generare attenzione e coinvolgimento?
  • Quale comunicazione oltre il sito web?

Sono questi i punti principali che vorrei affrontare.

Non avrò sicuramente il tempo di prendere un aperitivo a Portofino, perchè la sera, dovrò recarmi a Roma per le selezioni del Master in Marketing e Comunicazione di Impresa organizzato dal Centro Studi Comunicare l'Impresa.

Al mio rientro mi aspettano gli studenti dell'Università Bicocca e del Consorzio Nettuno per i miei laboratori di Marketing Digitale Turistico che sto per fare partire.

E' un autunno molto caldo anche per me. In questi giorni posterò di meno, ma al mio rientro ho una serie di argomenti interessanti da proporre.

Prendetelo come un teaser, per spingervi a seguirmi :)

Nell'immagine: La promozione del Pacha di Ibiza in Giappone

giovedì, settembre 28, 2006

Un nuovo significato per il brand (parte terza) 



In questa terza parte, prosegue l'analisi di Naomi Klein, su brand, advertising e corporate identity.

Che cosa è la tv? 


Papà che cosa è la tv? Sembra una domanda strana, ma mia figlia, anno di fabbrica 2002, non ha quasi mai visto un programma di flusso in televisione.

Cresciuta mediaticamente con DVD, videocassette e ora Internet, fatica a comprendere che un programma televisivo abbia un inizio ed una fine, vada in onda ad un tempo stabilito da qualcun'altro e che non possa essere rivisto quando si vuole.

Mia figlia non è un eccezione, fa parte della nuova generazione di consumatori digitali.

Da una ricerca svolta da Jeffrey Cole della Anneberg School dell'Ucla, dal titolo "Surveying the Digital Future, (qui i riferimenti) si è arrivati a stimare che entro il 2010 i media digitali rappresenteranno l'80% del tempo speso dagli adolescenti americani.

Molte ricerche dimostrano che i giovani, continuano a vedere la televisione, infatti i consumi televisivi non diminuiscono, ma i modelli di fruizione si stanno modificando drammaticamente.

Come ci fa notare Lynette Web (che ha idealmente rappresentato nell'immagine che vedete i risultati della ricerca), esplorare il web con un motore di ricerca come Google, vedere un video su YouTube e poi commentarlo usando Skype, rivedere le proprie serie televisive registrate sul Tivo, scaricare mp3 su un device portatile sono attività quotidiane per molti giovani oggi, nel 2010 lo saranno ancora di più. (Considerando che non possiamo nemmeno lontanamente prevedere il panorama mediale che si presenterà fra cinque anni).

Quando mia figlia mi dirà fra cinque anni che ha voglia di guardare un po' di televisione, non sono del tutto sicuro di sapere che cosa avrà realmente in mente.

Faremmo meglio a prepararci.

mercoledì, settembre 27, 2006

Un nuovo significato per il brand (parte seconda) 



Ecco la seconda parte dell'analisi di Naomi Klein, su advertising e brand.

L a credibilità della pubblicità 


Ho più volte sostenuto, che la pubblicità ha oggi un serio problema di credibilità e ha la necessità di essere ripensata.

Sembra che non sia il solo a pensarla così. Come riportato da David Armano, da un'inchiesta organizzata dalla rivista Ad Age, sembrerebbe che l'85% della sua base di lettori, ritenga che l'industria dell'advertising abbia un problema di immagine.

E' amara la conclusione di David che mette il dito sulla piaga. "It's ironic that the one industry which is all about brands—has itself a brand identity crisis.

Un nuovo significato per il brand (parte prima) 



Possiamo anche non essere d'accordo con l'analisi di Naomi Klein, ma non possiamo non riconoscere che i brand hanno la necessità di riprogettare nuovi universi di significato.

L'immagine è coordinata 


L'immagine è coordinata, tutti i toni cromatici sono perfetti. Sito e biglietti da visita sono perfettatamente in linea.

Il "corporate smile" è quasi smagliante, ma il servizio ai clienti è inesistente.

Che facciamo, un'altra campagna televisiva?

Credits per la foto: *Honest*

martedì, settembre 26, 2006

A proposito di Web 2.0 



Il Web 2.0 è un buzzword, una convenzione. Questo video cerca di chiarirne il concetto.

Web 2.0: una nuova bolla speculativa? 

Da diverse parti si discute vivacemente sul Web 2.0, un termine convenzionale che descrive una nuova "dimensione" del web in ottica più partecipativa.

Faccio fatica io stesso a seguire l'introduzione di nuovi servizi cosidetti Web 2.0, tanto è vero che ci sono diversi siti e blog che si sono cimentati nella classificazione di tali nuove applicazioni.

Sono molto infastidito da chi fa le valutazioni con l'accetta, mettendo tutta l'erba in un fascio, ad esempio esprimendo giudizi sui blog e sui blogger, (come se fossero tutti uguali) oppure magnificando in blocco tutto ciò che è nuovo. Il Web 2.0 non sarà a mio parere una nuova bolla speculativa, perchè ci saranno progetti che avranno successo e altri che non lo avranno. Qualcuno farà grandi affari, altri invece perderanno tanti soldi, come è sempre stato.

Credo che gli investitori abbiano imparato la lezione dai tempi della Web Economy. (Ho scritto in passato un post nella direzione opposta a questa, ma ho cambiato parzialmente idea; sia chiaro, ritengo ancora forte il rischio di bolla speculativa, ma credo che i mercati finanziari siano diventati molto più cauti).

Sappiamo molto bene che la maggior parte dei nuovi servizi è destinata a scomparire, mentre rimarranno solo quelli ritenuti più validi da parte del mercato e che hanno anche un modello economico sostenibile. Solo il tempo ci dirà chi sono i winner e i loser di questa nuova competizione.

Qualcuno si cimenta già nell'arte della previsione e comincia a stilare una classifica dei nuovi servizi che sono destinati a fallire.

Ho letto con interesse la valutazione su Technorati, uno dei progetti più conosciuti nel mondo dei blogger, che secondo Wisdump, avrebbe un modello economico poco sostenibile nel lungo periodo. Questa la motivazione che qui riporto:

Technorati. What does a couple years of development and multiple rounds of funding get you? Nothing but the same if you follow the Technorati model. The only ones who seem to care about this blogging search engine are the site owners who wish to keep track of who is linking to them and that’s if the service is even up to allow them to do so.

The problem is that most people don’t care about blog search and the ones that do will soon go to Google because it is guaranteed to be up. After three rounds of funding and in excess of $12MM burned you would expect Technorati to be a force on the web, but that hasn’t been the case and it doesn’t look like it will be the case in the future either. There is no reason for the big search companies to acquire them because they can do what Technorati does so who is the likely buyer?

In effetti mi sembra ragionevole il fatto che la maggior parte degli utenti utilizzino ad esempio Google per fare ricerche anche sui blog e che Technorati sia rivolto prevalentemente all'universo dei blogger, interessati soprattutto a verificare il loro posizionamento. (Nel mio caso è così)

Se questo assunto è vero (e non è detto che lo sia). Nel lungo termine il prodotto Technorati, dovrà dimostrare di essere un prodotto valido dal punto di vista pubblicitario o trovare nuovi modelli di business, pena la sua sopravvivenza.

Credo che l'acquisizione di Myspace da parte di Murdoch sia da considerare un eccezione, perchè rientrante in una strategia bene precisa. Sarà interessante verificare che cosa ne sarà di molti servizi Web 2.0 quando i finanziamenti da parte dei venture capital saranno terminati.

Anche la competizione sul mercato Voip credo sia appena cominciata, mi risulta estremamente difficile riuscire a prevedere se Skype, riuscirà a mantenere la sua leadership o se essa sarà insidiata da nuovi e vecchi competitor.

Sono quindi convinto che in questa fase di transizione che il web sta vivendo, i giochi siano lungi dall'essere fatti e che la competizione sarà nei prossimi 18 mesi più accesa che mai.

Fare una previsione generalizzata sul futuro del Web 2.0 oggi significa correre il rischio di prendere una cantonata.

lunedì, settembre 25, 2006

Pubblicita? Chiedete a Lewis 



Tutto quello che avete sempre voluto sapere sul futuro della pubblicità e che non avete mai osato chiedere. Meno male che c'è Lewis Black :)

Enjoy it.

Tivo, la terza serie: amore a prima vista 

Chi segue la rubrica di David Pogue, sul New York Times, sa bene che il noto giornalista esperto di tecnologia, non si lascia andare a facili entusiasmi, ma questa volta è diverso.

David Pogue, ha dichiarato di essere innamorato. Della terza serie di Tivo.

Dopo che avete letto l'articolo, potete sempre ascoltare la sua recensione video, o meglio la sua dichiarazione d'amore.


Credits per la foto: Hessiebel

Recuperare il ritardo sulla pubblicità interattiva 

Ho iniziato ad occuparmi delle prime forme di pubblicità interattiva di tipo televisivo verso la fine del 2001 per rendermi conto che l'argomento è estremamente complesso e che deve essere affrontato con un approccio integrato e multidisciplinare.

Ho raccolto una gran quantità di materiale e ho lavorato molto sulla progettazione di prototipi, formati e modelli teorici. Ho anche partecipato a numerose conferenze come relatore.

Il mio corso sulla pubblicità interattiva è giunto alla quarta edizione, quest'anno partirà il mio quarto corso al Master della Tv Digitale.

Ho cercato di coinvolgere a più riprese agenzie creative, centri media che mi hanno dimostrato il loro disinteresse sull'argomento. Troppo presto, dicevano loro.

Me ne sono lamentato troppe volte su questo blog. Ho pubblicato un articolo dal titolo: non è mai troppo presto, che ha destato un certo scalpore, ma che a lato pratico non ha sortito alcun effetto.

Ora l'interesse c'è. Mancano le competenze. Manca l'ibridazione, il confronto tra culture differenti.

Rilascio in questi giorni interviste, collaboro con ricercatori universitari e tesisti, ma tutto quello che mi viene chiesto riguarda i formati e tante technicalities.

I formati attuali della pubblicità interattiva, sono già vecchi. Sono formati in via di transizione,
tanto è vero che a livello internazionale con un pool di esperti, stiamo già lavorando ai nuovi formati, che sostituiranno presto, quelli che sono attualmente on air.

Perchè non indagare invece in profondità sul significato dell'interattività, del coinvolgimento in tv? Perchè non chiedersi quali cambiamenti più profondi stanno avendo luogo in termini di modelli di fruizione televisivi da parte di alcuni segmenti di spettatori (quelli più avanzati). Perchè non interrogarsi sulle modalità di progettazione del nuovo messaggio di marketing?

Se non si andrà più in profondità, non recuperemo più il ritardo accumulato sulle nuove forme di pubblicità, per grave negligenza di molti operatori.

C'è ancora troppo da fare. Ora ci vogliono risorse. Ci vogliono investimenti, ci vuole lavoro di gruppo, ci vuole impegno. Ci vuole collaborazione.

Tiriamole fuori. Altrimenti lasciamo perdere e torniamo a fare le lezioncine sui formati pubblicitari che cambiano, per quello che può servire.

La cultura dell'interattività televisiva è alla sua infanzia, è ora che qualcuno si muova seriamente se non vogliamo che la transizione al digitale, non rimanga un tema da convegni.

Chissà se c'è qualche agenzia creativa che si voglia impegnare davvero su qualche sperimentazione. (rinnovo l'invito)

Credits per l'immagine: Late Sourgeforce

Ci capite quando vi parliamo? 

Un'altra esilarante vignetta di Doug Savage

Esiste ancora la pubblicità creativa? 

Esiste ancora la pubblicità creativa?

Sembra che il problema della creatività in pubblicità non sia solo italiano ma generalizzato, se ne discute in tantissimi forum e su mailing list dedicati all'advertising.

Uno degli articoli più interessanti sul tema è quello di Steven Pearlstein, pubblicato sul Washington Post.

Sono sicuramente d'accordo con le tesi dell'articolo.

L'industria dell'advertising si trova nel suo periodo peggiore, perchè tutti i business model sono in profondo cambiamento.

L'industria dell'adversing si trova nel suo momento migliore, si presenta oggi una grande opportunità per chi è capace di innovare.

"This is the best time to be in this business," said Kevin Roberts, the charismatic Aussie who heads Saatchi & Saatchi, part of Publicis Group. "None of the old rules are rules any more."

Fatemi sapere cosa ne pensate.

Credits per la foto: Thames and Hudson

domenica, settembre 24, 2006

Problemi con il feed 

Ho un problema con il feed che sto cercando di risolvere. Mi scuso se questo dovesse creare qualche problema a chi si vuole iscrivere o a chi legge il blog tramite feedreader.

Cerco di mettere tutto a posto quanto prima.

UPDATE - Il customer care di Feedburner ha risposto alla mia mail in pochissime ore, considerando che era domenica e mi aiutato a risolvere il problema. Che altro dire.... grazie.

Dedicato ai geek 2.0 

Dedicato a tutti i miei amici geek 2.0, quelli che hanno nella borsa il rivelatore di wifi aperte, lo scroccatore di connessioni, l'accendisigari usb, il navigatore gps per la carrozzina.

Grazie a David, per questa chicca.

venerdì, settembre 22, 2006

Essere responsabili 

Ci si può fidare di un brand (parte settima) 

Ci si può fidare di un brand che basa la sua immagine sulla spensieratezza, quando l'impresa al suo interno sta subendo una pesante ristrutturazione?

Ci si può fidare di un brand che accetta che i suoi fornitori utilizzino mano d'opera minorile?

Ci si può fidare di un marchio che si lascia coinvolgere in scandali finanziari che creano danni ai piccoli risparmiatori?

La risposta è certamente no.

Per questo un brand deve essere compatibile con l'ambiente in cui opera.

Un brand è compatibile se le finalità che persegue sono in armonia con quelle perseguite dagli altri portatori di interesse (dipendenti, clienti, azionisti) e se riesce a contribuire allo sviluppo dell’ambiente in cui opera.

Il tema merita successivi approfondimenti.

Stay tuned

Credits per l'immagine: Aish.com

mercoledì, settembre 20, 2006

Colori proibiti 

Stop thinking, start feeling 

La foto è di !ShadOw

Scegliere il nome ed il dominio internet 

Un nome è una convenzione. Scriveva Shakespeare in una delle sue tragedie più famose: "ma poi che cos'è un nome?...Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d'avere il suo profumo se la chiamassimo con un altro nome?

Se per Giulietta il nome non è poi così importante, per il resto del mondo invece lo è davvero.

Gli strateghi del web hanno spesso consigliato di scegliere dei nomi accattivanti e facili da memorizzare per il proprio dominio web, spesso hanno rischiato di inciampare perchè non si sono accorti dei possibili doppi sensi che tale scelta avrebbe potuto comportate. Vediamo alcuni esempi, che Independent Sources ha raccolto:

1. A site called ‘Who Represents‘ where you can find the name of the agent that represents a celebrity. Their domain name… wait for it… is
www.whorepresents.com

2. Experts Exchange, a knowledge base where programmers can exchange advice and views at
www.expertsexchange.com

3. Looking for a pen? Look no further than Pen Island at
www.penisland.net

4. Need a therapist? Try Therapist Finder at
www.therapistfinder.com

5. Then of course, there’s the Italian Power Generator company…
www.powergenitalia.com

6. And now, we have the Mole Station Native Nursery, based in New South Wales:
www.molestationnursery.com

7. If you’re looking for computer software, there’s always
www.ipanywhere.com

8. Welcome to the First Cumming Methodist Church. Their website is
www.cummingfirst.com

9. Then, of course, there’s these brainless art designers, and their whacky website:
www.speedofart.com

10. Want to holiday in Lake Tahoe? Try their brochure website at
www.gotahoe.com

Ci sono corsi e libri di creatività, ma ci sono quelli che insegnano il buon senso?

Ci si può fidare di un brand (parte sesta) 

Avete visto una straordinaria pubblicità in televisione e per questo siete indotti ad acquistare il prodotto reclamizzato. Poi avete un problema e decidete di chiamare il call center. Qui comincia l'incubo. Quante volte avete vissuto questa esperienza?

Vi potete fidare di questo brand? Ovviamente no.

Un marchio che merita la vostra fiducia vi ascolta ed è collaborativo.

Un brand è collaborativo, se ha costruito un’organizzazione in grado di ascoltare tutti i suoi pubblici e di adattarsi nel tempo, in modo da massimizzare la soddisfazione di tutti i portatori di interesse attraverso lo sviluppo di innovazione sia di prodotto sia di processo, in grado di creare valore e quando le condizioni di profittabilità che ne permettono lo sviluppo.

Delle innovazioni di processo si parla poco, perchè sembrano meno importanti. Costruire ad esempio non solo un sito efficiente, ma anche un "luogo caldo e accogliente, dove è bello andare, è sicuramente un asset intangibile che non verrà valorizzato in bilancio, ma che accrescerà la brand equity.

Credits per la foto: Ak-prepared

martedì, settembre 19, 2006

Ci si può fidare di un brand? (discussione) 





Se mi trovate online mandatemi il vostro pensiero.

Inizio di una nuova era per i broadcaster? 


"Da tv generalista ci stiamo trasformando in una vera e propria media company".
Piersilvio Berlusconi.

Autunno bollente per i media 

Vi avevo detto che l'autunno sarebbe stato caldo per i media. Mi sono sbagliato. E' bollente.

Di annunci come quello relativo all'accordo YouTube, Time Warner, ne sentiremo tanti altri. Intanto Microsoft cerca di insidiare questo "nuovo concorrente" con il suo Soapbox.

Personalmente sono molto scettico e credo che YouTube oggi possa essere eliminato dal mercato solo acquisendolo, cosa che non è detto che non succeda presto con un accordo miliardario. (Segnatevi la data, lo dichiaro oggi 19 settembre 2006, ho già qualche idea in merito ma nessuna prova, quindi nessuna gaffe).

Come già ebbi modo di scrivere, ritengo YouTube un concorrente temibile per qualsiasi società che voglia entrarvi in competizione.

Vedrete che gli annunci autunnali proseguiranno. Credo che i media italiani ai quali sto proponendo alcuni progetti non abbiano più scuse per dire che sono troppo innovativi; negli altri mercati, sono già il presente.

Le nuove tendenze del marketing digitale turistico 

Non esiste praticamente un Hotel o un tour operator che non abbia un sito o che non usi internet, tranne rarissime eccezioni.

Il settore turistico è forse quello che ha maggiormente risentito dell'impatto di internet (nel bene e nel male), ma la rete è un ambiente affollato ed il marketing turistico è diventato ogni giorno sempre più sistematico ed accurato.

Molti siti di alberghi o strutture recettive sono molto simili fra loro e spesso risulta per essi, molto difficile se non impossibile ottenere un buon posizionamento organico sui motori di ricerca attraverso keyword semplici.

Inoltre in molti casi la competizione sul web si basa principalmente sul fattore prezzo, causando per diverse strutture di dimensioni minori grandi difficoltà strategiche.

Occorre quindi ripensare la promozione digitale turistica al fine di ottenere vantaggi competivi differenziali.

Questi sono i temi principali del corso che ho organizzato per la società Updating. Sul loro sito troverete maggiori dettagli.

A breve partirà anche il mio laboratorio turistico all'Università Bicocca, ma di questo avrò modo di scriverne in futuro.

lunedì, settembre 18, 2006

Brand Swing 

Brand Intonation 



Lavorare insieme, cantare insieme, per la gioia del pubblico.

Vivere una Brand Experience 



Condividere, partecipare, sentirsi parte del gruppo.......vivere una brand experience.

Ci si può fidare di un brand? (parte quinta) 

Ci si può fidare di un brand che comunica in modo distonico sui vari touchpoint? Sicuramente no, ma sicuramente nemmeno di un brand che si ripete usando il web come una brochure, che usa i mezzi mobili come se fossero fissi e che manda segnali discordanti o che suona sempre la stessa nota.

Uno degli elementi di fiducia di un marchio è quello che io definisco (in modo un po' forzato, lo ammetto, ma devo pur usare la lettera C) la consonanza.

Un brand è consonante, se le differenti modalità in cui rivela la propria presenza sul mercato e nell’ambiente creano olisticamente una rappresentazione armoniosa e coerente ai propri valori e se tale rappresentazione viene correttamente percepita dai diversi pubblici a cui si rivolge.

Credo che i fautori della declinazione delle campagne di comunicazione, abbiamo arrecato non pochi danni ai marchi, così come i sostenitori dell'immagine coordinata di cui non sono mai stato un sostenitore.

Ritengo importantissima la discussione sul tema, poichè vi sono differenti filosofie e scuole di pensiero su ciò che debba essere un "harmonic experience"

Voi che ne pensate?

Credits per la foto: Bemus

domenica, settembre 17, 2006

Brand Charisma 

Ci si può fidare di un brand? (parte quarta) 

Ci sono brand che sono destinati a lasciare un'impronta. Non possono certamente passare inosservati perchè hanno un'identità molto precisa, distintiva e differenziale.

In un mondo in cui si tende a non prendersi le proprie responsabilità, in cui molte aziende hanno la tendenza a cavalcare le mode, cercando in questo modo di ridurre i rischi e di essere sempre up to date, i brand coraggiosi, quelli carismatici, quelli con una visione di ampio respiro e che sanno ammettere i propri errori. Sono i brand più amati e più rispettati. Quelli degni di fiducia.

Un brand è carismatico, se è in grado di ispirare la vita delle persone attraverso una personalità unica è differente che riesce a creare con i propri pubblici un legame profondo. Il carisma di un brand, si esprime attraverso la capacità di creare attrazione, fascino e magnetismo ma soprattutto dal saper essere considerato una guida, un esempio da seguire. Un brand carismatico, ha la capacità e la voglia di ascoltare, ma ha un proprio punto di vista .

Marty Neumeier, nel suo libro Brand Gap, presenta un'interessante analisi sui brand carismatici. Ma si può trovare tanta ispirazione anche nelle biografie di grandi personaggi che hanno saputo creare grandi marchi che hanno lasciato il segno, da Coco Chanel, fino a Steve Jobs.

sabato, settembre 16, 2006

Il futuro delle televendite 



Anche le televendite spesso hanno problemi di credibilità.

Web Marketing corso progredito 

Credits: Bolton Manitoba Group, Agenzia di Comunicazione Net Vision

Credibilità sostenibile 


Credits per la foto: Adbusters

La credibilità on line 



Un breve tutorial sul tema della credibilità on line

venerdì, settembre 15, 2006

E' credibile la pubblicità? 

E' credibile la pubblicità?

Questa è una domanda che molte agenzie e centri media si pongono quotidianamente.

Lo ha fatto sicuramente il Centro per la pubblicità interattiva dell'Universita del Texas, che ha messo in rete questa interessante presentazione.

Il tema della credibilità è molto complesso e deve essere affrontato sotto diversi punti di vista.

Nel mio piccolo, mi propongo di dare qualche stimolo, qua e la.

Stay tuned.

L'immagine è di oybay

Il recital 

Un'altra grande opera di Mattjin

Ci si può fidare di un brand? (parte terza) 

Ci si può fidare di un brand che non è credibile? La risposta è ovvia, certamente no.

Un brand che presenta una distonia tra ciò che promette ad esempio con le sue campagne pubblicitarie e l'esperienza vissuta quotidianamente dai suoi pubblici in tutti i luoghi e momenti di contatto (touchpoint), sicuramente non è credibile.


Un brand è credibile nella misura in cui mantiene sempre quello che promette e quando i suoi valori si trasformano in valori agiti nei confronti di tutti i pubblici a cui si rivolge (dipendenti, clienti, azionisti). Un brand credibile, coerente con i suoi valori, non si focalizza solo sull’output, (la soddisfazione dei diversi portatori di interesse), ma anche sul processo, che riguarda le modalità in cui il risultato stesso viene conseguito.

Un marchio credibile è sicuramente affidabile. Credibilità, affidabilità, sono sicuramente elementi importanti della fiducia.

Appare in tutta la sua evidenza che investire solamente in pubblicità non contribuirà a rafforzare la fiducia in un marchio, se poi tutti gli altri touchpoint non sono tra loro coerenti.

Per questo coerenza e credibilità, sono due termini tra loro strettamente correlati e connessi agli altri elementi di cui ho accennato in un mio post precedente.

Ci si interroga oggi più che mai anche su cosa sia una comunicazione, anche pubblicitaria credibile. Sull'argomento tornerò prossimamente perchè è di estrema attualità.

Stay tuned.

L'immagine è tratta dal sito Pertinent.com

giovedì, settembre 14, 2006

BarCamp a Milano 


Avevo aderito con entusiasmo all'UnConf ma è stato un buco nell'acqua, la prima "non conferenza" collaborativa sull'innovazione sul web si è arenata.

Ora ci riprova Riccardo Bru Cambiassi a Milano, il 30 settembre lanciando un BarCamp che ha chiamato BzaarCamp

Per una volta, se riesco, mi piacerebbe partecipare, soprattutto ascoltando e poi lanciando il sasso sul tema dei media partecipativi integrati: dalla free press al web. Ma mi interessa molto conoscere persone interessanti con cui confrontare le mie idee folli.

Ci si può fidare di un brand? (parte seconda) 



Acquistare oggi è un rischio, ottenere fiducia dai propri interlocutori significa saper ridurre i loro dubbi e loro incertezze.

Un brand credibile ha sicuramente dei principi solidi e una visione chiara. Un primo attributo importante è quindi la chiarezza

Un brand degno di fiducia esprime in modo chiaro i suoi valori, la sua identità, il suo pensiero e la sua promessa distintiva fatta ai suoi diversi pubblici (dipendenti, clienti, azionisti)

Un brand "cristallino" si prefigge di costruire un rapporto di lungo periodo basato sulla fiducia con tutti i pubblici che desidera raggiungere ma anche con tutti i "partecipanti all’ecosistema" in cui agisce ed opera.

Chiarezza vuol dire coerenza nei valori e nella creazione delle aspettative.

Un primo aspetto da chiarire è il significato del termine chiarezza in comunicazione.

Tornerò sull'argomento.

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Ci si può fidare di un brand? (parte prima) 

Molti brand oggi hanno un problema di fiducia. Ho letto decine di libri sulla credibilità e sul problema del trust, ma sento ancora la necessità di definire con maggiore precisione cosa renda un marchio degno di fiducia.

Sto lavorando da diversi anni ad un modello e a metriche legate alla fiducia, ma è un'impresa che definirei titanica.

Credo che ci siano almeno 6 caratteristiche (6c) che un brand debba avere se vuole ottenere fiducia dai propri pubblici (ovviamente la lista è lungi dall'essere esaustiva):

  1. chiarezza di progetto e di visione
  2. credibilità
  3. carisma
  4. consonanza
  5. collaboratività
  6. compatibilità
Mi scuso se per il volere aiutare la memorizzazione di questi concetti ed utilizzare termini che iniziano con la lettera C ho compiuto una piccola forzatura. Nei prossimi post cercherò di chiarire meglio il mio pensiero e mi piacerebbe poter aprire un dibattito sul tema, se siete d'accordo.

Stay tuned.

I marketers sono tutti bugiardi? 



Fare marketing vuol dire per forza mentire? Questa è la provocazione di Seth Godin, ben illustrata in un libro e argomentata in questo lungo video. (sono 48 minuti)

Sapete bene che io non sono d'accordo, ma mi piacerebbe sentire la vostra opinione, dopo che avete visto il video di Seth Godin, che ho avuto il piacere di avere in video conferenza ad un corso in cui sono stato docente.

Buona visione

mercoledì, settembre 13, 2006

Come diventare un ricco cantante in tre lezioni 


Grazie Doug, per averci ricordato che le scorciatoie non portano al successo duraturo. Ovviamente il principio si applica in tutti i campi e non solo in quello dell'entertainment.

Esploratore digitale 

Mi trovo qui a postare brevi frammenti di esperienza sui diversi campi di esplorazione sull'universo della comunicazione digitale che sta cambiando pelle sotto i nostri occhi.

Mi rendo conto che spesso i temi gettati li in un post, meriterebbero un maggiore approfondimento, ma in questo momento non mi è possibile farlo, per l'enorme quantità di progetti simultanei di cui mi sto occupando.

Il mio blog si è trasformato, i frequentatori vi troveranno solo stimoli, fonti di ispirazione, nuove idee, concetti embrionali. Non è superficialità, ma un tentativo di percorrere le nuove strade del marketing da più punti di vista. D'altra parte con l'ausilio di un buon motore di ricerca, ognuno potrà approfondire i temi che gli stanno più a cuore.

Sono un esploratore digitale, nei diversi percorsi non so cosa troverò, so solo che durante questo viaggio, incontro persone e umanità varia che hanno deciso di fare con me un pezzo di viaggio.

Credetemi, questo è il viaggio più entusiasmante che io abbia mai fatto. Spero che sia lo stesso anche per qualcuno di voi.

L'immagine è tratta dal sito Bupa Travel

Con le metodologie che stiamo sviluppando, siamo in grado di misurare anche l'impatto per contenuti audiovisuali su queste nuove interfacce, mi piacerebbe entrare in contatto con chi lavora già con i nuovi schermi o chi opera nel campo delle affissioni digitali.

Autunno caldo per i media 

Tassello dopo tassello il panorama mediale si sta ricombinando. Lo dicevo che questo sarà un autunno molto caldo.

E' evidente che il fenomeno YouTube, non rimarrà per lungo tempo, isolato. Google Video sembra non riuscire a contrastare il progetto di Chad Hurley. Ma Rupert Murdoch è sul piede di guerra secondo alcune indiscrezioni (via ZetaVu) e si appresterebbe a lavorare su un progetto concorrente a YouTube.

Non è il singolo annuncio che desta la mia attenzione, ma il fatto che tutti i trend che sono stati annunciati già due anni fa e rinforzati quest'anno nel corso del Miptv e di cui ho scritto in diverse occasioni sembra si stiano concretizzando in tempi più veloci del previsto.

Ora mi aspetto altri annunci forti in questi mesi di autunno.

La mia attenzione va ora ai Gruppi Editoriali italiani e mi chiedo se sapranno essi cogliere le sfide del cambiamento.

martedì, settembre 12, 2006

Psicologia della ricerca di informazioni on line 

In molti blog e newsgroup si continua ancora a parlare molto di motori di ricerca e di tecniche per ottenere un migliore posizionamento, ma il dibattito attuale non mi soddisfa poi molto.

Credo sarebbe molto interessante approfondire i temi della psicologia della ricerca di informazioni on line, per questo ho letto con grande interesse l'articolo di Paul Boutin pubblicato da Slate, dal titolo You are what you search.

Se da una parte sono molto sensibile ai temi della privacy, dall'altra credo che siano utili le informazioni raccolte in modo aggregato e rigorosamente anonime, in grado di illuminarci sui comportamenti di ricerca e raccolta delle informazioni on line.

L'utilizzo dei motori di ricerca cambia in funzione delle specifiche esigenze della ricerca, del livello di confidenza con lo strumento utilizzato, con lo status del "ricercatore di informazioni" (professionista, padre/madre, appassionato di sport, studente, attivista politico ecc), ma esistono anche dei comportamenti radicati, talvolta compulsivi, che l'articolo illustra e che raggruppa in sette categorie che ho liberamente tradotto.
  1. il pornografo
  2. il cacciatore di teste (interessato alle persone, alle relazioni, di diversa natura)
  3. lo shopper
  4. l'ossessionato
  5. l'onnivoro
  6. il novellino
  7. il disperato
Sono consapevole che si tratta di una semplificazione, che tuttavia ritengo molto utile, per chi è interessato a progettare una comunicazione esperienziale sul web sempre più rilevante ed efficace.

Raccomando la lettura di questo articolo a tutti, mentre vi invito a lasciare stare i libri e gli articoli che affrontano il tema in modo a mio parere riduttivo.

lunedì, settembre 11, 2006

il 2006, l'anno di svolta per i media 

Ho scritto da più parti che l'anno 2006 sarebbe stato un anno di svolta per il panorama mediale. (Chissà perchè mi esprimo al passato). Ho previsto un autunno molto caldo qui in Italia. Credo che siamo solo all'inizio.

Ci sono ancora tanti annunci che non sono stati fatti, ma l'anno non è ancora terminato.

In molti aspettano le nomine per il Consiglio di Amministrazione della Rai, in modo tale che possa partire qualche progetto innovativo, intanto come previsto i programmi di sviluppo di Sky vanno a gonfie vele. I grandi gruppi editoriali ci riserveranno presto qualche sorpresa sul fronte web, state in campana.

Per tutte queste ragioni, credo che al prossimo Digital Content Summit di Milano per the Economist Conferences, in cui sarò relatore, ci saranno tante cose interessanti da ascoltare.

Credits per la foto: i.onmeda

Questo video sicuramente genera grande curiosità ed attenzione, ma mi domando se sia efficace. Voi che ne pensate?

Governare e gestire con saggezza 

Un'altra esilarante vignetta di Doug Savage

Quali sono oggi le competenze di marketing? 

Mi rendo conto che il titolo di questo post è un po' enigmatico, forse mi aiuterà a migliorare il mio page rank ma non a chiarire che cosa io abbia in mente. Per questo provvedo subito.

Permettetemi prima di arrivare al punto una premessa.

Leggo diversi annunci di ricerca del personale e mi capita come consulente di analizzare le potenzialità del mio mercato, quindi mi è naturale chiedermi quale tipo di competenze il mercato stia cercando nel campo del marketing.

Molto spesso mi trovo davanti che quando valutano un consulente chiedono, giustamente quale esperienza il consulente abbia avuto nel loro settore specifico. In alcuni casi la richiesta, ripeto, più che giustificata è espressa male.

Ti chiedono infatti se hai già avuto esperienza nel settore, quando farebbero meglio a formulare meglio la richiesta e chiedere se esiste un'esperienza precedente con le problematiche del settore, viste magari in ambiti differenti. La differenza è sottile, ma molto importante.

Ci sono molti modi di fare un colloquio e porre domande, vediamo alcuni esempi?

Domanda 1: Caro Web Designer, lei ha esperienza di progettazione di siti nel settore dei gioielli? Domanda 2: Caro Web Designer, lei ha esperienza nella progettazione di siti nel settore dei gioielli oppure in settori legati al lusso che hanno esigenze simili alle nostre? Domanda 3: Caro Web Designer, lei ha mai lavorato per progetti in cui la componente immagine fosse molto importante? In quale modo potrebbe lei contribuire a migliorare la nostra brand identity nei confronti dei nostri pubblici ed in particolare del target più giovane con cui non riusciamo bene ad entrare in contatto?

Perchè dico questo?

Mi capita in questo momento di lavorare e guardacaso di essere stato scelto come relatore in due convegni di settori che apparentemente non hanno nulla in comune: il settore farmaceutico e quello delle discoteche.

Qualcuno direbbe, che il legame potrebbe essere lavorare per Akuel su una campagna per i preservativi, ma non stavo parlando di un'operazione di comarketing ;), ma di competenze travasabili da un settore all'altro.

A livello strategico il settore farmaceutico e quello delle discoteche hanno un elemento in comune, quello di dovere utilizzare strade alternative alla comunicazione pubblicitaria.

Il settore farmaceutico ha dei precisi limiti imposti dalla legge, in più gli spot dei prodotti da banco sono ridicoli appaiono ridicoli quando si sente la voce accelerata del "narratore" che ci spiega che il medicinale ha espletato le formalità per la richiesta dell'autorizzazione ministeriale e che può avere controindicazioni per rientrare nei fatidici 30 secondi.

Il settore delle discoteche, si rende giustamente conto che i giovani non scelgono un locale perchè hanno visto una pubblicità su un qualche mezzo, ma per ragioni diverse.

Il travaso di competenze, da un settore all'altro porta a mio avviso una ventata di freschezza e sicuramente una visione nuova, a condizione che si siano ben comprese le reali necessità dei settori in cui si va a operare.
Conosco una persona che ha lavorato nel campo dell'abbigliamento e ha accumulato un'esperienza oltrecchè manageriale anche nel campo della negoziazione delle licenze, per questo ora lavora nel marketing in una media company.

Ecco perchè oggi rispondo a molti potenziali clienti cosi:. "No non ho un'esperienza nel vostro settore particolare, ma ne conosco alcune problematiche peculiari perchè le ho già affrontate in altri contesti."

Stavo riflettendo oggi sui criteri con cui le aziende scelgono i loro dipendenti ed i loro consulenti e volevo confrontarmi con voi e con le vostre esperienze in merito.

Che ne pensate?

Credits per la foto:

sabato, settembre 09, 2006

Conquistare il cuore dei clienti 


Talvolta i decaloghi sono semplicistici, anche se gli americani li adorano.

In altri casi sono costituiti da semplici regole che funzionano davvero, come il decalogo di Fast Company che mi piace riportare, che ci insegna come conquistare il cuore dei clienti.

1.Eliminate the customer obstacle course. If you asked customers they’d say that the obstacle course for figuring out who to talk to and how and when to get service is over-complicated, conflicting and just plain out of whack

2.Stop customer hot potato. He who speaks to the customer first should “own” the customer. There’s nothing worse that sends a signal of disrespect faster than an impatient person on the other end of the line trying to pass a customer off to “someone who can better help you with your problem.” Yeah, right.

3.Give customers a choice. Do not bind your customer into the fake choice of letting them “opt out” of something. Let them know up front that they can decide to get emails, offers or whatever from you and give them the choice.

4.De-silo your website. Websites are often the cobbled together parts created separately by each company division. The terminology is different from area to area, as are the menu structures and logic for getting around the site. What’s accessible online is frequently inconsistent, as is the contact information provided.

5.Consolidate phone numbers. Even in this advanced age of telephony companies still have a labyrinth of numbers customers need to navigate to talk to someone. Get people together to skinny-down this list and then let customers know about it.

6.FIX (really) the top ten issues bugging customers. It's likely you've been surveying your customers for years and know what's broken. Do something about those issues! Then tell your customers!

7.Help the front line to LISTEN. Let your front line be human, give them the skills for listening and understanding and help the frontline deliver to the customer based on their needs.

8.Deliver what you promise. There is a growing case of corporate memory loss that annoys and aggravates customers every day as they have to strong-arm their way through the corporate maze just to get basic things accomplished. They’re exhausted from the wrestling match, they’re annoyed and they’re telling everyone they know. And, oh, by the way, when they get the chance they’re walking.

9.When you make a mistake – right the wrong. If you’ve got egg on your face, for whatever the reason, admit it. Then right the wrong. There’s nothing more grossly frustrating to customers than a company who does something wrong then is either clueless about what they did or won’t admit that they faltered.

10.Work to believe. Very little shreds of respect remain, if any, after you've put customers through the third degree many experience when they encounter a glitch in products and services and actually need to return a product, put in a claim or use the warranty service. As tempting as it is to debate customers to uphold a policy to the letter of the law, suspend the cynicism and work to believe your customers.

Buona lettura

Credits per la foto: Elettra

I migliori blog di marketing 

E' stata stilata una classifica da MarketingSherpa che elenca i dieci migliori blog di marketing per il 2006.

La classifica per il 2005 si può trovare invece a questo link.

Consumatore a chi? !!!!! 

Credits per la foto: Danny Boy, Model:Sunna

Get close? 

La foto è di Sunnaholic

venerdì, settembre 08, 2006


Oramai è certo, Tivo lo hanno portato gli extraterrestri :)

mercoledì, settembre 06, 2006


Always There for you

A proposito di freschezza 


Il mio post sulla "freschezza" ha suscitato qualche reazione. Ho ricevuto diverse mail di commento da parte di persone che ne condividono lo spirito.

In particolare ho ricevuto le riflessioni di Luca Oliverio, che ho deciso di non pubblicare come commento al post, non perchè non fosse appropriato (tutt'altro), ma perchè così facendo non avrebbe avuto l'evidenza che merita. Ho invece preferito di affrontare i temi che Luca introduce.

Cosi mi scrive Luca:

Non è tanto il marketing, quanto i marketer e i dirigenti (ad avere bisogno di freschezza ndt) Sembra che tutti adesso pensino al breve periodo, trasformato a dire il vero in un immediato-periodo, senza badare al medio e ancor meno al lungo periodo. Ma i pubblicitari lavorano su "dovete avere pazienza, i risultati arriveranno", stronzate! Oggi si cerca di vendere pubblicità e non prodotti, brand. La star strategy di Saguela ha rintronato i creativi italiani (ma non solo, poiché anche lord Maurice Saatchi dichiara defunta la pubblicità - dichiarazione che tra l'altro non giova a nessuno e sarebbe meglio smettere di fare stupidi proclami obitoristici). La pubblicità è una forma di comunicazione che serve ad alimentare le vendite e troppo spesso ci si dimentica di questo punto fondamentale... Caro Maurizio, sarebbe il caso di aprire questo dibattito in Italia. Dal mio piccolo e povero punto di vista la pubblicità deve riscoprire la programmazione nel medio-lungo periodo, senza disattendere le vendite nell'immediatezza, ma non deve vendere solo brand, sogni, deve vendere prodotti e far rientrare dalle spese i clienti. Conosco aziende che hanno investito milioni di euro e che non hanno avuto nessun ritorno, ne nell'immediato e tanto meno nel lungo periodo. Questa è la peggiore pubblicità che si possa fare la pubblicità, grazie ai nostri colleghi... far buttare al vento milioni di euro è uno spreco incredibile e indicibile... Insomma, Maurizio, qui non c'è bisogno di freschezza, ma solo di tornare a vendere quello che i clienti ci chiedono di vendere. Troppa accademia, hai ragione, e poca praticità. Scusami per il lungo intervento ma è un argomento che ho molto a cuore e che abbiamo anche discusso a "creatives are bad".

Ha ragione Luca e le sue parole mi stimolano ad articolare meglio il mio pensiero.

E' certamente vero che un mondo, quello pubblicitario che si è basato quasi interamente su una comunicazione interstiziale incentrata sullo spot da 30"" deve cambiare.

E' anche vero che i social media pongono ai pubblicitari nuove sfide, ma da qui a dire che la pubblicità sia morta ne corre. E' una cretinata colossale.

La pubblicità è sicuramente sotto stress, ma certamente non in crisi, sta invece entrando in un nuovo ciclo e deve affrontare tante difficoltà, ma le supererà certamente. Stiamo parlando di uno dei settori economici più importanti per qualsiasi economia avanzata.

E' doveroso un richiamo all'innovazione, al ricambio generazionale, alla formazione permanente per il comparto della pubblicità, perchè la "transizione al digitale" sta radicalmente trasformando il modo di comunicare, ma occorre dire che come giustamente ha fatto notare qualcuno, che per un vero creativo non cambierà molto. Si tratta di progettare nuove forme di comunicazione utilizzando nuovi linguaggi e nuovi mezzi. E' sempre stato così. Il vero creativo dorme sogni tranquilli.

Se la pubblicità è realmente morta, cosa la sostituisce? Il product placement? Il marketing virale?

Siamo seri. Un'operazione di product placement per un brand che di partenza è poco noto, è destinata a fallire.

Nessuna campagna di marketing virale da sola sarà mai in grado di spiegare ai consumatori gli attributi di un prodotto e di un sistema di offerta.

So di non essere originale, ma la parola d'ordine è integrazione. Tutti ne parlano, nessuno progetta campagne di comunicazione realmente integrate.

Occorre comprendere tutti i mezzi vecchi e nuovi per poterli utilizzare in modo armonioso ed equilibrato, senza lasciarsi tentare dalle mode del momento.

Lasciatemi nuovamente ribadire il mio pensiero. Quello di cui sento la maggiore mancanza in Italia non è la creatività di tipo artistico, ma quella di processo, che si basa sulla conoscenza in profondità delle caratteristiche e dei limiti di ogni piattaforma di comunicazione, in modo da potere sperimentare nuovi linguaggi adatti ai nuovi modelli di fruizione.

La creatività di processo consente anche di trovare nuove modalità di comunicazione più efficienti oltre che più efficaci perchè molte agenzie hanno dimenticato che i budget non sono infiniti.

Quello che manca è il coraggio di essere umili e di ammettere che la creatività non è il monopolio di pochi creativi di agenzia, ma è diffusa, basta navigare su YouTube per rendersene conto. La creatività è un patrimonio dell'umanità.

La suddivisione tra vecchi e nuovi media è sterile, così come controproducente l'organizzazione di agenzie e aziende in compartimenti stagni.

L'orientamento alle vendite è sicuramente importante, ma non a discapito della capacità di costruire relazioni stabili e durature incentrate sulla fiducia.

Ci sono professionisti della comunicazione che operano da tantissimi anni e hanno accumulato una sensibilità e un livello di professionalità davvero notevoli, ma anche loro hanno il dovere di chiedersi:

Quale è il significato di pubblicità oggi? Quale è il suo ruolo? Che cosa ci si aspetta dalla pubblicità? Questo dibattito è più vivo che mai. Le risposte sono certamente tante e differenti, secondo i vari punti di vista che non sono necessariamente in contraddizione fra loro.

Quando si pongono le domande, occorre ricordarsi che le risposte anche quelle "giuste" non sono valide in eterno.

Sappiamo molto bene quello che dobbiamo fare: occorre trovare nuove modalità di dialogo tra un brand e i propri pubblici, dobbiamo aumentare le nostre capacità di ascolto per offire una comunicazione, rilevante, d'impatto, per ritrovare quella credibilità che purtroppo è andata persa. Quello che ancora non è chiaro è come farlo. Anche qui non ci può essere una sola risposta.

Piantiamola con gli alibi e con le sterili polemiche c'è tanto lavoro da fare è ognuno deve fare la sua parte.

Andiamo pure ai convegni, ma cominciamo a dire le cose come stanno. Perchè tutti noi, la realtà la conosciamo molto bene, ma per una volta faremmo meglio a smettere di prenderci in giro.

Per questa ragione faccio autocritica, perchè è l'unico modo per potere ripartire per nuove sfide.

A proposito di freschezza 


Il mio post sulla "freschezza" ha suscitato qualche reazione. Ho ricevuto diverse mail di commento da parte di persone che ne condividono lo spirito.

In particolare ho ricevuto le riflessioni di Luca Oliverio, che ho deciso di non pubblicare come commento al post, non perchè non fosse appropriato (tutt'altro), ma perchè così facendo non avrebbe avuto l'evidenza che merita. Ho invece preferito di affrontare i temi che Luca introduce.

Cosi mi scrive Luca:

Non è tanto il marketing, quanto i marketer e i dirigenti (ad avere bisogno di freschezza ndt) Sembra che tutti adesso pensino al breve periodo, trasformato a dire il vero in un immediato-periodo, senza badare al medio e ancor meno al lungo periodo. Ma i pubblicitari lavorano su "dovete avere pazienza, i risultati arriveranno", stronzate! Oggi si cerca di vendere pubblicità e non prodotti, brand. La star strategy di Saguela ha rintronato i creativi italiani (ma non solo, poiché anche lord Maurice Saatchi dichiara defunta la pubblicità - dichiarazione che tra l'altro non giova a nessuno e sarebbe meglio smettere di fare stupidi proclami obitoristici). La pubblicità è una forma di comunicazione che serve ad alimentare le vendite e troppo spesso ci si dimentica di questo punto fondamentale... Caro Maurizio, sarebbe il caso di aprire questo dibattito in Italia. Dal mio piccolo e povero punto di vista la pubblicità deve riscoprire la programmazione nel medio-lungo periodo, senza disattendere le vendite nell'immediatezza, ma non deve vendere solo brand, sogni, deve vendere prodotti e far rientrare dalle spese i clienti. Conosco aziende che hanno investito milioni di euro e che non hanno avuto nessun ritorno, ne nell'immediato e tanto meno nel lungo periodo. Questa è la peggiore pubblicità che si possa fare la pubblicità, grazie ai nostri colleghi... far buttare al vento milioni di euro è uno spreco incredibile e indicibile... Insomma, Maurizio, qui non c'è bisogno di freschezza, ma solo di tornare a vendere quello che i clienti ci chiedono di vendere. Troppa accademia, hai ragione, e poca praticità. Scusami per il lungo intervento ma è un argomento che ho molto a cuore e che abbiamo anche discusso a "creatives are bad".

Ha ragione Luca e le sue parole mi stimolano ad articolare meglio il mio pensiero.

E' certamente vero che un mondo, quello pubblicitario che si è basato quasi interamente su una comunicazione interstiziale incentrata sullo spot da 30"" deve cambiare.

E' anche vero che i social media pongono ai pubblicitari nuove sfide, ma da qui a dire che la pubblicità sia morta ne corre. E' una cretinata colossale.

La pubblicità è sicuramente sotto stress, ma certamente non in crisi, sta invece entrando in un nuovo ciclo e deve affrontare tante difficoltà, ma le supererà certamente. Stiamo parlando di uno dei settori economici più importanti per qualsiasi economia avanzata.

E' doveroso un richiamo all'innovazione, al ricambio generazionale, alla formazione permanente per il comparto della pubblicità, perchè la "transizione al digitale" sta radicalmente trasformando il modo di comunicare, ma occorre dire che come giustamente ha fatto notare qualcuno, che per un vero creativo non cambierà molto. Si tratta di progettare nuove forme di comunicazione utilizzando nuovi linguaggi e nuovi mezzi. E' sempre stato così. Il vero creativo dorme sogni tranquilli.

Se la pubblicità è realmente morta, cosa la sostituisce? Il product placement? Il marketing virale?

Siamo seri. Un'operazione di product placement per un brand che di partenza è poco noto, è destinata a fallire.

Nessuna campagna di marketing virale da sola sarà mai in grado di spiegare ai consumatori gli attributi di un prodotto e di un sistema di offerta.

So di non essere originale, ma la parola d'ordine è integrazione. Tutti ne parlano, nessuno progetta campagne di comunicazione realmente integrate.

Occorre comprendere tutti i mezzi vecchi e nuovi per poterli utilizzare in modo armonioso ed equilibrato, senza lasciarsi tentare dalle mode del momento.

Lasciatemi nuovamente ribadire il mio pensiero. Quello di cui sento la maggiore mancanza in Italia non è la creatività di tipo artistico, ma quella di processo, che si basa sulla conoscenza in profondità delle caratteristiche e dei limiti di ogni piattaforma di comunicazione, in modo da potere sperimentare nuovi linguaggi adatti ai nuovi modelli di fruizione.

La creatività di processo consente anche di trovare nuove modalità di comunicazione più efficienti oltre che più efficaci perchè molte agenzie hanno dimenticato che i budget non sono infiniti.

Quello che manca è il coraggio di essere umili e di ammettere che la creatività non è il monopolio di pochi creativi di agenzia, ma è diffusa, basta navigare su YouTube per rendersene conto. La creatività è un patrimonio dell'umanità.

La suddivisione tra vecchi e nuovi media è sterile, così come controproducente l'organizzazione di agenzie e aziende in compartimenti stagni.

L'orientamento alle vendite è sicuramente importante, ma non a discapito della capacità di costruire relazioni stabili e durature incentrate sulla fiducia.

Ci sono professionisti della comunicazione che operano da tantissimi anni e hanno accumulato una sensibilità e un livello di professionalità davvero notevoli, ma anche loro hanno il dovere di chiedersi:

Quale è il significato di pubblicità oggi? Quale è il suo ruolo? Che cosa ci si aspetta dalla pubblicità? Questo dibattito è più vivo che mai. Le risposte sono certamente tante e differenti, secondo i vari punti di vista che non sono necessariamente in contraddizione fra loro.

Quando si pongono le domande, occorre ricordarsi che le risposte anche quelle "giuste" non sono valide in eterno.

Sappiamo molto bene quello che dobbiamo fare: occorre trovare nuove modalità di dialogo tra un brand e i propri pubblici, dobbiamo aumentare le nostre capacità di ascolto per offire una comunicazione, rilevante, d'impatto, per ritrovare quella credibilità che purtroppo è andata persa. Quello che ancora non è chiaro è come farlo. Anche qui non ci può essere una sola risposta.

Piantiamola con gli alibi e con le sterili polemiche c'è tanto lavoro da fare è ognuno deve fare la sua parte.

Andiamo pure ai convegni, ma cominciamo a dire le cose come stanno. Perchè tutti noi, la realtà la conosciamo molto bene, ma per una volta faremmo meglio a smettere di prenderci in giro.

Per questa ragione faccio autocritica, perchè è l'unico modo per potero ripartire per nuove sfide.
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